Il Bombardamento Atomico e l’Internamento dei nippo-americani nei libri di storia americani
Di MARK SELDEN 8 Maggio 2005
Il Giappone, i giapponesi e i nippo-americani compaiono nelle pagine
dei libri di storia americani solo quando si parla della Seconda Guerra
Mondiale che rappresenta, insieme alla Rivoluzione americana, il
maggiore spartiacque del trionfalismo americano. In un periodo in cui i
libri di testo giapponesi sono soggetti ad un’attenta e scrupolosa
analisi pubblica per il modo in cui si occupano di guerra e di
colonialismo, è opportuno esaminare il loro corrispondente
americano. Come il modo di trattare i nemici in tempo di guerra nei
libri di testo di altre nazioni, questi testi rivelano tanto sul
nazionalismo e lo sciovinismo dominanti americani quanto sul Giappone e
i giapponesi. In questa contesto prendo in considerazione due delle
questioni principali – e maggiormente contestate – discusse nei 19
libri di testo che abbracciano l’arco di anni che va dal 1958 al 2000 e
comprendono molti dei testi più autorevoli tra quelli destinati
alla scuola superiore e all’università.I libri di testo sono degli strumenti importanti attraverso i quali le
società contemporanee comunicano idee di cittadinanza oltre al
passato idealizzato e al futuro promesso della comunità
nazionale. Forniscono racconti autorevoli sulla nazione, circoscrivono
il giusto comportamento dei cittadini e descrivono a grandi linee i
parametri dell’immaginazione nazionale. Le polemiche sui libri di testo
esplodono quando vengono messi in dubbio i presupposti comuni
sull’unità nazionale e lo scopo, e quando le relazioni
internazionali cambiano rapidamente come durante il periodo delle
Guerra fredda e dopo l’11 settembre, talvolta provocando la rottura del
fluire tranquillo dei principali racconti.
I libri di testo di quasi tutte le nazioni sono farciti di
nazionalismo. Esistono, tuttavia, delle differenze e delle sfumature
che caratterizzano le nazioni nel tempo. Molti testi americani, molto
di più dei loro equivalenti giapponesi o tedeschi, [1} citano,
ad esempio, l’orgoglio nazionale nella storia del paese, sfiorando
l’apogeo quando si tratta di guerre, in particolare la Rivoluzione
Americana e la Seconda Guerra Mondiale. Questo tipo di orgoglio
è palese in titoli quali: The American Pageant, Our American
Heritage, The Great Republic, The Enduring Vision e, forse il
più lirico, America: The Glorious Republic. Mentre la maggior
parte dei testi palesano un forte orgoglio per i risultati americani,
soprattutto la democrazia, la prosperità, il valore tecnologico
e l’ascesa verso la supremazia mondiale, i migliori tra questi testi,
una minoranza per essere precisi, pongono delle domande importanti
sugli episodi più misteriosi e incoraggiano il pensiero
indipendente sulla nazione, sul mondo e sul cambiamento storico. Alcuni
testi non esitano a suggerire giudizi critici sulle grandi imperfezioni
nella storia americana, compreso il razzismo, la condizione dei poveri
in un’epoca di grande benessere e le perdite di vite umane inflitte
dalle guerre americane.
La decisione di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, in
molti modi l’elemento determinante del ventesimo secolo, è stata
fin dall’inizio, ed è rimasta da allora, una decisione
discutibile. Allo stesso modo lo era la decisione di privare 112.000
giapponesi e nippo-americani dei diritti costituzionali e internarli
per tutta la durata della guerra. I due terzi erano americani di
nascita e quindi cittadini statunitensi, mettendo in dubbio con
ciò i diritti fondamentali del cittadino. Il restante terzo
erano cittadini giapponesi che, dal 1924, venivano ostacolati dalla
legislazione discriminatoria sui libri la quale vietava, in
particolare, la cittadinanza americana ai giapponesi. In pratica, come
osserva lo storico Gary Okihiro, essi erano manodopera migrante
permanente poichè, diversamente da altri emigranti, la legge
proibiva loro la cittadinanza. Le analisi dei 19 libri di testo
americani, destinati sia alla scuola superiore che
all’università, rilevano importanti imperfezioni nel modo di
affrontare questi problemi.
La Decisione Atomica e la fine della Seconda Guerra Mondiale
Per prima cosa, consideriamo la decisione di sganciare la bomba atomica
su
Hiroshima e Nagasaki. Tutti i 19 testi parlano della decisione nel
contesto della fine della Seconda Guerra Mondiale. Seguendo un
approccio preferito anche dai libri di testo giapponesi, alcuni si
limitano a “esporre i fatti.” Secondo James Davidson e Mark Lytle, A
History of the Republic (303), basta sottolineare che “più
di 150.000 giapponesi sono morti nelle due esplosioni,” e che le due
bombe e l’entrata in guerra della Russia l’8 agosto hanno portato alla
resa del Giappone. Lewis Paul Todd e Merle Curti sono anche più
bruschi nel loro Triumph of the American Nation (817). Limitano
la loro discussione alle seguenti osservazioni: “Prima gli Stati Uniti
sganciarono la bomba atomica su Hiroshima. Due giorni dopo, sganciarono
una seconda bomba atomica su Nagasaki. Il 10 agosto il governo
giapponese ha chiesto la pace.” Non c’è alcun segno di polemica,
alcun accenno ai violenti contrasti che scoppiarono in quel periodo, e
che continuano fino ad oggi, e naturalmente nessun invito agli studenti
nel considerare le implicazioni della decisione di sganciare le bombe
atomiche sui cittadini di due grandi città giapponesi, di
riflettere sulle connessioni strategiche della bomba rispettando i
rapporti sovietici-americani, o esaminare le scelte a disposizione dei
programmatori americani, il molteplice contesto internazionale della
resa o i costi delle politiche alternative. Stranamente, il primo testo
di Todd e Curti, Rise of the American Nation (739) affermava
che “quasi 100.000 dei 245.000 uomini, donne e bambini che vivevano a
Hiroshima furono uccisi immediatamente o morirono subito dopo,” un
costo in termini di vite umane che Todd e Curti esaminano attentamente
contro la decisione del Presidente Harry Truman di sganciare le bombe
spiegata come “un ultimo tentativo per obbligare il Giappone ad
arrendersi e salvare così le vite di centinaia di migliaia di
combattenti americani.” Il primo testo sottolineava anche, al contrario
dell’ultimo, la dichiarazione di guerra da parte della Russia contro il
Giappone l’8 agosto, precedente alla bomba di Nagasaki e alla resa del
Giappone. Questi semplici fatti, anche in assenza di analisi e nelle
mani di insegnanti competenti, potrebbero fornire la base per
discussioni ricche di spunti su questioni centrali.
I migliori tra questi testi esaminano le dimensioni chiave della
polemica atomica, affrontano criticamente la decisione di Truman di
sganciare le bombe, o sottolineano delle alternative alle bombe, e
considerano i costi umani e politici delle alternative, a questo
proposito stabilendo un punto di partenza per discussioni in classe di
tematiche cruciali sulla guerra, la pace e il ruolo dell’America nel
mondo.
The American Nation (702) di John Garraty presenta in maniera
violenta l’uccisione di migliaia di civili contro il possibile
contributo alla fine della guerra e riporta attentamente le vittime di
Hiroshima (78.000 uccisi, con più di 100.000 feriti), sebbene
non citi affatto coloro che morirono successivamente a causa delle
ferite o delle radiazioni (140.000 dalla fine del 1945, molti di
più negli anni successivi), oppure coloro che sono stati
condannati, in seguito all’esperienza della bomba atomica, a soffrire
per tutta la vita. Garraty aggiunge un piccolo dettaglio, che non ho
riscontrato in nessun altro testo da me consultato, il fatto,
cioè, che a Hiroshima hanno trovato la morte anche 20
prigionieri di guerra americani. Continua a sostenere l’idea,
ampiamente condivisa da molti specialisti, che il bombardamento di
Nagasaki tre giorni dopo “fu molto meno giustificabile, ma ebbe il
risultato sperato,” cioè, costringere il Giappone ad arrendersi,
eliminare l’accenno sia dell’attacco sovietico sulle forze giapponesi a
Manchuria l’8 agosto, sia la concessione americana delle condizioni di
resa che seguirono il bombardamento di Nagasaki il 9 agosto.
Tra i testi più equilibrati e più completi spicca The
Unfinished Nation di Alan Brinkley. Dopo aver sottolineato
l’affermazione di Truman, secondo cui l’alternativa “era un’invasione
americana del continente giapponese che poteva costare tanto quanto un
milione di vite,” un punto di vista messo efficacemente in dubbio da
storici revisionistici, Brinkley dà lo stesso spazio ai punti di
vista di Gar Alperovitz e di altri che liquidano l’argomento secondo il
quale “la bomba fu usata per abbreviare la guerra e salvare delle
vite”, e sostiene fermamente che, col Giappone sul punto di resa, gli
Stati Uniti utilizzarono la bomba soprattutto “per far sì che
l’Europa riuscisse meglio a trattare con la Russia” utilizzando la
super arma americana. Brinkley spiega chiaramente agli studenti gli
argomenti dei proponenti e dei critici, fornendo preziose informazioni
riguardo i costi in termini umani dei bombardamenti atomici, l’impatto
strategico e le alternative, e i costi in vite dell’intera guerra. Non
sforzandosi di risolvere la disputa, incoraggia gli studenti a
dedicarsi ad una delle grandi questioni etnico-politiche che
coinvolgono americani, giapponesi e la storia del mondo che non mostra
alcun segno di chiusura sessanta anni dopo i fatti.
Molti testi danno una forma drammatica al bombardamento atomico grazie
a delle foto, mostrando la nube a forma di fungo oppure Hiroshima o
Nagasaki in rovine. Nessuno rivela, a parte due eccezioni, il lato
umano che seguì il bombardamento mostrando corpi dilaniati,
bambini rimasti orfani o gente tramortita che vagabondava tra la
devastazione dopo l’esplosione. A History of US di Joy Hakim
presenta, sia in questo contesto che in molti altri, il lato umano di
eventi critici e propone questioni controverse per far riflettere gli
studenti. Tra i testi consultati, solo Hakim presenta agli studenti la
scena agghiacciante di distruzione in seguito al bombardamento atomico
di Hiroshima e Nagasaki, dalla prospettiva della sinistrata
città di Hiroshima ai sopravvissuti di Nagasaki il giorno dopo
l’esplosione, ad una donna la cui pelle era bruciata in base al disegno
della stoffa che indossava quando esplose la bomba. [2] The
American People di Gary Nash e Julie Jeffrey non mostra vittime
umane reali ma presenta una mostra in un grande magazzino di Osaka in
cui è esposta una versione illustrata delle vittime durante
l’angosciosa fuga. Analizzando i testi, vengono in mente le
disposizioni americane della Seconda Guerra Mondiale e la successiva
censura del tempo di guerra, soprattutto nelle guerre afgane e
irachene, che proibiva ai mezzi di comunicazione di massa la
pubblicazione di corpi mutilati e di cadaveri, sia che si trattasse di
soldati o di civili, di americani o di nemici. [3]
Tra i testi che trattano la bomba atomica e la fine della Seconda
Guerra Mondiale, quattro non menzionano la dicharazione sovietica di
guerra dell’8 agosto (Dexter Perkins and Glyndon Van Deusen, The
United States of America; John Garraty, The American Nation;
Lewis Paul Todd and Merle Curti, Triumph of the American Nation;
Alan Brinkley, The Unfinished Nation), dando, perciò,
l’impressione che l’unico fattore importante che spingeva alla resa
fosse il potere statunitense, in particolare la bomba atomica. La
maggior parte di quelli che hanno annotato la dichiarazione sovietica
di guerra non si sono sforzati di valutare la relativa importanza
rispetto alle bombe atomiche americane. Hakim, A History of Us,
continua ancora ad essere un’eccezione importante. “L’8 agosto,” scrive
(9:182), “la Russia entra in guerra contro il Giappone. Le forze russe
attaccano gli eserciti giapponesi a Manchuria e in Korea. Per alcuni
comandanti giapponesi si tratta di una minaccia più pericolosa
della bomba.”
Pochi testi fanno riferimento alla guerra aerea nei mesi precedenti
all’atomica durante i quali gli Stati Uniti si unirono alla Gran
Bretagna, alla Germania e al Giappone per eliminare i vincoli restanti
sul bombardamento civile (confrontare Paul Boyer et al., The
Enduring Vision (966) e Hakim, A History of US (9:177)).
L’evento conclusivo fu la distruzione di 62 città giapponesi,
iniziando col bombardamento di Tokyo che causò più di
100.000 morti. Questo rito iniziale di esperimento sul Giappone
attraverso il fuoco e il napal fu uno degli eventi caratteristici della
Seconda Guerra Mondiale, evento che avrebbe lasciato un retaggio nei
bombardamenti verso i civili che diventarono presupposto per le potenze
che avevano risorse aeree, più in particolare gli Stati Uniti,
in tutte le guerre successive. Secondo la mia opinione, si tratta di
una delle più gravi debolezze di molti testi, un’opinione
condivisa tra l’altro dalla letteratura monografica sulla guerra che si
focalizza, inoltre, sulle bombe atomiche e richiama scarsa attenzione
al bombardamento delle città. [4]
Malgrado il tono critico di alcuni libri di testo sulla decisione di
utilizzare la bomba atomica, soprattutto i più recenti libri di
testo destinati all’università che riflettono l’opinione
generale critica in aumento tra gli storici, e nonostante l’annotazione
scrupolosa, in molte delle migliori opere, del numero di soldati e di
civili che morirono (Garraty, The American Nation, 702), la
maggior parte dei testi celebra la vittoria americana della guerra e le
successive conseguenze mondiali con scarso riferimento alle perdite
umane, soprattutto verso i civili come risultato delle azioni
statunitensi. In particolare, i testi della scuola superiore raramente
si interrogano sulla decisione dell’atomica o si impongono sulla
narrativa eroica della guerra. Pochi testi, tuttavia, specialmente i
recenti testi dell’università, mettono in dubbio le perdite
umane di una guerra, il cui sacrificio di vite spezzate deve essere
ancora superato. Robert Kelley, in The Shaping of the American Past
(661), constata che, contando le vittime civili, 50 milioni morirono
durante la guerra (i dati rimangono controversi; la statistica sulle
morti militari e in battaglia ovunque molto superiori a quelle per le
morti civili e, in particolare, quelle che risultano dai danni
provocati dalla guerra, come la carestia, le alluvioni e la
disgregazione sociale) e, dalla fine della guerra, molte nazioni
rimasero in rovina. Anche Brinkley in The Unfinished Nation
(842) registra le perdite, 14 milioni di combattenti compreso 322.000
morti americani e 800.000 feriti, limitando il numero ai combattenti e
quindi eliminando il problema principale: il grande sacrificio di
civili supera alla lunga le vittime militari. Hakim in A History of
US (9: 175) afferma che in meno di un mese, tra il 16 aprile e l’8
maggio 1945, i Russi hanno perso 304.887 uomini nell’assedio della
città di Berlino, considerando gli uccisi, i dispersi e i
feriti; per contro il numero complessivo delle perdite americane di
tutta la guerra è stato di 325.000, sia nel teatro di guerra
europeo che pacifico. Si tratta di un’importante informazione che gli
studenti devono considerare attentamente, eppure pochi testi la
trattano. Sicuramente uno dei messaggi più importanti che i
libri di testo possono comunicare, seguendo la prospettiva di
rappacificazione e di un futuro di pace, è di mettere in chiaro
i raccapriccianti costi umani della guerra e, a questo proposito,
resistere alla tentazione di presentare delle interpretazioni eroiche
della guerra in modo differente, soprattutto quelle guerre combattute
dalla propria nazione.
L’internamento dei giapponesi e dei nippo-americani
Quattro dei testi più vecchi, compreso un testo della scuola
superiore (Leon Canfield e Howard Wilder, The Making of Modern
America) e tre testi dell’università (Thomas Bailey, The
American Pageant, Dexter Perkins and Glyndon Van Deusen, The
United States of America, e Todd and Curti, Rise of the
American
Nation), tutti pubblicati negli anni ’50 e ‘60, non menzionano
l’internamento dei giapponesi e dei nippo-americani. Tuttavia, tutti i
testi successivi affrontano il tema, e nei primi anni ’80 si assiste ad
un singolare consenso nel libro di testo che riguarda l’internamento
dei giapponesi e dei nippo-americani dopo Pearl Harbor. In
verità, in tutti i testi in cui si parla di internamento,
compreso uno scritto appena nel 1961, si condanna violentemente
l’internamento, considerato un’ingiustizia. Sarebbe difficile pensare
ad un’altra questione all’interno di questi testi in cui l’opinione
critica della politica americana sia così potente. Herbert Bass
et al., Our American Heritage (441-42), e Paul Boyer et al., The
Enduring Vision (957), citano entrambi il generale John L. DeWitt,
comandante della West Coast, che esortava l’abolizione e descrive
l’internamento di 112.000 persone di discendenza giapponese, la maggior
parte nate negli stati Uniti e quindi cittadini americani. [5] “Un
giapponese è un giapponese. Non fa differenza se è un
cittadino americano o meno.” Bass et al. lo descrivono come “un
episodio vergognoso” fornendo, inoltre, una discussione dettagliata sul
razzismo antinipponico in California, il desiderio di spossessare i
giapponesi delle loro proprietà, le perdite di 400 milioni di
dollari come il risultato di un allontanamento forzato e centinaia di
giapponesi che combattevano nell’esercito americano. Due libri di testo
più recenti usano il termine campo di concentramento, termine
pesante dal punto di vista emotivo ma adatto per descrivere i “campi di
trasferimento” dell’internamento (Robert Kelley, The Shaping of the
American Past (650); Arthur Link et al., The American People
(731)), che si presentano agli studenti con un problema morale potente
a causa dell’associazione del termine alla Germania dell’Olocausto.
“Qualcuno ha attaccato un numero al mio colletto e alla sacca da
viaggio,” una bambina di sette anni ha scritto della sua esperienza
lungo il tragitto verso un campo nel deserto californiano, Hakim annota
in A History of US (9:142), sottolineando il lato umano
dell’evento.
Di 19 testi otto mostrano delle simpatiche foto di giapponesi e
nippo-americani, in particolare donne e bambini, nei loro abiti
migliori che pazientemente aspettano in lunghe code prima di essere
raggruppati su autobus e treni in viaggio verso i campi, o un negozio
di un giapponese con un cartello che sarebbe apparso ancora nel 2001 in
molte aziende di immigrati: “Io sono americano,” anche se 60 anni dopo
sarebbe apparso con una leggera distorsione di significato, “Orgoglioso
di essere americano.” Si è trattato di un silenzioso atto di
solidarietà con le vittime degli attacchi terroristici dell’11
settembre e, forse anche, di una precauzione che afferma la propria
identità americana in un periodo di ostilità e che
inveisce contro quelli giudicati pericolosi per gli americani. E’
possibile che in questo caso i testi scolastici, piuttosto che
trasmettere la norma ufficiale possano aver giocato un ruolo nel
preparare l’opinione pubblica a rimediare ad una delle grandi
ingiustizie della storia americana? Se è così, questo
è un ruolo incoraggiante dei libri di testo, a dire il vero
potenzialmente cruciale, che è stato raramente notato.
Sorprendentemente, solo due dei quattro testi scritti dopo lo storico
Atto del Congresso del 1988 che criticano violentemente la politica di
internamento del tempo di guerra e impongono scuse ufficiali e
risarcimenti (20.000 dollari a persona) alle vittime, accennano alla
decisione (Brinkley, The Unfinished Nation (826) e Hakim, A
History of US (9:146)). Solo cinque dei diciannove testi collocano
l’internamento in un contesto di discriminazione a lungo termine contro
i nippo-americani a cui negavano loro i diritti di cittadino e li
sottomettevano ad attacchi razzisti sulla West Coast americana. Solo
tre citano le vittime di espropriazione e di internamento, Bass et al.,
Our American Heritage (442), Nash e Jeffrey, The American
People (833), e Hakim, A History of US (9:142-46; l’unico
testo che dedica un capitolo intero all’argomento).
Alcuni testi indicano gli importanti contributi dei nippo-americani
nell’esercito americano in tempo di guerra. Trentatre migliaia di
americani di origine giapponese servivano l’esercito, la maggior parte
in unità riservate solo ai giapponesi, compreso la 442°
pluridecorata Regimental Combat Team. Alcuni lavoravano come
traduttori. Molti si arruolavano per evitare l’internamento, lasciando
genitori, nonni, fratelli e sorelle internati per tutta la durata della
guerra. Ma neanche un singolo testo fa riferimento alla fiera
resistenza dei giapponesi e dei nippo-americani contro la violazione
dei loro diritti costituzionali. In particolare, non esiste alcun
accenno dei membri della “Fair Play Committee” che rifiutarono le
richieste americane di iscriversi per la leva finchè i
giapponesi ei nippo-americani fossero privati dei loro diritti
costituzionali. Alcuni dei loro comandanti trascorsero gli anni di
guerra a Leavenworth, venendo perdonati solo dopo la vittoria degli
Stati Uniti. [6] Neanche un singolo testo accenna all’esistenza della
tenace lotta ingaggiata dai prigionieri che chiedevano il rimpatrio in
Giappone, rifiutandosi di dichiarare fedeltà ad una nazione che
li imprigionava unicamente per aver commesso il crimine di essere nati
giapponesi. Nel 1942 e nel 1943 più di 300 giapponesi vennero
rimpatriati in Giappone in cambio di detenuti americani, e dal 1°
gennaio 1945, 20.067 giapponesi e nippo-americani avevano compilato i
moduli per il rimpatrio. [7] Nessuno parla delle scuse del governo e
dei risarcimenti ai nippo-americani quarant’anni dopo la guerra dal
punto di vista del movimento per la giustizia da parte dei
nippo-americani e di altri. Non c’è, a riguardo, alcun
riferimento alle mutevoli statistiche politiche e sociali che diedero
una voce più forte ai nippo-americani, poichè la loro
forza aumentò come il risultato di istruzione e
professionalità, e perchè aumentò il numero degli
emigranti asiatici-americani. In questo caso, come in molti altri, i
processi sociali e politici, specialmente quelli che coinvolgono la
resistenza, non vanno menzionati, lasciando solo i risultati, di solito
risultati di politiche di stato, presentati come fatti estrapolati
dall’importante contesto sociale.
Nell’eliminazione del terreno della resistenza e del conflitto sociale
siamo rimasti con l’immagine di un governo americano che ha agito in
maniera misteriosa per riparare una grossa violazione dei diritti di
una della minoranze scritte col trattino (nippo-americani N.d.T) e per
concretizzare l’immagine dei nippo-americani in un modello di
minoranza, una minoranza che si è riunita in maniera unanime per
la causa e ha combattuto eroicamente per gli Stati Uniti contro il
Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, proprio mentre i genitori, i
nonni, i fratelli e le sorelle passavano la guerra nei campi. Si tratta
di un’analisi che altera gli elementi fondamentali dell’esperienza
nippo-americana e priva gli elementi importanti della comunità
governativa e storica.
I testi rivelano una molteplicità di approcci alle due questioni
sensibili sulla decisione atomica e sull’internamento dei giapponesi e
dei nippo-americani: i migliori tra questi testi utilizzano un
approccio che tende a problematizzare le questioni. Alcuni criticano,
anche in maniera forte, gli elementi della politica del governo
americano in modo da invitare gli studenti a riflettere e ad impegnarsi
in questioni politiche ed etiche che parlano alla natura stessa
dell’esperienza americana e del ruolo americano nel mondo. In questo
modo, mostrano un rispetto per la capacità degli studenti di
dedicarsi non solo ai momenti eroici ma anche ai imperfezioni e alle
atrocità commesse dalla società e dallo stato in vari
momenti della nostra storia.
E’ il problema centrale dei testi di storia – non affatto limitato ai
testi di storia americani – che si dedicano a questioni di guerra, e la
nazionalità è miopia nazionalista, sfumata spesso di
razzismo. Questo è vero soprattutto quando gli argomenti
trattati nel testo sono legati alla macchina del potere di stato
trionfalista. In circostanze particolari, quali, ad esempio, l’opinione
che si manifesta tra gli europei interessati a preparare una base per
una Comunità Europea emergente per dar forma al futuro della
regione, oppure l’internamento dei nippo-americani nei libri di testo
americani, può imporsi una boccata di ossigeno sulla storia resa
nota nei libri di testo. Momenti simili danno agli studenti la
possibilità di dedicarsi a questioni difficili, ma anche
dolorose, di storia e di etica. In questo modo, diventa possibile per
gli studenti riflettere sul nostro passato e immaginare un futuro
giusto e comune.
Note:
[1] Confrontare Laura Hein and Mark Selden, eds., Censoring
History. Citizenship and Memory in Japan, Germany and the United States
(Armonk: M.E. Sharpe, 2000) per un’analisi comparativa delle
memorie di guerra custodite gelosamente nei libri di testo, e le
dispute del testo che riguardano le tre nazioni.
[2] Hakim gode di un lusso non disponibile agli altri scrittori di
libri di testo. Riesce a presentare il suo ‘anti-testo’, un lavoro che
non esita a fornire una storia del popolo, spesso andando contro le
versioni di storia ufficialmente approvate, poichè, di tutti i
testi destinati agli studenti delle superiori e presi in considerazione
in questa sede, il suo non è pubblicato da un editore americano
(l’editore è la Oxford University Press) e, cosa più
importante, non è esattamente un “libro di testo”, nel senso che
non ha bisogno di ottenere l’approvazione della censura dei consigli di
stato del Texas e della California oppure fronteggia la cernita operata
dai gruppi di controllo neoconservatori che controllano le scelte del
testo. Vale a dire, piuttosto che essere pubblicati con un occhio verso
le scelte dei grandi sistemi scolastici americani, A History of Us
è soprattutto disponibile nelle biblioteche e nelle librerie per
poterlo acquistare o consultare. Liberatasi dalla necessità di
soddisfare i criteri dei tutori del testo, l’autrice non ha esitato a
scrivere con energia e grinta, per trasmettere una gamma di voci oltre
la corrente principale e, generalmente, per portare alla vita la
storia.
[3] George H. Roeder, The Censored War: American Visual Experience
During World War II (New Haven: Yale University Press, 1993); cfr.
il suo “Making Things Visible: Learning from the Censors,” in Laura
Hein and Mark Selden, eds., Living With the Bomb: American and
Japanese Cultural Conflicts in the Nuclear Age (Armonk: M.E.
Sharpe, 1997). Non prima del 1943 il Dipartimento di Guerra
rovesciò la sua politica e permise, per la prima volta, alla
rivista Life di mostrare una foto di tre americani uccisi in
guerra in un tentativo di rafforzare la volontà di combattere.
Il Dipartimento di Guerra ha continuato a mantenere un solido controllo
sulle foto che erano state approvate per la pubblicazione, foto che,
solitamente, mostravano i corpi intatti che celavano le agonie della
morte estendendo, nell’era contemporanea del giornalismo arruolato e
della fotografia, la loro portata alla censura fino alle bare del
personale di servizio rientrato.
[4] Forse, in maniera sorprendente, la stessa lacuna esiste nei libri
di testo giapponesi. Tutti pongono l’accento sulla bomba atomica,
così come sulla dichiarazione sovietica di guerra. Pochi
accennano alla distruzione sistematica delle 62 città giapponesi
attraverso le armi convenzionali e il napalm. Confrontare, ad esempio,
i tre testi compresi in Japan in Modern History: Junior High School
(Tokyo: International Society for Educational Information, 1994).
Confrontare anche Ishii Susumu, Sasayama Haruo and Takamura Naosuke, Nihonshi
A (Japanese History A) (Tokyo: Yamakawa Shuppansha, 1998), pp.
238-39.
[5] La legge razzista sull’immigrazione del 1924, che proibiva ai
giapponesi di ottenere la cittadinanza americana, non è mai
stata estesa ai figli dei giapponesi americani di nascita. Dal 1940,
negli Stati Uniti i due terzi dei giapponesi e dei nippo-americani
erano americani di nascita. Ma, come nota Ronald Takaki, i genitori di
prima generazione, avendo avuto negata l’opportunità di
diventare cittadini americani, si assicuravano che i loro figli
avrebbero avuto la cittadinanza giapponese come quella americana e, dal 1940, più del 50% della seconda generazione nippo-americana
aveva garantita anche la cittadinanza giapponese. Strangers from a
Different Shore: A History of Asian Americans (New York: Penguin
Books, 1989), p. 216.
[6] Roger Daniels, Concentration Camps: North America, Japanese in
the United States and Canada, during World War II (Malabar, Fl.:
Robert E. Krieger Publishing, 1981), pp. 43-44, 124-25; Ronald Takaki, Strangers
from a Different Shore, pp. 397-400; Gary Okihiro, Margins and
Mainstreams: Asians in American History and Culture (Seattle:
University of Washington Press, 1994), pp. 170-72.
[7] Jacobus ten Broek, Edward N. Barnhart, and Floyd W. Matson, Prejudice,
War and the Constitution, (Berkeley: University of California
Press, 1954), pp. 175-81; Report of the Commission on Wartime
Relocation and Internment of Civilians, Personal Justice Denied
(Washington , D.C.: U.S. Government Printing Office, 1982), pp. 251-52.
Nell’autunno del 1945 e nella primavera del 1946, più di 1.000
furono condotti via mare verso un Giappone devastato dal bombardamento;
molti altri decisero alla fine di restare negli Stati Uniti.
Testi consultati
* indica testi di scuola superiore. Altri testi sembrano essere testi
generali o universitari. I testi americani raramente esprimono in modo
esplicito di essere stati scritti per essere usati nella scuola
superiore o all’università, e alcuni testi possono essere anche
usati sia all’università che alla scuola superiore.
1. *Leon H. Canfield and Howard B. Wilder, The Making of Modern
America. Boston: Houghton Mifflin, 1958.
2. Richard Current, T. Harry Williams, and Frank Freidel, American
History: A Survey. New York. Alfred A. Knopf, 1961.
3. Thomas A. Bailey, The American Pageant: A History of the
Republic, 2nd edition. Boston: Little, Brown, 1961.
4. Lewis Paul Todd and Merle Curti, Rise of the American Nation,
2nd edition. New York: Harcourt, Brace & World, 1966.
5. Dexter Perkins and Glyndon G. Van Deusen, The United States of
America: A History. New York: Macmillan, 1968.
6. John Garraty, The American Nation: A History of the United
States, 5th edition. New York: Harper & Row, 1983.
7. *Herbert J. Bass, George A. Billias, and Emma Jones Lapsansky, Our
American Heritage. Morristown, N.J.: Silver Burdett, 1983.
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