DI CITODACAL
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Ricevo da un amico, qualche giorno fa, un estratto di Gramellini da La Stampa (09-10-2014): “Si tratta di problemi epocali, che possono non interessare chi deve far quadrare i bilanci a fine anno, ma che interrogano chiunque abbia a cuore il futuro dell’umanità: tutti, si presume. Più tecnologia e più rendite uguale meno occupazione e meno benessere. L’equazione al momento è questa. Ma si può cambiare, almeno per chi rifiuta il vittimismo e non crede alla profezia di una civiltà che implode su se stessa. La fine dei vecchi lavori non significa la fine del lavoro. Anticipa soltanto la nascita di quelli nuovi. Indietro non si torna, ma per fortuna non si rimarrà ancora fermi a lungo in questo limbo di paura. Nel frattempo bisogna resistere, prepararsi. E immaginare.”.
Risuona troppo come una finzione umanistica, simile agli entusiasmi razionali, fiduciosi d’un domani demagogico, che poi condussero alla sporca guerra di trincea.
Ora, a parte la contraddizione per cui, se tutti fossero interessati al futuro dell’umanità, lo sarebbero anche coloro che debbono far quadrare i bilanci, la storia da tirar fuori nelle grandi occasioni secondo cui l’umanità sia sempre a preoccuparsi d’avere un futuro, significa che, in termini ontologici, un futuro non ce l’ha e non ce l’ha mai avuto, o non è mai stabilmente arrivato, come la classica carota legata innanzi all’asino (oppure è un futuro simile all’obsolescenza programmata): ergo, suona sempre come una ricetta strumentale e funzionale per continuare a far correre la gente verso prestabilite mete (ma da chi…?).
Inoltre il giornalista parla di profezie; forse secondo lui è una profezia anche l’affermare che una casa probabilmente crollerà, essendo stata costruita in zona sismica o con eccesso di sabbia nel cemento (anche la meteorologia dovrebbe dunque rientrare in questa casistica, come pure la visione di quel professore di Pescara che sostiene essere la Germania appollaiata sullo stesso ramo che sta segando…).
In merito alla nascita di lavori nuovi, se i prodromi son quelli osservabili, c’è da tenersi le palle ben strette nella mano. E il fatto che per fortuna non si resterà fermi a lungo in un limbo di paura potrebbe rappresentare lo stesso liberatorio desiderio, per udir scorrere la lama, di chi ha già la testa immobilizzata sotto alla ghigliottina (la fune attorno al trave è una variante).
Onde per cui rispondo all’amico in questi termini: “Mi chiedo se i giornali dell’epoca scrivevano cose simili quando Hitler invase la Polonia: non vi preoccupate, la vita va avanti, indietro non si torna, basta darsi da fare… Qualche mese fa ho risposto a un tizio su internet che sosteneva che l’umanità ha superato momenti peggiori e ce la farà anche stavolta; gli ho detto che umanità è un concetto un po’ troppo ampio e generale in questo caso e che, pur avendo “superato”, come diceva lui, ad esempio due guerre mondiali una a ridosso dell’altra, ha tuttavia dovuto contare qualche decina di “insignificanti” milioni di individui che l’ostacolo non lo hanno superato. Se potessimo parlar loro gli racconteremmo del nostro conforto con fiducia e leggerezza?” (peraltro nessuno conosce il numero che porta in tasca: magari il non superar l’ostacolo tocca proprio al fiducioso futurista…).
Citodacal
commento estratto da: La Grecia, ovvero la desinenza in “buoni“
16.10.2014