DI JOHN PILGER
newstatesman.com
Un nuovo movimento globale sfida le violazioni delle leggi internazionali da parte di Israele con le stesse strategie usate contro l’apartheid
La farsa del summit sul riscaldamento globale di Copenhagen ha confermato l’esistenza di una dichiarata guerra mondiale dei ricchi contro la maggior parte dell’umanità. Ha anche evidenziato un focolaio di resistenza che sta crescendo come non mai: una sorta di internazionale planetaria che collega la giustizia con i diritti umani universali, e l’applicazione del sistema penale per coloro che invadono e spodestano impunemente. E le notizie più belle arrivano dalla Palestina.
La resistenza dei palestinesi al sequestro del loro Paese giunse ad una fase critica nel 2001 quando ad una conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo in Durban, Sud Africa, Israele fu identificato come un Paese dove vige l’apartheid. Per Nelson Mandela la giustizia per i palestinesi è “la più grande questione morale di quest’epoca”. L’appello della Palestina di boicottare, disinvestire e sanzionare (BSD) Israele è stato emesso il 9 luglio 2005, ricalcando in effetti il grande movimento di non-violenza che attraversò il mondo e fece crollare l’impalcatura africana dell’apartheid.
Mustafa Barghouti, saggia voce della politica palestinese, scrisse: “Durante i decenni di occupazione e spodestamento, il 90 per cento della lotta palestinese è stata non-violenta… Una nuova generazione di leader palestinesi adesso parla al mondo proprio come fece Martin Luther King. Quello stesso mondo che condanna qualsiasi uso della violenza da parte della Palestina, perfino se in evidente autodifesa, di certo non può lamentarsi se useremo la protesta non-violenta come fecero uomini del calibro di King e Gandhi”.
Basta con i tabù
Negli Stati Uniti e in Europa, i sindacati, le principali chiese, le associazioni accademiche hanno riproposto le strategie che furono usate contro l’apartheid in Sud Africa. In una delibera adottata con 431 voti a favore contro 62, la Chiesa Presbiteriana degli Stati Uniti ha scelto di iniziare una “fase di selettivo disinvestimento” in multinazionali in affari con Israele. Ciò a seguito di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Internazionale che giudica illegali sia il muro costruito a Gaza che gli insediamenti israeliani. Nel 1971 un’analoga dichiarazione della Corte, che denunciava l’occupazione della Namibia da parte del Sud Africa, diede inizio al boicottaggio internazionale.
Come per la campagna del Sud Africa, la questione legale è fondamentale. A nessun stato è permesso di fregarsene delle leggi come fa di continuo Israele. Nel 1990 una delibera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che esigeva che Saddam Hussein se ne andasse dal Kuwait era quasi identica, parola per parola, a quella che esige che Israele si ritiri dalla Cisgiordania. L’Iraq fu cacciato, mentre Israele è stato ripetutamente premiato. L’11 dicembre, Barack Obama ha comunicato lo stanziamento di 2.8 miliardi di dollari in “aiuti” per Israele, parte dei 30 miliardi di dollari che i contribuenti americani riceveranno dalla loro tartassata economia nel giro di questo decennio.
Questa ipocrisia è ormai ben nota in America. Una campagna denominata “Stolen Beauty” si occupa della ditta di cosmetici Ahava, i cui prodotti sono preparati in insediamenti illegali in Cisgiordania; l’autunno scorso la campagna ha costretto la ditta a mollare la sua “ambasciatrice” Kristin Davis, stella del serial televisivo Sex and the City. In Gran Bretagna, le catene alimentari Sainsbury’s e Tesco sono sollecitate ad identificare prodotti provenienti dagli “insediamenti”, la cui vendita viola la delibera sui diritti umani nell’accordo tra Unione Europea e Israele.
In Australia, un consorzio con a capo Veolia, a seguito di una campagna informativa che vedeva la ditta francese coinvolta nella costruzione di una ferrovia che connette Gerusalemme agli “insediamenti”, ha perso una gara miliardaria per la costruzione di un impianto di desalinazione.
In Norvegia il governo ha ritirato i suoi fondi pensione investiti nella società hi-tech israeliana Elbit Systems, che contribuì alla costruzione del muro in Palestina. Questo è il primo boicottaggio ufficiale da parte di una nazione occidentale.
Nel 2005 l’Associazione Docenti Universitari britannica (AUT) ha votato il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane coinvolte nell’oppressione dei palestinesi. L’associazione AUT è stata poi costretta a ricredersi dopo una valanga di accuse di antisemitismo provenienti dalle lobby israeliane. Lo scrittore e attivista Omar Barghouti lo definì “terrorismo intellettuale”: un’aberrazione di morale e logica che bolla come antisemita chi protesta contro il razzismo nei confronti dei palestinesi. Comunque, l’aggressione d’Israele su Gaza del 27 dicembre 2008 ha cambiato quasi tutto. La campagna statunitense per un boicottaggio accademico e culturale d’Israele è stata avviata, con Desmond Tutu a capo del comitato consultivo. Nel 2009, il Congresso dei Sindacati Britannici (TUC) ha votato a favore di un boicottaggio dei consumatori. Il “tabù Israele” non esiste più.
Crimini contro l’umanità
A complemento di tutto ciò c’è stato un rapido sviluppo del diritto penale internazionale dal caso Pinochet del 1998-99, quando l’ex dittatore cileno è stato messo agli arresti domiciliari in Gran Bretagna. I guerrafondai israeliani devono ora affrontare un analogo processo in quei paesi dove esistono leggi di “giurisdizione universale”. In Gran Bretagna, l’Atto del 1957 della Convenzione di Ginevra è sostenuto dal resoconto delle Nazioni Unite su Gaza del giudice Richard Goldstone, che il dicembre scorso ha obbligato un magistrato di Londra ad emettere un mandato d’arresto per Tzipi Livni, già ministro degli esteri israeliano, ricercata per crimini contro l’umanità. E a settembre solo una fittizia immunità diplomatica ha salvato Ehud Barak, ministro della difesa durante l’aggressione di Gaza, dall’essere arrestato da Scotland Yard.
Appena un anno fa 1.400 persone indifese furono assassinate dagli israeliani a Gaza. Il 29 dicembre, Mohamed Jasser fu il 367° cittadino di Gaza a morire perché persino quelli che hanno bisogno di cure salvavita non possono ottenere un pass per uscire. Ricordatevi di questo quando vedrete la BBC “bilanciare” queste sofferenze con le codarde proteste degli oppressori.
Ora c’è un vero impulso in atto. Per sottolineare il primo anniversario delle atrocità commesse a Gaza, una processione umanitaria proveniente da 42 paesi – musulmani, ebrei, cristiani, atei, vecchi e giovani, sindacalisti, scrittori, artisti, musicisti e portatori di cibo e medicinali confluì in Egitto. E nonostante la dittatura (corrotta dagli USA) del Cairo ha impedito alla maggior parte di essi di arrivare fino a Gaza, la gente in quella prigione aperta ha saputo di non essere sola, e i bambini sono saliti sui muri a sventolare la bandiera della Palestina. E questo è soltanto l’inizio.
John Pilger
Fonte: www.newstatesman.com
Link: http://www.newstatesman.com/international-politics/2010/01/pilger-israel-palestinian-gaza
14.01.2010
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org a cura da GIANNI ELLENA