DI MARCO DELLA LUNA (BLOG)
La presente crisi economica è un’operazione di riforma degli assetti globali e si articola in tre fasi, funzionalmente ben distinte.
La prima fase è consistita in un massiccio trasferimento-accaparramento del potere d’acquisto da parte di soggetti soprattutto finanziari che hanno speculato sul petrolio, sulle leve finanziarie, sui rialzi dei tassi, sul liquidity crunch da prodotto, e a danno di consumatori di petrolio, risparmiatori, fruitori del credito – ossia imprese, enti pubblici, soggetti privati; tutte queste categorie si trovano impoverite, incapaci di mantenere i consumi, di far fronte ai pagamenti, di conservare i mercati.
La seconda fase consiste nel rastrellamento degli assets: i soggetti che si sono arricchiti con la prima fase comperano sottocosto dai soggetti che essi, sempre con la prima fase, hanno impoverito: comperano quote del debito nazionale degli USA, di grandi società, di aziende strategiche, di risorse primarie (acqua, terreni agricoli). La terza fase vedrà i potentati che hanno condotto le due prime fasi imporre una loro adeguata rappresentanza, o la loro leadership, negli organismi di potere globale – WTO, IMF, WB, BIS, etc. Il mondo ne uscirà assai diverso. Assai meno bianco. La Cina (che ha riserve valutarie immani) e i paesi arabi petroliferi, direttamente o con i loro fondi sovrani, saranno i principali vincitori di questa partita, ponendo fine all’egemonia occidentale – se la partita si concluderà così. Ma pare che la contromossa sia già ben avviata.
Gli USA sino a qualche settimana fa erano all’angolo – perdenti su tutta la linea: debito interno fuori controllo, debito estero fuori controllo, imprese militari in stallo, credibilità internazionale a picco, consenso alle istituzioni ai minimi storici. Attraverso le smagliature di una politica sempre meno condivisibile iniziava ad apparire l’establishment che quella politica aveva voluto, i gruppi di potere finanziario-militare organizzati di cui Cheney e i Bush sono i rappresentanti: la corporate society, la società governata dalle grandi corporations.
Con l’elezione di Obama, fermi restando il debito interno, il debito estero, lo stallo militare, e soprattutto fermo restando quell’establishment, la credibilità interna e internazionale del potere USA è stata rapidissimamente ripristinata, anzi esaltata con valenze messianiche, con aspettative di profonda innovazione morale – nonostante che Obama stesso non abbia affatto presentato un programma concreto in tal senso, ma solo fatto aperture in senso liberale in fatto di diritti civili (aborto, staminali, etc.). Il vero sistema di potere, le grandi corporations, sono usciti dal campo dell’attenzione, oppure appaiono come validamente controbilanciati dal presidente della speranza.
Se Obama avesse voluto veramente cambiare la realtà insoddisfacente, i meccanismi di fondo delle crescenti diseguaglianze, povertà, instabilità, avrebbe un apparato di sostegno e finanziamento opposto a quello repubblicano e avrebbe presentato un programma di riforma e regolamentazione della finanza e del settore monetario… La circostanza che egli non lo abbia fatto, nemmeno in un periodo così drammatico (si è limitato a promettere una redistribuzione del reddito), la dice lunga. Obama ha adottato lo slogan “Change we can”, ma senza specificare che cosa si possa cambiare. Un promessa buona per tutti, proprio perché indeterminata.
Bush è l’archetipo del wasp arrogante, aggressivo, guerrafondaio, reazionario, fascistoide – e come tale si era bruciato, anzi era la giustificazione vivente di ogni critica, biasimo, aggressione, scetticismo verso gli USA. Il mite mulatto Obama è l’opposto: è l’icona dell’equiparazione razziale, la prova della democraticità del sistema, la dimostrazione della bontà morale profonda del popolo statunitense – della sua (solita) missione nel mondo. Nessuno può attaccarlo senza esporsi a un coro di riprovazione morale. La sua immagine è un capolavoro di ingegneria comunicativa.
La mossa Obama è stato un geniale colpo di scena da parte della politica statunitense, ma il risultato è molto pericoloso, perché combina in questa figura presidenziale grandi e irrazionali aspettative di moralità, di cambiamento, di azione, da una parte, con una situazione – dall’altra parte – di blocco imposto da un debito nazionale al 300% del pil e da un debito estero galoppante – una situazione che costringe la presidenza USA ad agire a tutti i costi per non tradire le aspettative e screditarsi definitivamente, ma che insieme non le lascia risorse per iniziative importanti. Amenoché si tratti di due opzioni molto speciali: la guerra e il ripudio del debito estero.
L’aura etica e messianica di cui è munito, consente a Obama di lanciarsi in entrambe queste avventure col consenso del suo popolo e con credibilità morale. Se lo farà, la manovra in tre fasi di cui si diceva sopra potrebbe fallire, e gli USA vincerebbero la III Guerra Mondiale con pochissime perdite, recuperando e confermando la loro egemonia mondiale.
Quali scenari si possono avverare?
Innanzitutto, ci si può aspettare (in tempi strettissimi, perché la crisi incalza a colpi di grandi fallimenti, come quello della GM e di tutto il settore automobilistico, oltreché bancario) la fabbricazione di un casus belli (come un raid israeliano seguito da un attacco terroristico negli USA più o meno autentico) per poter attaccare e conquistare l’Iran e i suoi giacimenti petroliferi per unirli ai campi petroliferi irakeni e a quelli di oppio afghani, ambedue già conquistati. L’establishment USA dominerebbe così la gran parte del petrolio e della droga nel mondo. Già si vocifera di imminenti attentati in grande stile negli USA e Biden si è lasciato sfuggire che una tremenda prova attende Obama nei primi due mesi di presidenza, e che gli Americani dovranno avere fiducia in lui e nelle azioni che intraprenderà.
In secondo luogo, ci si può aspettare la sostituzione dell’attuale moneta con una nuova moneta, ossia con un Dollaro emesso dal Tesoro anziché dalla Fed (ne ho già avuto in mano una banconota) oppure col famoso Amero. Il vecchio Dollaro si potrebbe cambiare nella nuova moneta, ma a un tasso riduttivo, e si svaluterebbe di almeno il 50%, ma probabilmente dell’80%. Il problema del debito pubblico e del debito estero USA sarebbe risolto a spese di tutti i detentori di dollari o di crediti in dollari, compresi i bonds pubblici e privati, che resterebbero bidonati e perderebbero non solo in termini di valore patrimoniale, ma anche in termini di potere di condizionamento geopolitico.
La figura di Obama, bella, pulita, sana, credibile, giovane, amichevole, inoffensiva, sembra scelta o costruita apposta per queste due specifiche missioni. E Berlusconi lo sa bene. La sua battuta sull’abbronzatura di Obama in relazione alla futura visita di questi a Mosca, non era una gaffe. Era probabilmente un modo di evidenziare il carattere costruito, artefatto, di quella figura e di alludere al progetto strategico dei suoi costruttori, ossia ai presagi di guerra che essa contiene.
L’Italia, rispetto a molti altri paesi, è meno finanziarizzata, ha banche meno esposte, e anche una popolazione meno indebitata – e questo è un bene. Però il rating del suo enorme debito pubblico è crollato da AA+ ad A, e il tasso di interesse che essa (quindi il contribuente) deve pagare per finanziarsi vendendo i propri titoli del debito pubblico viaggia a 1,2 punti sopra quello che paga la Germania. A fine inverno dovrà rinnovare titoli per 193 miliardi, e sarà una mazzata per i conti pubblici, dato l’alto tasso passivo. Inoltre in quel periodo gli enti pubblici dovranno dichiarare, in base alla nuove norme, i valori di mercato aggiornati dei contratti derivati che hanno stipulato negli anni passati – e ciò si tradurrà in un bel buco per il bilancio consolidato dello Stato, quindi in problemi di rispetto del patto di stabilità. In parallelo, la recessione, che già ora è profonda, comporterà un forte calo delle entrate tributarie. Si calcola che, per restare entro i parametri dell’Euro, occorreranno altri 40 miliardi. Dove reperirà il governo Berlusconi i soldi necessari per colmare i buchi di bilancio? Nelle tasche degli italiani, con il torchio fiscale, finendo di ammazzare l’economia e tradendo in pieno le promesse elettorali? Oppure tagliando gli sprechi e le mangiatoie nel Sud, al prezzo di perdere i suoi indispensabili collegi elettorali (in buona parte controllati dalla criminalità organizzata)? Oppure ancora vendendo La Maddalena alla Russia, con la giustificazione che bisogna controbilanciare i missili in Polonia e l’ampliamento della base USA di Vicenza? Oppure infine negozierà con la BCE di uscire dall’Euro, di fare un Euro Sud, che immediatamente si svaluterebbe di circa il 30% rispetto all’Euro attuale, decurtando così con una tassazione monetaria il valore dei risparmi degli Italiani? Noi abbiamo indicato (v. Euroschiavi – Arianna, III ed. 2007; La Moneta Copernicana – Nexus, 2008) una via di uscita alternativa e non distruttiva: l’emersione e la tassazione degli utili occulti delle banche, la riforma monetaria e il recupero al popolo e allo Stato della sovranità nella creazione della valuta legale, in attuazione dell’art. 1 della Costituzione.
Ma intanto i costosissimi parlamentari italiani (1,3 milioni all’anno cadauno), inconsapevoli e irresponsabili rispetto a questi drammatici problemi, perdono tempo in manovre intorno alle poltrone e in stupidaggini come la guerra per e contro Leoluca Orlando alla presidenza della commissione di vigilanza sulla Rai. Berlusconi si dimostra quindi, ancora una volta, realista nel procedere marginalizzando un parlamento ormai oggettivamente ridotto all’inutilità, ribollente di imbecilli e nominati della partitocrazia, privato di democrazia e rappresentanza, inerte rispetto alle sorti del Paese.
Il premier non può non sapere che qualora, nella perigliosa traversata della recessione, la sua politica fallisca, o egli stesso esca di scena per qualsivoglia ragione, allora buona parte dei consensi settentrionali di Forza Italia rifluirebbe al suo partito naturale: la Lega Nord. E a quel punto, nel marasma economico generale, il Nord si troverebbe a giocare l’estrema partita per liberarsi e salvarsi dall’abbraccio divorante e mortale del Sud e di Roma già sprofondanti nel Terzo Mondo – un abbraccio alla cui guida si candida, forse, l’inedito asse tra due statisti-statalisti ben credibili per questo ruolo: Fini e D’Alema.
Marco Della Luna
Fonte: http://marcodellaluna.info/sito/
18.11.08