QUELLO CHE GLI USA VOGLIONO DALL'IRAN

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DI EHSAN AHRARI

Il Presidente George W Bush è stato molto critico verso le elezioni presidenziali Iraniane, che sono culminate nella scelta tra il pragmatico religioso Ayatollah Hashemi Rafsanjani e il conservatore Mahmud Ahmadinejad. Bush potrebbe non essere l’unico critico sulla questione. Questa comunque non è l’unica ragione per cui Iran e Stati Uniti non si piacciono a vicenda. Infatti, l’assenza di democrazia potrebbe essere la ragione di fondo per cui queste nazioni così frequentemente mostrano reciproca irritazione e fastidio. Anche se l’Iran si trasformasse in una democrazia, la pacificazione tra USA e Iran probabilmente non si materializzerebbe lo stesso. L’unico modo per diventare uno stato “amico” degli Stati Uniti, è che l’Iran diventi uno stato vassallo, come l’Afghanistan e, più recentemente, l’Iraq. Nell’era post 11-Settembre gli USA stanno spingendo per un nuovo ordine mondiale, mentre l’Iran non vuole esserne parte, perché non ha intenzione di diventare un altro tassello della emergente Pax Americana. Le intenzioni, almeno in questo caso, non serviranno probabilmente a salvare l’Iran da un altro cambiamento di portata epocale. Sebbene abbiano sostenuto il rifiuto di portare importanti e immediati cambiamenti all’interno della vita politica, gli ayatollah più oltranzisti potrebbero diventare la ragione principale della fine della Repubblica Islamica. Che è quello che vuole l’amministrazione Bush. Solo che in questo caso gli stessi tradizionalisti potrebbero essere i portatori di un cambio di regime in Iran.

Gli attacchi terroristici agli USA hanno creato un fenomeno, una nuova fermezza da parte dell’amministrazione Bush nel soggiogare i paesi Musulmani. Questa è la strategia generale. I nuovi eufemismi sono “trasformazione” o “democratizzazione”. Il presupposto generale alla base sembra essere che, se questi paesi diventassero secolari democrazie all’occidentale, non solo diventerebbero amici dagli USA, ma accetterebbero anche l’egemonia Americana nella regione. L’implementazione della democrazia in Afghanistan e Iraq attraverso l’uso della forza è la manifestazione cruciale di tale teoria.

Questo però è solo l’inizio di una nuova tendenza. Attraverso questi atti gli Usa sono determinati a mantenere una presenza permanente in entrambi questi paesi. L’Afghanistan ha già firmato un accordo strategico che garantisce agli Usa un presenza militare permanente nel paese. Se i resistenti Iracheni accetteranno la tregua e se l’Iraq diventasse un paese pacificato, gli USA avrebbero tutta l’intenzione di rimanere laggiù permanentemente, stabilendo basi militari. Il pensiero generale a Washington è che Iraq e Afghanistan pro-Americani sarebbero centri strategici fondamentali per combattere la “guerra al terrorismo” globale, in Oriente e Golfo Persico e Asia del Sud, rispettivamente.

L’Iran è visto come l’ostacolo principale nella applicazione di questa strategia del soggiogamento. Oltre a questo, la rivoluzione Islamica del 1979, nonostante il fatto che abbia perso per strada quasi tutto il suo fervore rivoluzionario, viene vista da Washington come una forza che ancora può minacciare gli USA in Medio Oriente. Sebbene il suo potenziale militare non sia comparabile alla sola superpotenza rimasta, l’Iran è ancora una importante potenza militare nel Golfo Persico. Inoltre esiste l’apparente aspirazione Iraniana a sviluppare armi nucleari, nonostante la sua insistenza ad affermare il contrario. Se il suo diniego è vero, ci si domanda come mai l’Iran voglia continuare il suo programma di arricchimento dell’uranio, un passo importante verso lo sviluppo di armi nucleari.

Due fattori fanno scricchiolare le dichiarazioni dell’Iran sulle pacifiche intenzioni del suo programma nucleare. Primo, l’Iran continua un vigoroso e ambizioso programma per sviluppare missili balistici a lunga gittata. Recentemente, il 31 Maggio, ha annunciato di aver testato con successo un nuovo motore per missile a combustibile solido, per il suo armamento di missili a medio raggio. Questa tecnologia, secondo le dichiarazioni ufficiali, dovrebbe incorporare anche il missile iraniano Shahab-3. Questi missili hanno una gittata di almeno 2.000 chilometri. Nel descrivere questa gittata, gli esperti occidentali rimarcano che, con questi missili, l’Iran potrebbe colpire le basi Israeliane e Americane nella regione. Nessun paese che sviluppi tali missili e al contempo rifiuti di fermare il suo programma per l’arricchimento dell’uranio sarebbe in grado di convincere chiunque che non ha intenzione di sviluppare armi nucleari in un prossimo futuro.
Secondo, le attività dell’inquietante programma nucleare del Pakistan  hanno creato una così densa cortina di incertezza che nessuno conosce la precisa natura dell’attuale know-how nucleare in possesso dell’Iran (cioè, quanto è lontano l’Iran dallo sviluppare realmente armi nucleari). A Washington esistono serie apprensioni sul fatto che il programma nucleare dell’Iran sia molto più avanti di quanto si pensi comunemente.


Il missile balistico Shahab-3

Gli Usa si trovano in una situazione difficile nei confronti dell’Iran. Le arroganti dichiarazioni dell’amministrazione Bush, relative a un cambio di regime prima della invasione dell’Iraq si sono trasformate in cruda realtà nella fase di post-invasione. Gli USA stanno sperimentando il fatto che rovesciare un regime in un paese mussulmano è piuttosto semplice, usando la forza militare. Resta poi il fatto che governare è praticamente impossibile. Ora gli stati maggiori dei neo-conservatori di Washington stanno provando sulla loro pelle il senso “shock e immobilismo”. Nonostante questo, rimane reale la necessità di fermare l’Iran prima che sviluppi armi nucleari.

Allo stesso tempo, ricordando la campagna di disinformazione circa il presunto possesso di armi nucleari da parte di Saddam Hussein, quando il conflitto con un altro paese implica il tema delle armi nucleari, l’amministrazione Bush ha ben poca credibilità in ambito internazionale. Questa potrebbe essere una delle ragioni per cui gli USA sono stati obbligati ad affidarsi agli strumenti di controllo per la armi nucleari delle Nazioni Unite e a consentire a 3 paesi della CE (Francia, Germania e Gran Bretagna) di negoziare con l’Iran a riguardo del suo programma di arricchimento dell’uranio. Ancora, il linguaggio pieno di minacce e lusinghe è stato utilizzato ad intermittenza, con frasi tipo “tutte le opzioni sono sul tavolo” o attraverso discussioni pubbliche in circoli semi-ufficiali sulla possibilità di lasciare ad Israele la scelta di portare attacchi preventivi sulle installazioni nucleari Iraniane. Alcuni rapporti affermano che la Forze Speciali USA hanno portato a termine missioni ricognitive per carpire informazioni sui siti missilistici, chimici e nucleari in Iran, in preparazione di possibili attacchi.

L’Iran potrebbe essere vulnerabile a riguardo del suo programma nucleare: in ogni caso il suo ruolo simbolico di contendente contro le aspirazioni egemoniche degli USA nel Medio Oriente rimane la sua fonte principale di forza. La strategia di ritornare alle sue radici islamiche come fonte legittima per governare potrebbe essere stata resa permanente se si fosse sviluppata con serietà una struttura poggiante solidamente su Islam  e democrazia. Purtroppo la sola idea di tale struttura è morta quando, nel suo ardore di umiliare gli USA, gli oltranzisti della rivoluzione Islamica hanno applicato la tattica di tenere in ostaggio diplomatici Americani nel 1979. Attraverso quella azione, potranno anche aver trovato motivi di orgoglio, almeno per loro stessi,  ma niente più. Il problema è che quell’azione ha dato il via ad una pessima tradizione di estremismo da cui la Repubblica islamica deve ancora liberarsi.

Man mano che l’Iran continua ad affondare in una tradizione di radicalismo, il desiderio degli USA per un cambio di regime potrebbe diventare realtà, eccetto il caso in cui il prossimo cambio di regime in Iran sia portato avanti dai giovani, senza altro fine che non sia quello di porre fine al governo religioso Islamico. Alcuni osservatori occidentali hanno riferito che i giovani Iraniani hanno mostrato una considerevole preferenza per i valori occidentali, inclusa la democrazia. Teniamo presente però che questi sono gli stessi osservatori che ci dissero che le truppe Americane sarebbero state ricoperte con petali di rose una volta che fosse stato rimosso dal potere Saddam Hussein.

Non esistono dubbi sul fatto che l’amministrazione Bush voglia vedere la fine della Repubblica Islamica. Per essere più precisi, questo è quello che vogliono veramente vedere gli Usa in Iran. Quello che può seguire come potenziale sviluppo in un prossimo futuro è l’inizio di una nuova era di anarchia, ma almeno gli USA non verranno criticati per aver portato ad una tale esecrabile situazione – specialmente se non favoriranno lo sviluppo degli eventi con operazioni coperte. Gli oltranzisti Iraniani dovranno criticare il loro sconvolgente oscurantismo e la loro stupida ostinazione per la tragica fine della Repubblica Islamica.

Il primo round delle elezioni presidenziali in Iran non ha lasciato molto spazio alla speranza di un cambio politico in Iran negli anni a venire. Il risultato per il secondo round arriverà dalla scelta tra Rafsanjani o Ahmadinejad – ognuno dei quali potrebbe portare il paese sull’orlo del prcipizio.

Ehsan Ahrari
è un analista strategico indipendente che vive ad Alexandria, Virginia, US. Le sue colonne appaiono regolarmente su Asia Times Online. È anche collaboratore abituale del Global Beat Syndicate. Il suo sito web: www.ehsanahrari.com
 

Fonte: www.atimes.com/
Link:http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/GF25Ak03.html
25.06.05

 
Traduzione per www.comedonchisciotte a cura di Milho (milho.ilcannocchiale.it)

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