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La Redazione

 

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RESISTENZA CULTURALE

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A cura di Davide
Il 22 Ottobre 2010
56 Views

DI GILAD ATZMON
gilad.co.uk

Dal fiume allo stagno

La leggendaria icona della musica Inglese Robert Wyatt è un gran sostenitore della causa Palestinese.
Qualche giorno fa è arrivato a Londra per promuovere For the Ghosts Within (Wyatt/ Stephen/Atzmon, Domino Records), il nuovo album che abbiamo prodotto assieme al violinista Ros Stephen. Abbiamo chiacchierato animatamente a proposito di Palestina, musica, resistenza culturale e a riguardo dell’importanza del prossimo venturo Jazza Festival.

Per Robert Wyatt (nella foto), la musica è “dove le persone si possono incontrare l’un con l’altra.”
“La gente suonava l’altrui musica ben prima che fossero uniti politicamente o socialmente” dice. I musicisti possono anticipare i cambiamenti. “Nel profondo Sud, i ragazzini bianchi ascoltavano le stazioni radio nere e i bambini neri ascoltavano la musica country, molto prima che potessero condividere gli stessi spazi o perfino incontrarsi fra di loro.”
La musica ha questa capacità unica di unire ciò che è diviso, di raggruppare le persone, di far conoscere l’armonia ma ancora, per qualche motivo, non così tanti musicisti sono abbastanza coraggiosi a lasciarsi andare e fare il passo decisivo. Non molti sfruttano questa loro possibilità di cambiare le cose.

Nel 2003 Robert mi invitò in studio. Stava registrando Cuckooland in quel periodo. Aveva in mente una versione strumentale della melodia di Nizar Zreik, originalmente cantata da una cantante Palestinese, Amal Murkus. Quel giorno nello studio, ho trascorso non poche e frustranti ore con il mio clarinetto cercando di emulare l’espressività di Amal, il suo suono, il suo personale modo di cantare, il timbro e l’intensità. Qualche mese dopo, quando Cuckooland uscì, mi accorsi che, in qualche modo quel pomeriggio in studio, ero riuscito a dissolvere alcuni confini. Il tentativo di Robert di accostare un ex-Israeliano a un componimento Palestinese si era risolto, alla fine, in un successo. Da allora collaboro con Robert. Quest’anno, insieme, abbiamo fatto un album.

Robert Wyatt è una leggenda, un’ icona musicale Britannica. Nel corso degli anni, ha formato il suo proprio linguaggio, ha coniato un nuovo e originale suono. É un incredibile artista che ha influenzato generazioni di musicisti in tutto il mondo. I suoi metodi creazione sono assolutamente unici; parte da zero e costruisce la sua musica strato dopo strato, utilizzando, qualche volta, le tecniche più basilari. Riesce a sistemare voce, melodie sospese, tocchi di batteria, tutti i tasselli del lirismo e genialità in una lucida narrativa musicale che suona sempre come qualcosa di nuovo. La sua musica è fresca e straordinaria e allo stesso tempo semplice e cristallina. In ogni caso, una sorte di luce sempre traspare attraverso la musica ed i pensieri di Robert. Sono stato molto fortunato ad essere testimone del modo in cui tramuta le note in canzoni, le parole in poesie, l’ideologia in responsabilità, l’amore in bellezza e la bellezza in significato. Ma, cosa molto più importante, ho avuto la possibilità di scambiare opinioni con l’uomo dietro l’artista. La settimana passata ho avuto la preziosa opportunità di discutere con lui di musica, Palestina, Israele, resistenza culturale, politica e tolleranza.

“Per i musicisti che supportano i Palestinesi che da molto tempo soffrono, il semplice silenzio non è una possibile opzione” dice. Nonostante la popolarità di Robert in Israele, non si fa problemi a proclamare al mondo intero ciò che pensa della politica di Israele. Per molti decenni, “ la gente di Palestina è stata soggetta, non solo all’umiliazione, ma anche ad un sadico piacere che solo può essersi instaurato al fine di distruggerli. Ma gli Israeliani hanno fallito, continua, perché i Palestinesi sono forti e determinati. “I colonizzati sempre resistono più di ciò che i colonizzatori pensano.”

Non è un segreto che il supporto alla causa Palestinese è sul punto di sfociare in un movimento di massa, il corso degli eventi è chiaramente cambiato negli ultimi anni, ma nonostante le critiche a Isreale, Robert riesce a mantenere la sua proverbiale attitudine tollerante. Vuole vedere un cambio di direzione e crede che tale cambio sia raggiungibile. Con il suo risaputo sorriso da bonario “Babbo Natale” chiede agli Israeliani “Di cosa avete paura? Questi Palestinesi non sono altro che persone come voi.”

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Da sinistra: Robert Wyatt, Gilad Atzmon e Ros Stephen

Questa semplice affermazione riassume la visione del mondo di Robert. Sul pianeta Wyatt quasi ogni cosa è, come per magia, semplice ed allo stesso tempo profonda e piena di comprensione. “La mia politica è chiara,”dice, “sono contro il razzismo. L’idea,” continua “che alcune persone credano altre inferiori è una grande stupidaggine. Noi tutti,” sostiene, “siamo diversi ed allo stesso tempo uguali.”
Una semplice affermazione di questo genere trasferisce il dibattito politico dentro i confini di un discorso etico ed universale. Dovremmo celebrare le nostre diversità ed allo stesso tempo dovrebbe essere la nozione di uguaglianza a fermarci dal compiere azioni a spese degli altri. Robert è un jazzista ed è una grande sorpresa che un musicista jazz ci offra un’idea, allo stesso tempo, così profonda ed elementare. Negli anni ’60 i musicisti jazz erano in prima linea nel movimento a favore dei diritti civili. Pare una conseguenza logica che gli artisti jazz continuino a sostenere la lotta per un mondo migliore.

Robert crede al “potere delle persone” in quanto opposto a quello dei politici. I politici che eleggiamo non riescono ad applicare una giustizia trasparente, dice. “Per noi cittadini è umiliante avere dei governi così moralmente codardi.” E ancora, “anche se i politici non sono in grado di iniziare un serio cambiamento, dovranno rispondere a quelli che avverranno di fatto fra le persone.” La Palestina è un buon esempio di tutto ciò. Stiamo assistendo ad una rapida espansione del supporto popolare a favore dei Palestinesi e dei loro diritti. Sembra che tutti insieme abbiano deciso di “venir fuori dal loro nascondiglio” suggerisce Robert. Questo movimento non può spiegarsi in termini politici, visto che la classe dirigente politica non ha niente a che fare con tutto ciò. Credo che Robert abbia ragione su questo punto. Questo impeto di solidarietà emergente per la Palestina dovrebbe essere visto come il risultato di un bisogno disperato di giustizia, come uno scoppio di una intuizione etica collettiva.

Ho parlato con Robert a proposito della paura. Gli ho suggerito che la ‘guerra contro il terrore’, può anche essere intesa come una guerra contro il terrore che ci portiamo in grembo: un terrore causato dalla paura che ci auto-infliggiamo. Siamo tormentati dall’idea che gli altri possano essere subdoli o immorali proprio quanto potremmo esserlo noi. Robert ha portato avanti questo concetto suggerendo che le paure più comuni che si possono riscontrare in noi, sono la ‘minaccia della democrazia’ e la ‘paura della verità.’ La minaccia della democrazia può essere intesa come panico allo stato puro di essere numericamente inferiori. La paura della verità, ovviamente, è alimentata dall’insistente pensiero che le nostre bugie vengano smascherate. Una visione del genere ci aiuta certamente a capire Israele ed i suoi sforzi inarrestabili contro la gente che già abitava la Palestina. Ciò spiega anche la riluttanza di Israele a cooperare con diverse missioni d’inchiesta internazionali. Ma Israele non è il solo. La minaccia della democrazia e della verità sono anche diagnosi azzeccate dei dilemmi che affliggono la politica Britannica. L’ossessione dell’immigrazione nel Regno Unito riflette semplicemente la paura di sentirsi una minoranza. Per di più, i continui fallimenti istituzionali Britannici riguardo ai fatti odierni ed alle persone che ci hanno condotto alla guerra in Iraq è un’indicazione della nostra intrinseca paura di verità.

Ho chiesto a Robert di parlarmi delle sue origini. Mi chiedevo se fosse spaventato di poter diventare una minoranza. “Sono Inglese, questo è ciò che sono, questo è ciò che dicono le mie parole. In ogni caso non sono uno specchio d’acqua stagnante impregnato solo della mia cultura, dallo stagno sfocio nel fiume, il quale è composto da centinaia di altri stagni e moltissima acqua fresca sta entrando. Questo è il luogo in cui abito, l’unico che fa per me.” Capisco esattamente ciò che afferma Robert. Anche il mio percorso è stato una spedizione da uno stagno al fiume e da lì direttamente nel mare. In ogni caso, a differenza del salmone nella canzone Maryan di Robert, non progetto nessun ritorno. Il mare è l’unico luogo che fa per me.

Come abbiamo detto prima, gli artisti, piuttosto che i politici, sono presenti per fornirci una visione di un mondo migliore. Quando ascoltai Robert cantare What A Wonderful World, ho potuto facilmente sentire ‘the blue for me and you.’ E ho dovuto essere d’accordo: a dispetto di ogni previsione, è davvero un mondo meraviglioso.

Gilad Atzmon

Fonte: www.gilad.co.uk
Link: http://www.gilad.co.uk/writings/gilad-atzmon-a-conversation-with-robert-wyatt-about-cultural.html
4.10.2010

Tradotto per www.comedonchisciotte.org a cura di SIEMPREALPUNTO

Il termine Cultural Resistance: è la pratica di usare [..] la cultura per contestare e combattere il potere dominante, spesso costruendo una visione diversa del mondo da quella ufficiale. “Stephen Duncombe” [ndt]

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