DI PAOLO BARNARD
paolobarnard.info
Prima di giudicare la “brutalità
dei negri”…
2003, febbraio, sono nei Territori Occupati, Palestina. Ho
finito un servizio e prendo un taxi palestinese per tornare in Israele. Bisogna
passare per i soliti posti di blocco israeliani, che in quei luoghi è come dire le strisce
pedonali da noi, migliaia e ovunque. Un inferno di rallentamenti,
maltrattamenti, azzeramento dei diritti umani ecc. Storia nota. Il taxista mi
dice di tentare il passaggio dalla barriera di Tel Haar (credo fosse quello il
nome, non ne sono però certo), mi dice che in genere è più veloce a quell’ora,
perché da lì passano solo gli operai e i manovali palestinesi che vanno e tornano dal lavoro in
Israele, cioè alba e tramonto. Ok, ci arriviamo. Io tutto quello che vedo è un
tunnel di cemento come unica via di passaggio. M’incammino e lo percorro,
dritto, curve, angoli, ma non incontro né sbarre né soldati. Alla fine esco
dall’altra parte, che è Israele. Strano, ma che è sta storia?
Mi guardo attorno e tutto quello che vedo è una strada
sterrata che scende verso Gerusalemme con ai lati mucchi enormi di pietre
bianche spaccate, massi o pezzi di muri sbriciolati. Indosso un giaccone invernale
e porto in spalla un’ampia borsa per la telecamera e il resto. Ho i capelli
neri e ricci, un po’ di barba incolta. D’improvviso sento un urlo in una lingua
che non capisco, non è arabo, deve essere ebraico, un urlo isterico e
minaccioso. Mi guardo intorno, non c’è nessuno, deserto totale, cielo coperto,
qualche goccia di pioggia che inizia a cadere. L’urlo si ripete, più isterico e
più minaccioso. Ma dove cazzo è sto idiota che starnazza? Cristo! Guardo e
riguardo, nulla, solo pietre e cielo. Quello urla ancora e adesso qualcosa mi
vibra dentro, si chiama inquietudine, magari paura. Sono in una zona di guerra,
lo sapete, tutto lì è militarizzato. Ma chi cazzo èèèè?
Poi, quel rumore. Non posso descrivervelo perché o lo si
sente oppure è inutile: clack, clack.
Sicura disinserita e mitra caricato. O Madonna, Oddio, no, no, Oddio Oddio no. Ci
metto meno di un cinquecentesimo di secondo a pensarlo, mentre una parte fredda
del mio cervello pensa “sta arrivando,
dove mi prenderà? Forse sopravvivo”. Un’altra parte mi fa urlare REPORTER!
JOURNALIST! PRESS… PREEEESS… ITALIAN, ITALIAAAAAN!!!!! E lo grido al nulla,
perché lì non c’è nessuno, ma nessuno, dove sono? Doveeeeee? Quello urla di
nuovo, Gesù, adesso sembra l’urlo di un serpente a sonagli se i serpenti avessero
la voce. Torno a gridare reporter eccetra, ma adesso una parte di me sprofonda
in un orribile magone, il magone di morire lì, di non rivedere più chi amo, la
mia famiglia, di vedere distrutto tutto quello che sono e che ho così
faticosamente costruito nella mia crescita per mano di un pezzo di merda armato
che neppure si fa vedere. Poi basta. Ricordo veramente che mi misi zitto, lì in
piedi, come a significare che tanto è inutile opporsi alla tua ora, vaffanculo,
vaffanculo tutto, Dio, me, la vita, ma vaffanculo.
I miei occhi fissano rocce e sassi, ma è a quel punto che a
sinistra vedo una specie di luccichio, viene da uno spazio nero di non più di
10 cm fra due pietre in uno di quei grossi mucchi. Maledetti, ecco dove sono, quel
mucchio copre un bunker e sono lì sti bastardi. Fisso la canna di quel mitra e senza
accorgermene inizio ad allontanarmi. Sono due Paoli che si allontanano, uno che
si dà un contegno, l’altro che si sente sodomizzato, dall’umiliazione. Pochi
minuti prima ero là ridotto a uno zero in qualsiasi cosa fosse la mia dignità
di persona e di professionista, che supplicavo di non morire, che mi sentivo privo
di attributi maschili dalla paura, e del tutto ignorato nella mia comunicazione
umana, nel mio pianto interiore. Non valevo nulla per quelli là, ero disumanizzato.
Chi legge i rapporti di Amnesty International, di B’Tselem,
di Human Rights Watch, di Gush Shalom, sa che questi episodi stuprano la vita
di donne, bambini e lavoratori palestinesi ogni singolo giorno dal 1967, e
anche da prima. Questi e di peggio, molto di peggio, leggetevi i rapporti se
avete stomaco. Ogni giorno, mentre tentano di guadagnarsi la vita da emigranti
pendolari in Israele. Io ne ho vissuto uno e mi ha fatto sentire uno zero di
nessun valore. Ancora oggi mi fa schifo ricordarlo, mi dà rabbia e ancora
umiliazione. Loro, i civili palestinesi, quanti ne vivono? E come si esce da un’esistenza
così? Anzi: è esistere vivere stuprati in quel modo ogni giorno? con poi le sparizioni nella carceri israeliane senza diritto di difesa (anche a 14 anni), pulizia etnica, brutalizzazioni inimmaginabili, torture, privazioni da far impallidire l’Apartheid africana, e tanto altro abominio.
Allora Saviano e Travaglio, ve lo ripeto perché ve l’ho già
scritto: siete vomitevoli nella vostra falsità morale quando, di fronte al
carpaccetto all’aceto balsamico nel ristorantino di Venezia, difendete Israele
e condannate la reazione convulsa e violenta dei negri. Di un popolo martoriato
fino all’incredibile da oltre 80 anni.
Prima di giudicare la “brutalità
dei negri”… voi porci morali. Per fortuna mi basta guardare una foto di Vittorio
Arrigoni per estirpare dalle mie pupille le vostre facce ributtanti. Vittorio
Arrigoni. Vittorio. Imparate questo nome. Vittorio, Arrigoni.
Questo ha senso raccontare adesso.
Paolo Barnard
Fonte: http://paolobarnard.info
Link: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=566
11.02.2013