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DI JUSTIN RAIMONDO
Antiwar.com

Fu l’8 giugno di 40 anni fa che la USS Liberty – una grande nave riarmata e priva di difese che raccoglieva informazioni nel Mediterraneo alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni – fu attaccata da aerei e missili israeliani. Trentaquattro marinai americani rimasero uccisi e 172 furono feriti. La Liberty riuscì faticosamente a raggiungere Malta.

Un tribunale d’inchiesta della marina americana fu incaricato di investigare sull’attacco, ma – per qualche motivo – agli investigatori non fu consentito recarsi in Israele per capire cosa fosse veramente successo. Ordini provenienti dagli alti livelli del Pentagono impedirono l’inchiesta e a tutt’oggi le famiglie dei caduti non hanno ricevuto risposte sul perché a Israele fu consentito farla franca senza nemmeno un buffetto sulla mano, senza neppure un pubblico riconoscimento che si trattò di un attacco deliberato.

Lungi dal chiedere scusa, gli israeliani hanno negato fino a oggi di aver attaccato consapevolmente la Liberty e – incredibilmente – continuano ostinatamente a sostenere che si trattò di un “incidente”. Questo nonostante la Liberty avesse in orgogliosa evidenza la bandiera americana e fosse facilmente identificabile come vascello americano. La lobby israeliana ha perfino pubblicato un libro, The Liberty Incident, di Jay Cristol, che costruisce intorno al caso uno scenario “accidentale”, ma le famiglie dei superstiti – oltre a un numero considerevole di autorevoli commentatori – non ci credono. Uno di questi commentatori è l’ex capitano della Liberty, Ward Boston, che ha firmato una dichiarazione giurata in cui afferma inequivocabilmente:

“Le prove erano chiare. Sia l’ammiraglio [Isaac C.] Kidd che io ci convincemmo oltre ogni dubbio che questo attacco […] fosse un tentativo deliberato di affondare una nave americana e uccidere il suo intero equipaggio. Era nostra convinzione, basata su prove documentali e testimonianze ricevute di prima mano, che l’attacco israeliano fosse premeditato e deliberato.”

Il capitano Boston afferma che l’ammiraglio Kidd, che fu a capo dell’inchiesta seguita all’episodio, si riferiva frequentemente agli israeliani chiamandoli “bastardi assassini” e che un gran numero di esperti di intelligence e di ufficiali statunitensi sembravano concordare, benché non esattamente in questi termini. L’ex direttore della CIA Richard Helms afferma: “La commissione d’inchiesta [concluse] che gli israeliani sapevano esattamente ciò che stavano facendo nell’attaccare la Liberty”. L’ex Segretario di Stato Dean Rusk afferma:

“Non ho mai trovato soddisfacenti le spiegazioni fornite da Israele. […] Attraverso i canali diplomatici ci siamo sempre rifiutati di accettare le loro spiegazioni. Non gli credetti allora e non gli credo oggi. Quell’attacco fu vergognoso”.

Anche più vergognosa fu la copertura fornita dal Pentagono e dalla Casa Bianca di Lyndon Johnson (detto “Hey Hey LBJ, How Many Kids Did You Kill Today?”). Secondo l’ufficiale David Lewis, che era sottocoperta al momento dell’attacco:

“[L’Ammiraglio Lawrence Geis della 6ª Flotta d’Appoggio] mi disse che, poiché io ero il più anziano tra i sopravvissuti della Liberty, voleva raccontarmi in confidenza ciò che era realmente avvenuto. Mi disse che al ricevimento dell’SOS vennero inviati diversi aerei in nostro soccorso e che Washington fu avvertita dell’operazione. Disse che [il Ministro della Difesa Robert McNamara] ordinò allora che i velivoli ritornassero sulla portaerei, e l’ordine fu eseguito. L’Amm. Geis mi disse di aver pensato allora che forse Washington temeva che gli aerei portassero a bordo armi nucleari, così fece approntare un altro stormo di aerei convenzionali, non equipaggiati con armi nucleari. Dopo averli inviati in nostro soccorso, notificò nuovamente le sue azioni a Washington. Di nuovo McNamara ordinò che gli aerei venissero richiamati. Geis chiese conferma dell’ordine, non riuscendo a credere che Washington avesse deciso di lasciarci affondare. Questa volta fu il presidente Johnson in persona a ordinare di richiamare gli aerei, aggiungendo che non gli importava se tutti gli uomini fossero annegati e la nave affondata, in nessun modo egli avrebbe messo in imbarazzo i suoi alleati”.

Piuttosto che imbarazzare i suoi “alleati”, il Presidente degli Stati Uniti si inchinò alla Lobby e seppellì la verità sulla morte di molti militari americani sotto una montagna di oscurità e di silenzio ufficiale. Come scrisse su The Age Tim Fischer, ex vice primo ministro australiano ed ex ufficiale dell’esercito:

“Se Israele ha deliberatamente attaccato la nazione più potente della Terra, vuol dire che sa di poterlo fare senza patire conseguenze. Peggio ancora, ora il personale militare americano sa che se la verità è politicamente sconveniente, loro e le loro testimonianze sono sacrificabili”.

Quando si ha a che fare con le macchinazioni della Lobby siamo tutti sacrificabili. Questa è l’amara lezione che stiamo imparando mentre una futile guerra in Medio Oriente non solo infuria, ma minaccia di estendersi oltre i confini dell’Iraq. Il nostro “alleato” Israele è un cappio intorno alle nostre gole e sta strangolando lentamente le possibilità americane di sconfiggere l’estremismo islamico nella battaglia per conquistare i cuori e le menti dei musulmani di tutto il mondo. Qualcuno ci libererà mai di questo ingombrante “alleato”?

Temo di no. Il potere della Lobby, come spiegato dagli studiosi John J. Mearsheimer e Stephen Walt, è formidabile come è sempre stato, forse anche di più. Essa si assicura che non vi sia un vero dibattito sulla politica in Medio Oriente, né all’interno del Congresso né nelle riunioni politiche del Governo. Alle sue spie è consentito svolgere impunemente ogni sorta di attività per le quali qualunque altra potenza straniera sperimenterebbe ben presto la rabbia di Washington. Le sue richieste sono considerate il punto di partenza di ogni decisione politica ed essa è ricompensata per la sua mancanza di lealtà verso il proprio principale benefattore con una pioggia di regali di ogni tipo: “aiuti esteri”, prestiti e tecnologie che gli hanno consentito di sviluppare una capacità militare – che comprende le armi nucleari – senza rivali nella regione.

L’affondamento della Liberty e la successiva impunità per gli israeliani è la prova – se mai ce ne fosse stato bisogno – che Israele gode all’interno dei consigli di Stato di una posizione di preminenza che compensa le sue piccole dimensioni e la sua relativa debolezza di colonia totalmente dipendente dalla fornitura di supporto dall’esterno.

I critici potrebbero obiettare che si tratta di storie vecchie, che non c’è ragione di parlare ancora dell’affondamento della Liberty e che se pure non si fosse trattato di un incidente è tempo di lasciare il passato al passato. La Lobby continua ad affermare che chiunque osi anche solo menzionare questo “incidente” non è altro che un antisemita, perché, in fondo, che motivo c’è di parlarne adesso? Il motivo è che questo avvenimento sottolinea la totale falsità dell’affermazione secondo la quale gli interessi americani e quelli israeliani sarebbero sempre e comunque perfettamente convergenti. Gli israeliani attaccarono la Liberty, stando a diversi libri e a un documentario della BBC sull’argomento, per impedire al governo americano di venire a conoscenza dei piani di Israele di occupare le Alture del Golan, un lembo di territorio appartenente di diritto alla Siria che sta ancora creando molti problemi agli interessi americani nella regione. L’incredibile complicità del governo americano nel nascondere la verità relativa ad un attacco perpetrato contro i suoi soldati è tutto ciò che dobbiamo sapere per capire cosa ci sia di sbagliato nella politica estera americana e quale sia la precisa fonte del problema.

Versione originale:

Justin Raimondo
Fonte:www.antiwar.com
Link: http://www.antiwar.com/justin/?articleid=11042
30.05.07

Versione italiana:

Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
Link: http://blogghete.blog.dada.net/archivi/2007-06-01.html
2.06.07

Tradotto da Gianluca Freda

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