DI PIERO LA PORTA
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Quirinale, da sempre il vero terreno di scontro di quanti vogliono controllare la politica italiana.
Oggi la situazione appare confusa; in realtà il bandolo di essa è sempre il medesimo criterio: chi possiede il rapporto di forze più rilevante? Gli Stati Uniti d’America, quantunque altri si siano fatti avanti negli anni – la Germania innanzi tutto – e altri siano arretrati, come la Russia.
La Gran Bretagna ha funzioni ancillari per Washington; la Francia ha agenti nel mondo della finanza e dell’industria, la cui capacità d’influenza è tuttavia inversamente proporzionale ai guadagni che traggono dai loro tradimenti.
L’ingresso di Giorgio Napolitano al Quirinale col plauso del Dipartimento di Stato ha svelato o, meglio, reso più chiara una verità sempre più nitida dalla morte di Aldo Moro in poi: Washington ha scommesso da tempo sullo zoccolo berlingueriano del Partito Comunista Italiano.
La linea politica del “compromesso storico” fu tratteggiata da Giorgio Berlinguer con tre articoli su Rinascita, l‘ultimo dei quali uscì il giorno dopo l’attentato che egli subì a Sofia, il 3 ottobre del 1973, mentre si recava in aeroporto, per tornare in Italia, dopo la burrascosa visita ai compagni bulgari. Il 6 giugno del 1976, quattro giorni prima delle elezioni politiche, rilasciò la celebre intervista a Gianpaolo Pansa sul Corsera, con la quale Berlinguer si disse più sicuro sotto l’ombrello dei missili NATO.
Aldo Moro non poteva immaginare che quella era la sua campana a morto, tuttavia da quel momento in avanti il cammino parallelo fra Botteghe Oscure e via Veneto fu sempre più evidente.
Questo cammino, secondo una nostra fonte, s’avviò con tutte le tortuosità e circospezioni possibili, ben prima del 1973 e, in qualche modo, spiega pure l’altrimenti inspiegabile efferatezza dell’attentato alla vita di Berlinguer, una misura che non fu usata neppure con Alexander Dubček, di gran lunga più pericoloso di Berlinguer, in apparenza.
La nostra fonte, le cui confessioni riveleremo tra qualche tempo, è uno degli ultimi veri nobili italiani, incontaminato dai mercimoni politici del dopoguerra: «Parte significativa dei casati siciliani e napoletani s’accomodò nelle anticamere degli statunitensi, quando fu chiara l’inconsistenza dei sogni separatisti. […] Nel 1949 l’Italia entrò nella NATO, quindi la politica inglese (separatista n.d.A.) fu sconfitta. A novembre Truman avvertì il mondo che i sovietici avevano la Bomba. Il 5 luglio successivo morì Salvatore Giuliano. L’avventura separatista era finita. Un segnale inequivocabile: sotto l’ombrello USA si andavano posizionando tutti, anche partiti come il Msi e il Pci. La dichiarazione di Enrico Berlinguer del 1976, mi sento più al sicuro coi missili della Nato, disse più o meno così, nacque nei giorni del separatismo e si sviluppò pian piano fino a esplodere trent’anni dopo. […] I conciliaboli che andavamo organizzando dalla fine del 1942, […] ovunque fosse possibile, mano a mano che tornava un minimo di normalità, mi coinvolsero in tre o quattro occasioni, al seguito di mio padre; […] Per comprendere il clima di quelle riunioni bisogna ricordare che noi siamo classe dirigente da secoli, taluni di noi da oltre un millennio; conosciamo quindi i meccanismi del potere; siamo consapevoli delle debolezze di chi non ha il potere, ma lo desidera nonostante sia privo di qualità, e sappiamo quale sia la funzione sociale della ricchezza, sebbene molti di noi l’abbiano dimenticato.»
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