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DI FEDERICO DEZZANI

federicodezzani.altervista.org

Pars destruens

Curva dopo curva, vediamo davanti a noi il rettilineo finale: da buoni navigatori come siamo stati finora, è giunto il momento di prevedere cosa ci aspetta in fondo all’ultimo nastro d’asfalto.

In questi mesi abbiamo fiutato con anticipo l’abdicazione tedesca alla moneta unica, un progetto imposto dall’establishment euro-atlantico a Helmut Kohl e mai gradito alla Germania, dove la Bundesbank rappresenta un’istituzione autorevole come o più del Bundestag, simbolo della ritrovata sovranità dopo la sconfitta bellica. Abbiamo previsto che la defenestrazione di Antonis Samaras e l’avvento di Alexis Tsipras avrebbe, nel lasso di qualche mese, condotto ad un’irreparabile rottura tra le autorità elleniche e la Troika. Ci siamo infine prodigati nel sottolineare come il golpe ucraino e le provocazioni angloamericane nel cortile di casa di Mosca fossero da collegare all’euro-crisi: lo sfaldarsi della UE compromette uno dei due pilastri (quello economico-politico) con cui gli angloamericani esercitano il controllo del Vecchio Continente. La disperata ricerca di uno scontro con la Federazione russa è quindi riconducibile alla necessità di Londra e Washington di erigere Mosca a nuovo nemico, puntellando l’altro pilastro, quello militare della NATO, con cui si proiettano sul continente.

Ed ora, cosa accadrà all’eurozona quando Atene abbandonerà la moneta unica? Quali saranno i riverberi sul piano economico e finanziario e quali quelli sul piano geopolitico?

Un nuovo assetto internazionale si profila all’orizzonte, con una rinnovata affermazione delle due grandi potenze terrestri europee (la Russia e la Germania) naturalmente predisposte ad occupare gli spazi lasciati vuoti dalla UE/NATO una volta decomposte. Il naturale transito a questo assetto è però aborrito dagli angloamericani, che nella mutata situazione sarebbero definitivamente espulsi dall’Hearthland, quella regione decisiva per gli equilibri internazionali, resa oggi più vitale che mai dalle ferrovie ad alta velocità che stanno rivoluzionando i trasporti.

Scrive nel 1904 Halford Mackinder (1861-1947), il padre della geopolitica che concepisce l’Hearthland1:

The oversetting of the balance of power in favour of the pivot state (la Russia che occupa il cuore dell’Eurasia, NDR) resulting in its expansion over the marginal lands of Euro-Asia, would permit of the use of vast continental resources for the fleet-bulding (più che la costruzione della flotta, sono importanti gli sbocchi sui mari caldi, vedi i recenti accordi russo-greci NDR), and the empire of the world would be in sight.This might happen if Germany were to ally herself with Russia. The threat of such an event should, therefore, throw France into alliance with the over-sea powers (USA e Regno Unito, NDR) and France, Italy, Egypt, India and Coreawould become so many bridge heads where the outside navies would support armies to compel the pivot allies to deploy land forces and prevent them from concentrating their whole strenght on fleets (preservando così il controllo dei mari esercitato dagli angloamericani, NDR).

A distanza di un secolo, sono sempre i ragionamenti di Mackinder che guidano l’establishment angloamericano, spiazzato dalla dissoluzione dell’eurozona e timoroso che la Russia si insinui tra le crepe del loro dominio.

Partiamo quindi dall’imminente addio della Grecia alla moneta unica, per poi passare alla successiva deflagrazione dell’euro, alle sue ripercussioni sui mercati finanziari e terminare con la situazione nei Balcani e nell’Europa dell’est. Qui gli angloamericani pongono giorno dopo giorno le basi per il prossimo conflitto con Mosca, ultimo e disperato tentativo di impedire che la Germania libera dalla UE/NATO si saldi alla Russia, relegando così Washington e Londra ai margini del mondo.

Se la storia non è un‘accozzaglia informe di avvenimenti, ma il dispiegarsi di forze che trascendono le singole persone e generazioni, allora è giusto che sia la Grecia, culla dell’Occidente, a compiere il primo passo, uscendo dall’euro e traghettando il mondo dal vecchio assetto a guida angloamericana ad uno nuovo, incentrato sull’asse Europa-Russia-Cina. Il 18 giugno 2015, in particolare, potrà essere ricordato in futuro come il giorno che sancisce la fine del vecchio corso e l’avvio del nuovo.

Il 18 giugno si è riunito l’ennesimo, fallimentare, Eurogruppo per decidere le sorti della Grecia, in vista del rimborso al FMI per un importo di 1,6 €mld da effettuare entro giugno: in Lussemburgo si incontrano i ministri delle finanze europee mentre da ogni parte, da ultima la Banca Centrale greca, piovono pressioni sul ministro Yanis Varoufakis e sulla delegazione greca affinché scendano a compromessi, accettando almeno parte delle politiche di svalutazione interna imposte dalla Troika (decurtazione delle pensioni, taglio dei salari, etc. etc.). Il susseguirsi di incontri, conferenze stampa e quant’altro è in verità solo una costosa dissipazione di tempo, denaro e lavoro: tutte le parti sanno perfettamente che la Grecia è già fuori dall’euro ed il balletto di vertici è utile solo per vendersi alle rispettive opinioni pubbliche come vittima delle iniziative altrui, anziché come carnefice.

Sa di essere già fuori dall’euro in primis il governo ellenico. Il premier Alexis Tsipras non attende ad Atene gli esiti dell’Eurogruppo ma, significativamente, vola il giorno stesso a San Pietroburgo per partecipare al Forum Economico dei BRICS, debitamente ignorato dai media occidentali: qui Tsipras discute il possibile ingresso della Grecia nella Nuova Banca dello Sviluppo, l’istituto con cui i paesi emergenti progettano di divincolarsi dall’abbraccio mortale di FMI/Banca Mondiale. Proverranno infatti dai paesi emergenti (Russia e Cina in testa) le linee di credito da cui attingerà Atene prima che la nuova dracma si stabilizzi, l’economia torni finalmente a crescere ed il Paese attragga investimenti esteri.

Sanno di essere fuori dall’euro i cittadini greci, che tra l’ottobre 2014 ed l’aprile 2015 hanno prelevato 30 €mld da conti correnti, costringendo la BCE a tenere in piedi il sistema creditizio ellenico, ormai fittizio, con i fondi emergenziali ELA il cui tetto ha raggiunto la cifra record di 84 €mld.

Sa che Atene è fuori dall’euro il Fondo Monetario Internazionale che, dall’alto della sua pluridecennale esperienza nel ricattare i governi, è conscio che Alexis Tsipras non ha margini per accettare ulteriori dosi di austerità, sia perché costituirebbero un suicido politico sia perché l‘ala sinistra di Syriza ha già manifestato il proprio rifiuto a votarle in Parlamento. Il FMI avrebbe peraltro chiuso già da tempo i rubinetti alla Grecia obbligandola al default, se Washington non avesse esercitato pressioni in senso contrario nell’estremo tentativo di tenere compatti euro ed Unione Europea, a costo di trattare con Alexis Tsipras che ha avvallato la costruzione dell’odiato Turkish Stream sul suolo greco.

Sa infine che si consumerà la “Grexit” il governo tedesco. La cancelliera Angela Merkel ed i parlamentari della grande coalizione che la sostengono hanno sicuramente letto con attenzione i sondaggi secondo cui la maggior parte dei dirigenti d’azienda e dei cittadini tedeschi preferisce l’uscita della Grecia dall’euro2. Con un lento ma inesorabile crescendo sono apparse sulla stampa, seguite da repentine smentite, dichiarazioni da parte tedesca di un avvallo alla “Grexit”, finché in questi giorni il quotidiano Bild ha riportato la notizia secondo cui la cancelliera Merkel si starebbe preparando all’addio greco alla moneta unica, dando per scontato il fallimento dei negoziati. La Germania però, memore dell’errore del 1914 quando invase per prima il Belgio, non vuole apparire come la responsabile della rottura dell’euro e quindi, con un estenuante logorio dell’avversario, costruisce le premesse perché sia Atene a sbattere la porta in faccia all’euro.

Siamo ora nella fase zero: la Grecia ha abbondato l’eurozona. Quali sono le reazioni? Le istituzioni europee saranno per prima cosa costrette a riconoscere una verità lapalissiana: i 322 €mld di debiti su cui siede la Grecia sono irrecuperabili e gli Stati dell’eurozona che si sono accollati i costi del salvataggio (sgravando le banche private francesi e tedesche) devono ora contabilizzare le perdite. Si tratta di 60 €mld per la Germania, 46 per la Francia e 40 per l’Italia (il valore di una manovra finanziaria).

Nello stesso momento in cui Atene lascia la moneta unica, è anche svelato “urbi et orbi” che i Paesi dell’euro-periferia, piegati da anni di depressione economica, si incamminano verso l’abbandono dell’euro non appena si insedia un governo che rifiuti le ricette della Troika. Sarà la breccia nella diga della moneta unica.

L’effetto domino innescato dall’uscita di Atene della moneta abbatterebbe, in base agli altalenanti differenziali tra obbligazioni sovrane e bund tedeschi3, le diverse tessere dell’eurozona nel seguente ordine: Portogallo (spread a 230), Slovenia (165), Spagna (152), Italia (151). La particolare rete delle integrazioni economiche e bancarie comporterebbe, nello specifico, che ogni paese ne trascini con sé un altro fuori dall’euro, finché la falla è talmente larga, che l’intera diga dell’euro crolla sotto lo sguardo dell’impotente BCE.

Cipro, il cui ministro delle finanze rassicura che qualsiasi legame finanziario con le banche elleniche è stato reciso, difficilmente resisterebbe allo choc politico, considerato che il parlamento cipriota riscontra difficoltà crescenti a deliberare le leggi imposte dalla Troika (da ultima quella che facilita gli espropri di case e negozi4).

In Portogallo il premier Pedro Coelho si prodiga nell’assicurare i mercati finanziari5, sostenendo che il bilancio dello Stato è solido, capace di resistere alla “Grexit” e di chiudere l’anno senza ulteriori soccorsi internazionali: il debito/PIL ha però già raggiunto il 130%, gli istituti di credito sono in pessime condizioni (vedi il fallimento nel luglio del 2014 del Banco Espirito Santo) e le politiche di ottobre rischiano di bloccare, come è avvenuto in Grecia, l’iter delle riforme lacrime e sangue imposto dalla Troika. Se salta il Portogallo, poiché le banche spagnole sono altamente esposte verso le omologhe lusitane, il paese successivo a finire nell’occhio del ciclone è la Spagna: a quel punto la crisi sarebbe sistemica e la deflagrazione dell’euro questione di giorni.

Gli attacchi speculativi tendono però a concentrarsi su Paesi non solo debilitati dal punto di vista economico-finanziario ma anche privi di una guida politica: ragione per cui, accantonando la penisola iberica, le cannoniere della City e di Wall Street potrebbero far rotta direttamente sull’Italia, dove il debito pubblico inanella record mese dopo mese ( 2.194 mld ad aprile, il 140,6% del PIL depurato dalle attività illecite e sconosciute al fisco), la produzione industriale, anziché invigorirsi, ha ripreso a contrarsi ad aprile, le sofferenze bancarie crescono senza sosta e, soprattutto, la politica è acefala, dopo il precoce trapasso politico di Matteo Renzi.

Chi gestirà l’ennesimo ed ultimo assalto speculativo allo Stato italiano? L’ex-sindaco di Firenze, reduce da una sfilza di sconfitte elettorali e senza una chiara maggioranza in Parlamento, o Pier Carlo Padoan che, elargendo i celebri 80 euro, non ha più una pallottola in canna, tanto che il rimborso ai pensionati per i mancati adeguamenti all’inflazione si limita alla simbolica percentuale del 12%?

L’Italia, come la Spagna, è ovviamente, troppo grande per “salvata”, cosicché la nuova ed ennesima “stagione dello spread rosso” sfocerebbe nella dissoluzione dell’euro: la classe dirigente italiana, succube e connivente coll’establishment euro-atlantico, sarebbe tentata di ristrutturare il debito e scaricare le perdite a cascata su banche e poi conto-correntisti pur di rimanere nell’euro, ma un conto è chiedere, come esorta il governatore di Bankitalia Ignazio Visco6, che le banche informino la clientela dei rischi del “bail-in”, un conto è applicarlo col rischio di essere linciati dalla folla.

Merita a questo punto precisare perché le varie banche d’affari ed hedge fund anglosassoni sferreranno l’ultimo e definitivo assalto alla moneta unica.

Nei nostri lavori abbiamo sempre sottolineato come gli attacchi speculativi durante il “biennio dello spread rosso” 2011-2012, puntassero, oltre alla fabbricazione di ingenti utili per gli azionisti, a fornire l’assist decisivo ai collusi politici europei per la fondazione degli Stati Uniti d’Europa, contro la volontà dei cittadini ammutoliti da possibili bancarotte generalizzate. L’euro infatti non hai rappresentato una seria minaccia per la valuta americana o britannica ma, al contrario, è stato fin dagli albori lo strumento principe per introdurre il neoliberismo in Europa, tagliare lo Stato sociale ed impedire l’intervento della cosa pubblica nell’economia.

Perché allora, come sostiene il presidente della commissione europea Jean-Claude Junker7, “il mondo anglosassone” farebbe a fette l’eurozona qualora uscisse la Grecia? Dopotutto, come abbiamo evidenziato nelle nostre analisi, l’emergenza spread non scompare nel momento in cui gli Stati Uniti d’Europa sono abortiti (estate 2012) ed è chiaro che qualsiasi ulteriore assalto della finanza avrebbe realmente provocato la rottura dell’euro?

Rispondiamo che la finanza mondialista è divorata dalla ricerca di un guadagno a breve termine al di là di qualsiasi considerazione politica: si consideri che il Quantum Fund di George Soros, tra i cui azionisti figurano i Rothschild, non si esime nel 1992 da attaccare un’istituzione sacra come la Banca d’Inghilterra, costretta ad uscire dallo SME ed a svalutare la sterlina. Si può protendere che le locuste della finanza non infieriscano contro i Btp fino a spingere l’Italia fuori dall’euro, solo per non rovinare la digestione al venerabile Mario Draghi? È chiedere decisamente troppo.

I media tranquillizzano l’opinione pubblica assicurando che la BCE e UE saranno in grado di domare l’incendio scatenato dalla “Grexit”: è però lo stesso governatore di Francoforte, Mario Draghi, che in raro momento di franchezza ammette l’uscita di Atene dell’euro comporterebbe l’ingresso della moneta unica in territorio ignoto8. Si noti come, nonostante siamo entrati nel terzo mese dell’allentamento quantitativo varato dalla BCE (contro cui peraltro crescono in Germania i ricorsi presso la corte costituzionale9), lo spread abbia già rialzato la testa e non siamo ancora nella fase in cui, sentendo odore di sangue, le banche d’affari si sono scatenate contro l’eurozona.

Si potrebbe obbiettare che, dallo scoppio dell’eurocrisi ad oggi, l’eurozona è stata munita di strumenti per affrontare situazioni emergenziali: ma l’Outright Monetary Transactions (OMT) ed l’European Stability Mechanism (il fondo ESM da 700 €mld, di cui ne sono stati raccolti al momento solo 80) sono idonei a fronteggiare crisi di liquidità. Come dimostra il caso greco, siamo ormai di fronte a crisi di solvibilità del debito pubblico, dove nessuno strumento può sopperire alla mancanza di crescita economica ed inflazione, gli due unici fattori che rendono pagabili i debiti.

Siamo quindi nella fase uno: l’eurozona inizia a disgregarsi. Quali sono le reazioni successive?

Pars costruens

Giunti a questo punto, l’interrogativo da porsi è: la sovrastruttura dell’Unione Europea, sopravviverà al collasso della “struttura euro”? Le dinamiche in atto ci invitano a dare una risposta negativa: le pallide, costose, debilitate e superflue istituzioni europee sono destinate ad essere travolte dal crollo della moneta unica.

È da un pezzo che suonano le campane a morto per l’Unione Europea: la commissione europea che, nei progetti della tecnocrazia brussellese avrebbe dovuto essere il motore della UE, è stata progressivamente sopperita prima dalla cancelliera Angela Merkel pedissequamente seguita dal valletto Nicolas Sarkozy e poi dalla cancelliera Angela Merkel pedissequamente seguita da un’ombra, non la sua ma del président de la république François Hollande. I tedeschi rifiutano qualsiasi condivisione del debito pubblico con il resto dell’eurozona mentre i francesi, che inventarono nel ‘300 lo Stato nazionale, rifiutano qualsiasi cessione di sovranità ad organismi sovranazionali.

È dalla Francia, gravata da un debito che veleggia ormai verso il 100% del PIL, da un’industria nucleare un tempo fiore all’occhiello del Paese ed ora in profonda crisi e da una disoccupazione record che aumenta senza sosta10, che è lanciato l’ennessimo pesantissimo schiaffo all’Unione Europea: la sospensione de facto del Trattato di Schengen ed il ripristino unilaterale dei controlli alle frontiere sull’onda dell’emergenza immigrazione. Come abbiamo poi sottolineato nelle nostre analisi e conferma oggi anche l’ex-commissario europeo Romano Prodi11, è Parigi il principale freno alla nascita elitaria ed antidemocratica degli Stati Uniti d’Europa, meta finale per cui l’establishment euro-atlantico ha introdotto una moneta intricatamente destabilizzante come l’euro.

Se a questo si aggiunge la debacle del tanto osannato Piano Junker e il rifiuto degli altri membri europei ad accettare le quote di immigrati, si evince che la UE è già trapassata e l’implosione dell’euro martorierà un corpo già morto.

La particolare debolezza in cui versa la Francia, unita ad altri insanabili disequilibri (una bilancia commerciale in permanente e pesante passività, uno stato sociale tra i più generosi d’Europa e delle irrealistiche ma dispendiose velleità da potenza internazionale) impediranno anche la conservazione di un “nocciolo europeo” attorno al già ingrippato motore franco-tedesco: difficilmente i contribuenti tedeschi saranno disponibili a foraggiare la grandeur dei vicini d’oltre Reno come, d’altro canto, difficilmente i cugini transalpini rinunceranno all’euro-tedesco per qualsiasi moneta che non sia il franco.

L’Europa del post-euro, tornerà quindi alla situazione antecedente all’introduzione dell’euro?

Molto difficilmente, perché nel frattempo la Germania è assurta a potenza economica incontrastata del Vecchio Continente, forte di un sistema tra i più competitivi al mondo, perfino davanti agli USA12. Ecco perché è lecito pensare che, al momento dell’implosione dell’euro, la Germania utilizzi il proprio magnete economico per mantenere entro i propri confini monetari, doganali e legislativi i paesi di lingua germanica: Austria, Olanda e (più difficile ma non impossibile) Lituania, Lettonia e Finlandia. Qualora l’establishment tedesco tentasse e riuscisse in questo intento, sarebbero coronati a distanza di un secolo gli obbiettivi bellici della Prima guerra mondiale: la federazione politica ed economica attorno alla Germania dei paesi di lingua tedesca, centro-europei e balcanici (la “Mitteleuropa”)13.

Al termine del processo di dissoluzione dell’euro nascerebbe quindi una “Grande Germania” da 90-100 mln di abitanti, terza economia al mondo dopo Cina e USA, già unita alla Russia da solidi e complementari legami nel settore energetico ed industriale, ed in ulteriore fase di integrazione con l’Asia grazie alle ferrovie ad alta velocità, che abbattendo i tempi di percorrenza comprimono gli spazi toccati dai treni con effetti paragonabili all’apertura del canale di Suez.

Russia e Cina hanno infatti siglato a gennaio un accordo da 240 $mld per la costruzione di un treno ad alta velocità che consentirà a persone e merci di muoversi da Pechino a Mosca in due giorni, coprendo oltre 7.000 km di distanza14. Come muterebbe l’ordine mondiale se Cina, Germania, e l’unico vero rivale militare e geopolitico degli USA, la Russia, fossero unite da un treno che consente di viaggiare da Pechino a Berlino in due giorni e mezzo?

Intermezzo bellico

Come sarà ormai chiaro al lettore, il mondo che si delinea per l’era post-euro è abbastanza chiaro: con la dissoluzione dell’eurozona e dell’Unione Europea si spezzerebbero i legacci con cui gli angloamericani tengono imbrigliato il Vecchio Continente e la Germania in particolare, compromettendo in maniera irreparabile la capacità di Washington proiettarsi oltre oceano. Scrive infatti lo stratega americano Zbigniew Brzezinski (che non a caso preme affinché gli USA armino il governo di Kiev15) nel 1997, al culmine del mondo unipolare16:

“But first at all, Europe is America’s essential geopolitical bridgehead on the Eurasian continent. America’s geostrategic stake in Europe is enormous. Unlike America’s links with Japan, the Atlantic Alliance entreches American political influence and military power directly on the Eurasian mailand. At this stage of the American-Europeans relations, where the allied Europeans nations still highly dependent on US security protection, any expansion in the scope of the Europe becomes automatically an expansion in the scope of direct US influence as well”.

Se queste parole dovrebbero togliere qualsiasi dubbio sull’identità di UE e NATO e sulle finalità sottostanti, resta da studiare la reazione degli angloamericani al prossimo crollo della moneta unica e delle istituzioni di Bruxelles. Ebbene, man mano che diventa certa la “Grexit”, si rafforza la relazione direttamente proporzionale con le tensioni nell’Europa balcanica e dell’est: trovano conferma i timori che la deflagrazione dell’Unione Europea sarà accompagnata da un conflitto militare, ultimo e disperato tentativo angloamericano per non essere espulsi dall’Hearthland e impedire l’integrazione tra Germania e Russia.

Ci siamo già focalizzati più volte sull’argomento e di conseguenza passiamo velocemente in rassegna le novità intercorse dalla nostra ultima analisi, dal Baltico ai Balcani, passando per l’Ucraina:

Il 14 giugno il capo dei negoziatori dei separatisti filorussi, Denis Pushilin, sostiene che l’Ucraina “si trova sull’orlo di una grande guerra che potrebbe scoppiare nel volgere di ore”17. Il rischio di un nuovo conflitto, continua Pushilin, non è un evento isolato ma deve essere inquadrato in una più ampia cornice, che comprende quanto accade in Siria, Yemen e Macedonia18.

Non a caso, sempre il 14 giugno, si svolge in Macedonia una protesta della minoranza albanese contro il premier filorusso Nikola Gruevski, disposto ad indire nuove elezioni entro un anno pur di disinnescare la rivoluzione colorata finanziata dagli angloamericani: dopo i sanguinosi scontri di maggio tra la polizia macedone ed i guerriglieri albanesi dell’Uçk, non sono da escludere altri tentativi di destabilizzazione della Macedonia, con un effetto a macchia d’olio nei Balcani.

Il 15 giugno due soldati governativi sono uccisi in Ucraina negli scontri con i separatisti filorussi e, sul fronte che separa i due schieramenti, cresce incessante la tensione19.

Il 15 giugno il ministero della difesa russo definisce la decisione americana di schierare 250 carri armati tra i Paesi baltici e la Bulgaria come “la più aggressiva mossa della NATO e del Pentagono” dal termine della Guerra Fredda20. I panzer statunitensi si sommerebbero ad altri 220 carri inglesi e 1.000 veicoli da combattimento, violando così gli accordi tra Russia e NATO del 1997 che proibiscono lo stazionamento permanente di forze dell’alleanza nord-atlantica ad est della Germania. Il dispiegamento di carri alimenta così la tensione parossistica accuratamente coltivata dagli angloamericani: da ultimo l’episodio del 6 giugno, quando i B-52 americani sorvolano l’Estonia paracadutando uomini e mezzi all’ambito di un’esercitazione che simula un’invasione russa.

Non ha alcun dubbio circa il rapido deteriorasi della situazione internazionale il Cremlino, dove, nonostante il fardello delle sanzioni europee ed americane, non si fanno economie per equipaggiare ed ammodernare le forze armate: nei primi tre mesi del 2015 la spesa militare schizza al 9% del PIL (per tornare ai livelli sovietici Mosca dovrebbe destinarne il 12% 21) e 40 moderni missili intercontinentali sono aggiunti all’arsenale nucleare russo.

Siamo quindi nella fase tre, il futuro più remoto su cui azzardiamo comunque una previsione: l’eurozona si è dissolta, l’euro è scomparso o è sopravvissuto solo attorno al “nocciolo tedesco” che trasforma la Germania nel gigante economico d’Europa, capace di spostare il baricentro del mondo integrandosi con Russia e Cina.

Gli USA già attualmente versano in pessime condizioni. Nonostante il tasso di sconto della Riserva Federale sia a zero da sette anni, il debito pubblico in costante aumento ha già raggiunto il 103% del PIL22e l’economia flirta nuovamente con la recessione.

L’implosione dell’euro si abbatte su un’economia americana già stremata e senza più pallottole in canna: Wall Street crolla e l’oro raggiunge livelli mai toccati prima. La crisi innescata in una propaggine europea dell’impero americano raggiunge il cuore degli USA ed in mondo a stelle e strisce entra nella fase terminale.

Gli angloamericani, aizzando l’Ucraina ed i Paesi baltici, attaccano: la guerra è ora regionale.

Federico Dezzani

Fonte: http://federicodezzani.altervista.org

Link: http://federicodezzani.altervista.org/rettilineo-finale/

20.06.2015

zibi

pivotarea

1The Geographical Journal, Vol.23, NO.4, Aprile 1904, pag. 421-437

2http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-06/laa-maggioranza-manager-tedeschi-ora-vuole-l-uscita-grecia-dall-euro–161036.shtml?uuid=ABLQfWbD

3http://it.investing.com/rates-bonds/government-bond-spreads

4http://www.businessinsider.com/afp-cyprus-bailout-on-track-after-foreclosure-law-passed-2015-4?IR=T

5http://www.foxbusiness.com/markets/2015/06/17/portugal-seeks-to-calm-investors-over-risks-that-greek-crisis-might-destabilize/

6http://www.agi.it/economia/notizie/visco-banche-avvertano-clienti-potrebbero-dover-risanare-una-banca

7http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/11583755/Anglo-Saxon-world-would-rip-apart-Europe-after-a-Grexit-says-Juncker.html

8http://economia.ilmessaggero.it/economia_e_finanza/draghi-grecia-accordo-default-grexitterritorio-inesplorato/1412219.shtml

9http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/08/quantitative-easing-da-giuristi-tedeschi-ricorso-a-corte-costituzionale-contro-bce/1759029/

10http://www.rfi.fr/economie/20150601-nouvelle-augmentation-chomeurs-avril-chiffres-chomage/

11http://espresso.repubblica.it/archivio/2015/06/18/news/la-mia-europa-non-c-e-piu-eugenio-scalfari-intervista-romano-prodi-1.217771?ref=HREC1-12

12http://www.dw.de/germany-moves-up-in-wef-list-of-most-competitive-economies/a-17066230

13Assalto al potere mondiale, Fritz Fischer, Capitolo VI, Giulio Einaudi Editore, 1965

14http://rt.com/business/225131-russia-china-speed-railway/

15http://www.newsmax.com/Newsfront/Zbigniew-Brzezinski-Ukraine-Russia-NATO/2015/02/06/id/623211/

16The Grand Chessboard, Basic Books, pag. 59

17http://www.agi.it/estero/notizie/ucraina_negoziatore_filorusso_siamo_sull_orlo_di_grande_guerra-201506141153-est-rt10024

18http://it.sputniknews.com/mondo/20150614/555694.html?utm_source=t.co%2FuJMOUSFVaF&utm_medium=short_url&utm_content=t5P&utm_campaign=URL_shortening

19http://www.reuters.com/article/2015/06/15/us-ukraine-crisis-idUSKBN0OV18J20150615

20http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/poland/11675648/Russia-condemns-aggressive-US-plan-for-tanks-in-Eastern-Europe.html

21http://www.globalsecurity.org/military/world/russia/mo-budget.htm

22http://www.forbes.com/sites/mikepatton/2015/04/24/national-debt-tops-18-trillion-guess-how-much-you-owe/

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