PUTIN REAGISCE ALL'IMPERIALISMO 'NEOCON'

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DI MAURIZIO BLONDET

Vladimir Putin? “Un rozzo neo-imperialista” ancora convinto che “la Russia abbia diritto a un impero”, secondo il Washington Post. “Un nuovo Saddam”, ha rincarato il Wall Street Journal. Sul punto di trasformarsi “in un Fuehrer russo a tutto tondo”, ha aggiunto il Daily Telegraph. Tutti i media angloamericani legati agli interessi petroliferi ed ebraici sono all’attacco del Cremlino. Come ad un segnale convenuto, da quando Putin s’è rifiutato di svendere la Yukos ai “mercati occidentali”, è stato tutto un piovere di accuse sulle “ingerenze” di Putin in Ucraina, Georgia e dintorni. Si tace, ovviamente, sulle pesanti ingerenze Usa nella stessa zona, e sul fatto che ormai i Paesi Baltici, la Georgia e le repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale ospitano basi militari americane. Il notorio Richard Hoolbroke ha caldeggiato un’ “accelerata” ammissione della “nuova Ucraina democratica” nella NATO, la quale “definisce la nostra [americana] zona di sicurezza già in metà del mondo”.
Questo aggressivo unilateralismo americano, aggravato dal fatto che gli Usa accusano Mosca di un neo-imperialismo che sono i soli a praticare, non può non allarmare Putin. Il Kgb valuta che questi attacchi sono parte di una strategia, dettata dai “neocons”, volta ad isolare la Russia, a privarla del petrolio e dell’accesso al Mar Nero, e a negare i suoi interessi legittimi nella vaste aree dell’Asia centrale, del Caucaso e del Caspio, unite alla Russia da secoli di storia comune. E’ inevitabile che Putin reagisca, per vincere l’assedio cui è fatto segno.
E le sue mosse sono magistrali.La prima, e la più ambiziosa, consiste in questo: Putin sta attivamente promuovendo una mega-coalizione “globale”, economico-militare, chiamata BRIC dai nomi dei partecipanti: Brasile-Russia-India-Cina. La parte più difficile del piano sta naturalmente nell’indurre Cina ed India ad archiviare la loro annosa rivalità, spesso sfociata in conflitti guerreggiati. Ma i due giganti asiatici sembrano aver preso coscienza di dover migliorare le loro relazioni, in un mondo dominato dall’aggressività Usa. E a dicembre il presidente cinese Hu Jintao ha visitato per cinque giorni il Brasile, emergendo dai colloqui con Lula da Silva con un colossale accordo di commercio e investimenti che va dalla soya ai satelliti artificiali; la Cina ha offerto 7 miliardi di dollari di investimenti al Brasile (strade e infrastrutture). Mosca sta oliando gli accordi con la sua persuasiva mediazione, basata su beni russi (greggio e tecnologia militare) che interessano a tutti i partecipanti.

Per ora siamo ai primi esitanti passi. Ma già questo è bastato ad allarmare i poteri finanziari Usa, La Goldman Sachs ha persino pubblicato un rapporto (“Dreaming with BRIC’s”) notando tutti gli elementi che rendono pericolosissima la manovra di Putin. La nascente coalizione comprenderebbe i tre quarti della popolazione del pianeta, la maggior parte delle risorse naturali e il più vasto bacino di talenti tecnico-scientifici. India e Cina crescono ad un ritmo inarrestabile. Inoltre Russia e Cina sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu, e India e Brasile stanno per diventarlo. Tutto ciò fa pensare che, nel prossimo ventennio, il BRIC emarginerà l’America come centro di gravità geo-politico mondiale.

Armi a Cina e Siria

Inoltre, Putin, dopo anni di abbandono, sta di nuovo accrescendo la potenza militare russa, concentrando finemente la spesa (che non può più essere senza fondo, come ai tempi dell’Urss) in certe nicchie strategiche. Le forze aeree russe hanno visto aumentare quest’anno il loro bilancio di un incredibile 30 per cento (grazie ai maggiori introiti petroliferi), che verrà usato per acquisire due nuovi T-60, bombardieri strategici a largo raggio, e “migliorare” con una nuova avionica 17 caccia Sukhoi (Su-27) e MiG-29. Non basta: Mosca sta per vendere armamenti strategici ai potenziali avversari di Washington. Alla Cina sta per fornire i bombardieri strategici Tupolev (Tu-22M3 e Tu-95): questi apparecchi, che possono portare missili da crociera a lungo raggio, aumenteranno notevolmente le capacità di azione nucleare cinese.

Ancor più scottante è la transazione che Mosca sembra stia per concludere con la Siria, probabilmente durante la visita del dittatore siriano Assad al Cremlino il prossimo 24 gennaio. Si tratterebbe di missili Iskander, provati con successo l’anno scorso. Modesti di gittata (300 chilometri, ma sufficienti per colpire dalla Siria qualunque obbiettivo israeliano), gli Iskander dispongono però di un grado estremo di accuratezza (20 metri) e di altissime tecnologie che li proteggono da tentativi di intercettazione nemica. Assad, che ha parecchi soldi da spendere (grazie ai più grassi introiti petroliferi) sarebbe interessato anche ai Sam-16 e Sam-18 (missili antiaerei portatili) e ai missili anti-tank Korner e Metis.

Israele ha fatto fuoco e fiamme contro questo possibile accordo, minacciando la rottura delle relazioni con Mosca. Colin Powell ha minacciato la Russia di sanzioni, se non manda a monte l’affare. L’isteria si spiega: gli Usa e Israele avevano già fatto sapere che avevano piani per “attaccare i campi di addestramento degli insorti iracheni in Siria”: preludio ad un’invasione, esistano o no tali campi. La disponibilità di missili Iskander darebbe ai siriani un efficace deterrente. Il ministro della Difesa russo, Sergei Ivanov, ha risposto sornione che “non è in corso alcuna discussione su questo punto” (ossia sulla vendita degli Iskander) aggiungendo però: “questo sistema d’arma non è oggetto di alcuna restrizione o impegno, e non ci sono restrizioni alla sua esportazione”. Allusione ai trattati di limitazione degli armamenti che Mosca e Washington firmarono negli anni della guerra fredda, e che Mosca continua ad osservare, mentre a Washington molti autorevoli personaggi (fra cui Rumsfeld) vorrebbero stracciare.

Ma Russia e Siria hanno lo stesso problema. L’una minacciata di isolamento, l’altra di invasione dagli Usa, come pretendere che non attuino misure di difesa dei loro interessi? E’ il frutto della politica sharonista dei neocons: unilateralismo aggressivo, minacce ed esclusioni anziché negoziato, persuasione, offerte di partecipazione. Putin credeva di essere stato accettato come partner della “guerra al terrorismo” di Bush, ora scopre di essere nel mirino. E continua a cercare accomodamenti, come dimostra una notizia singolare: Putin ha accettato di fornire gas russo ad Israele attraverso la Turchia, con un gasdotto che sarà collegato con quello che da Baku va al porto turco di Ceyhan. E’ un atto di buona volontà evidente, che politici meno rozzi dei neocons saprebbero stimare nel giusto valore.

Maurizio Blondet
Fonte:www.effedieffe.com
17.01.05

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