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FONTE: ROSSLAND (BLOG)

Qualcuno davvero crede ancora che votare sia il mezzo “democratico” per poter cambiare politicamente qualcosa?

Nemmeno a livello locale, ha ormai senso, visto che le stesse amministrazioni comunali possono, se il budget glielo consente, decidere al più se far ritoccare con una leccata di asfalto le buche delle strade paesane, se spendere denaro pubblico per la nuova giostrina del parco giochi o per rasare le aiuole delle rotonde.

Se la finanza pubblica locale non è completamente libera di disporre dei propri fondi, e non lo è, tanto meno lo è per quanto attiene la spesa per sanità locale, scuola locale, pensioni, welfare, ecc, tutte materie sulle quali a decidere sono Unione Europea e, a discesa, Governo e Regioni che a quella ormai rispondono.

Può forse un sindaco decidere autonomamente, ad esempio, la gestione della raccolta rifiuti?
In teoria sì. In pratica, dovrà tener conto delle direttive nazionali ed europee in materia di ottimizzazione della spesa e, a breve (v. Ttip), degli interessi nel settore da parte di società che sulla gestione rifiuti avessero il loro core business e si sentissero danneggiate dall’esclusione dai profitti che questo business genera.
L’obiettivo, come ormai dovrebbero sapere anche i sassi, non è poi più quello di una più efficace e meno dispendiosa raccolta comunale, ma quello di andare in tempi brevi verso max 4/5 grandi Multiutility nazionali in grado di gestire in cloud tutti i servizi pubblici essenziali quali rifiuti, fornitura energia/gas, trasporti locali/provinciali/regionali, ecc. così da garantire a queste società buone performances in Borsa e quindi buoni guadagni agli azionisti.
La questione è ovviamente più complessa di così, ma il risultato è sempre il medesimo: estrarre più denaro possibile dalle tasche dei cittadini che dei servizi pubblici essnziali hanno bisogno, non certo il ridurre i costi (che infatti continuano a lievitare nonostante la notevole riduzione della rumenta nazionale raccolta).

L’esempio dei rifiuti può essere applicato a ogni gestione dei servizi pubblici locali: privatizzare, eliminare il piccolo e far convergere ogni servizio verso grandi società è l’obiettivo.

Cos’é allora questa esaltazione da stadio post elezioni amministrative?

L’elezione di un sindaco non ha nulla a che fare con destra e sinistra così come non ne ha a livello nazionale.
Votare non ha più nulla a che fare con la politica, non si tratta più di schieramenti o partiti che rappresentano una diversa visione del mondo e della società ma, a ben vedere, ha tutto a che vedere con l’elezione di amministratori, siano questi locali, regionali o nazionali, da assumere al servizio di quella cessione di sovranità cui ci sollecitano apertamente e da tempo politici, economisti, ex presidenti della Repubblica e teutonici leader europei.

Poco/niente potrà fare di testa sua un diverso sindaco eletto sotto diverso simbolo elettorale: eseguirà, alla fine, come quasi tutti quelli che lo precedono attualmente, esattamente ciò che gli è richiesto.
Nulla potrà di diverso, almeno nelle questioni che stanno più a cuore ai cittadini (salute, casa, scuola, sanità, ecc), che sono invece ben chiare nelle direttive di Bruxelles e, in ultima istanza, degli UE-Usa.

D’accordo, asfalterà strade, fare ripulire i tombini, sarà impegnato a presenziare a inizi di anno scolastico, a tagliare nastri alle inaugurazioni di opere pubbliche che non appartengono però ai cittadini ma sono patrimonio a bilancio di cui può disporre l’amministrazione contabile nazionale e, in ultima istanza, Bruxelles, se dovesse servire a recuperare crediti nazionali. Il sindaco parteciperà alle fiere del paese e si assumerà in proprio le rogne derivanti dal primo evento catastrofico che si dovesse verificare, per la cui gestione dovrà chiedere comunque permesso al governo in franchising e poco importa se avrà i soldi o meno per mettere subito all’opera aiuti o cantieri.
Alla peggio, come ormai è d’uso, aprirà un conto corrente sul quale far convergere aiuti economici di volontari benefattori e donazioni di enti o fondazioni, e alla fine, pur sempre di altro denaro estorto, sotto la bandiera della Beneficenza Spa alla cittadinanza, si tratta.
Sue le responsabilità della gestione rogne, sia chiaro, ma né più né meno di quanto non sia ritenuto responsabile della buona gestione economica un qualunque responsabile di una filiale in franchising di una multinazionale.

Ciò che si vota, quando si vota alle amministrative, è appunto un amministratore per conto terzi, che gli stanno sopra nella catena di gestione del territorio.
Il quale amministratore si accolla l’onere di rispondere ai cittadini delle sue mancanze, più della metà delle quali non dipendono però da lui, ma da organismi UE-Usa che gli stanno sopra e dai quali prende le direttive sulle cose che davvero contano (e costano).

C‘importa quindi che a Roma sia in testa la Raggi 5S o se la giochi al ballottaggio con Meloni destra e Giachetti Pd?
Cos’é tutta questa caciara sulle percentuali e cosa sono tutte le ore di sproloqui sui media?
Chiunque “vinca”, chiunque abbia vinto o vincerà, avrà solo vinto al concorsone per un posto di amministratore locale di interessi extra nazionali.
Con buona pace del tifo e degli appelli alla pratica di democrazia del voto.

Ah, ecco, sì: ora mi arrivano quelli che bisogna combattere la corruzione nelle pubbliche amministrazioni e mandare a casa i disonesti.

A volte mi viene il dubbio che, in questa Unione Europea, voluta certo dalla vecchia combriccola di servi ancora al potere, l’unico modo di sopravvivere di un Comune sia appunto tirar su migranti, così da poter lucrare qualche euro extra in compagnia di cooperative e associazioni volontarie ma a pagamento.
Tanto rimane tutto nella stessa pentola de’ noantri, no?

P.S. 7.06.2016 – h. 9.52
Sintonia perfetta con l’autore di questo pezzo su Libreidee dal quale copio/incollo quanto qui sotto:
Nessuno, tra i principali candidati italiani delle amministrative, ha declinato in modo chiaro, a livello locale, l’opprimente quadro sovranazionale, da cui dipende anche la sofferenza quotidiana dei Comuni, a prescindere dal colore politico dei suoi amministratori di turno.
6.06.2016
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