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R.I.P.: GLI ESPERTI, 1929-2008

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A cura di Davide
Il 26 Novembre 2008
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DI SASAN FAYAZMANESH
Counterpunch

Un recente invito a parlare “della causa, o delle cause, dell’attuale crisi finanziaria” mi ha spinto a riflettere su un altro topico: “la causa, o le cause, della Grande Depressione”. Ancora oggi gli economisti non sono d’accordo su che cosa provocò la grave depressione che imperversò dal 1929 al 1939: il crollo del mercato azionario del 1929? il successivo panico bancario e la contrazione della base monetaria? la riduzione dei prestiti internazionali e le politiche protezionistiche messe in atto dagli USA (ad esempio lo Smoot-Hawley Tariff Act)? Oppure la “grande contrazione”, come soleva chiamarla Milton Friedman [1], fu la conseguenza delle azioni della Riserva federale, che consentì un declino della massa monetaria, in parte per salvaguardare il regime aureo? In tutti i casi si tratta, ovviamente, di spiegazioni ad hoc.

Il problema è che i “cervelloni” economici degli anni ’20, i cosiddetti esperti, non si resero conto dell’incombente disastro e che, una volta avvenuto, non furono capaci di prevederne in modo esatto l’ampiezza e la durata. Nel loro libro del 1984, ” The Experts Speak: The Definitive Compendium of Authoritative Misinformation”, Christopher Cerf e Victor Navasky citano numerose previsioni e commenti fatti dagli “esperti in economia” nel corso della Grande Depressione [2]. Ecco alcuni esempi. Il 17 ottobre 1929, sette giorni prima del crollo del mercato azionario del “giovedì nero”, Irving Fisher, guru dei principali eventi economici e professore di scienze economiche alla Yale University, scrisse: “Le azioni hanno raggiunto quello che sembra un elevato livello permanente”. Fisher, il grande “esperto in economia” non si fermò qui. Il 14 novembre 1921, dopo il crollo, affermò: “la fine del declino del mercato azionario… non è probabilmente lontana, al massimo qualche giorno”. Un anno dopo il crollo, e nove prima che la depressione finisse, Fisher prevedeva: “Quanto meno, il futuro ci appare luminoso”. Nel 1933 gl’investimenti netti erano in rosso, la produzione di beni e servizi, così come i salari e i prezzi, si era ridotta di un terzo, il tasso di disoccupazione era salito al 24%, il 40% circa delle banche erano fallite e le azioni avevano perso il 90% del loro valore. Ecco il “luminoso” futuro promesso dall’eminente professore di scienze economiche.
Ma Fisher non fu il solo autorevole “esperto” a sfornare informazioni sballate. Il 15 novembre 1929 Bernard Baruch, consigliere presidenziale e altro “esperto” del mercato azionario, sostenne: “La tempesta finanziaria è definitivamente alle nostre spalle”. Il 24 ottobre 1929 Arthur Reynolds, presidente della Continental Illinois Bank di Chicago, previde a sua volta: “Il crollo non avrà grosse conseguenze nel settore industriale”. Dal suo canto, Thomas C. Shotwell dichiarò, nella sezione “Wall Street Analysis” del World Almanac 1929: “Il mercato sta seguendo le leggi economiche naturali e non c’è ragione di temere che prosperità e mercato non si mantengano per molti anni a un livello così elevato, o anche superiore”. Gli esperti governativi non vollero essere da meno, e nel dicembre 1929 il Department of Labor statunitense annunciò che l’anno successivo sarebbe stato “splendido dal punto di vista del lavoro”.

Per andare sul sicuro, ci sono sempre quelli che “predicono sette delle due recessioni passate”, e la Grande Depressione non fece eccezione. Il 12 ottobre 2008 il New York Times, nel ricordare molte delle citazioni più sopra riprodotte, ha aggiunto: “Naturalmente non tutti erano così ottimisti”. Secondo il quotidiano, “Roger Babson, ben noto uomo d’affari ed editore di statistiche finanziarie e industriali”, segnalò, nel corso di una conferenza di lavoro il 5 settembre 1929: “Ci sono più persone che si stanno indebitando e giocando d’azzardo oggi che in qualsiasi altro momento della nostra storia. Prima o poi ci sarà un crollo, e potrebbe essere devastante. Oggi gl’investitori accorti eliminano i propri debiti e operano con prudenza”. Ma, come sottolineava il Times, lo stesso Babson aveva affermato un anno prima: “l’elezione di Hoover e la maggioranza repubblicana al Congresso garantiranno il perdurare della prosperità anche nel 1929”.

Perché questi esperti sbagliavano così grossolanamente? Sbagliavano soprattutto perché le scienze economiche sono una disciplina poco sviluppata e dominata da una spudorata base ideologica. La scuola dominante durante la Grande Depressione era, e continua ad essere anche oggi, quella “neoclassica” o marginalista. Ma il mondo “neoclassico” non conosce il termine “crisi” e non rispecchia quello reale in cui viviamo: è un mondo senza classi popolato da “consumatori” e “produttori”, un mondo armonioso costruito soprattutto su modelli matematici. In questo universo non esiste la storia: niente passato, presente o futuro, e senza i problemi della nostra vita reale, in particolare senza eventi catastrofici. L’irreale, insipida e astorica scuola marginalista avrebbe dovuto essere abbandonata da molto tempo, e in ogni caso dopo la Grande Depressione, ma la sua apparente eleganza matematica e la sua genuina e sfrontata difesa del capitalismo (o del “libero mercato”, come preferiscono chiamarlo i suoi sostenitori) l’hanno mantenuta in vita. Naturalmente, dopo la Grande Depressione la teoria è stata leggermente modificata sfruttando alcune idee di John Maynard Keynes. L’aristocratico inglese tentò di introdurre qualche elemento di realtà in una teoria irreale, ma il risultato, la cosiddetta “teoria economica neoclassica”, non è altro che un miscuglio di idee non collegate, poco chiare e incoerenti che vengono rifilate agli studenti di scienze economiche con l’etichetta di “microeconomia” e “macroeconomia”.

Una situazione simile non permette di formulare analisi intelligenti del passato o del presente. E non permette nemmeno di fare previsioni sul futuro, in particolari sulle crisi a venire. Nel 1988, un articolo scritto da alcuni eminenti economisti, e pubblicato nella più prestigiosa pubblicazione di economia, affermava: “Le anticipazioni dell’epoca e le moderne analisi delle serie temporali non potevano prevedere il profondo declino della produzione dopo la crisi [del 1929]” [3]. In altre parole, gli economisti dell’era della Grande depressione, o gli equivalenti di oggigiorno, non disponevano di strumenti che permettessero di capire i sommovimenti economici e di prevederli. Le spiegazioni sulle “cause” delle crisi attuali sono molteplici.

Tra le altre spiegazioni, i rovesci finanziari del 2008 sono stati attribuiti ai titoli ipotecari MBS, (in particolare a quelli legati alle ipoteche subprime), alla bolla immobiliare (aggravata da prestiti predatori, pericolosi e sconsiderati), ai derivati (gli strumenti finanziari esotici elaborati da qualche stregone di Wall Street) quali i CDS (credit default swaps), all’11 settembre 2001 e alla successiva invasione statunitense dell’Iraq (con il conseguente aumento dei prezzi petroliferi), all’irrazionale esuberanza del mercato azionario (seguita da un suo consistente calo), alle ripetute riduzioni del tasso di sconto e dei tassi di fondi mirati messe in atto nel 2001-2003 dalla Riserva federale, dai tenaci errori di Alan Greespan, presidente del FED (che recentemente si è sentito in uno “stato di scioccante incredulità” nell’apprendere che “l’interesse personale degl’istituti di credito” non aveva protetto “il capitale degli azionisti” [4]), alla liberalizzazione del settore bancario (in particolare con il Financial Services Modernization Act del 1999 o con il Gramm-Leach-Bliley Act), ai problemi di liquidità in senso lato, alla mancanza di fiducia nel sistema finanziario e nel mercato creditizio, e via di questo passo.

Anche se potrebbero contenere una parte di verità e meritare quindi un ulteriore approfondimento, le singole spiegazioni “causali”, o anche una loro combinazione, sono però soprattutto ricostruzioni “a posteriori”: nessuno dei vari economisti che oggigiorno imperversano sui media per dirci quali sono stati i motivi della catastrofe del 2008 è stato capace di prevedere la crisi uno o due anni orsono. Naturalmente c’è sempre un Roger Babson o un “Dr. Catastrofe” che ha indovinato sette delle ultime due recessioni. Ma tra migliaia di esperti è ovvio che uno o due l’abbiano di tanto in tanto azzeccata. Non dimentichiamo quelli che avevano spudoratamente annunciato cose come “La Grande depressione degli anni 90”: potranno aver ottenuto fama e denaro prima di quel decennio, ma ora le copie dei loro libri si possono acquistare su Amazon.com per pochi centesimi.

Panico finanziario e cataclismi economici non sono fenomeni nuovi nell’economia capitalistica. Sin dall’epoca della teoria classica, la storia di questo sistema mostra che crisi monetarie e “fenomeni estremi” avvengono con relativa frequenza. È prevedibile che laddove i beni vengono prodotti non per l’uso ma per il profitto ci saranno sempre “fenomeni estremi”, che quando si definiscono virtuosi i comportamenti avidi e si considera l’ingordigia una qualità gli strumenti finanziari esotici incessantemente creati da Wall Street (e prima ancora da Lombard Street) si rivelino un continuo inganno reciproco, che finanzieri e industriali tentino astutamente d’impedire nuove regolamentazioni e di aggirare quelle esistenti. In un’economia in cui il sostentamento delle masse dipende dai capricci e dai desideri dei capitani d’industria o dei finanzieri è inevitabile che queste stesse masse vengano ora chiamate a finanziare i pescecani. Come ha detto Bush nella riunione sull’economia del 14 ottobre 2008, le misure “non mirano a eliminare il libero mercato, ma a salvarlo”. Sono tutte cose prevedibili. Quello che invece non è prevedibile è la nostra capacità di anticipare con esattezza quando la fiera dormiente si sveglierà, si scuoterà e attaccherà. Non disponiamo di una struttura teorica che ci permetta affermazioni di questo genere. Proprio come quelli che ci spiegarono a posteriori e con assoluta sicurezza le cause della Grande Depressione, anche coloro che con grande fiducia in se stessi c’indicano le cause della crisi attuale sono probabilmente quelli che meno ne sanno sull’immonda fiera.

Per quanto mi riguarda, sono contenta che la mia intervista “sulla causa, o le cause, dell’attuale crisi finanziaria” sia stata rimandata a data da definire “per motivi tecnici”. Le mie risposte sarebbero state probabilmente diverse da quelle che l’intervistatore avrebbe voluto sentire.

Sasan Fayazmanesh è professore di Scienze economiche alla
California State University di Fresno.
Può essere contattata all’indirizzo: “mailto:[email protected][email protected]

Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/sasan11142008.html
14/16.11.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

Note

[1] “The Role of Monetary Policy,” Milton Friedman, The American Economic Review, Vol. 58, No. 1 (marzo 1968), pp. 1-17.

[2] Una versione aggiornata e ampliata del libro è stata pubblicata nel 1998.
[3] “Forecasting the Depression: Harvard versus Yale,” Kathryn M. Dominguez, Ray C. Fair and Matthew D. Shapiro, The American Economic Review, Vol. 78, No. 4 (settembre 1988), pp. 595-612.
[4] “Greenspan Concedes Flaws In Deregulatory Approach,” The New York Times, 24 ottobre 2008.

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