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La Redazione

 

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PROSSIMA FERMATA: LA CASA DI SAUD

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A cura di Davide
Il 24 Febbraio 2011
104 Views
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DI PEPE ESCOBAR
atimes.com

Ecco un corso intensivo su come uno dei “nostri” – monarchi – dittatori tratta il suo popolo in occasione della grande rivolta nel mondo arabo del 2011. Il re del Bahrein, Hamad al-Khalifa, si è macchiato le mani di sangue dopo che le sue forze mercenarie di sicurezza – pakistani, indiani, siriani e giordani – hanno attaccato alle 3 di giovedì notte, senza preavviso, manifestanti pacifici accampati in Piazza della Perla, versione ridotta del paese del Golfo di Piazza Tahrir al Cairo.

Durante questa brutale repressione, almeno cinque persone sono rimaste uccise – compreso un bambino – e 2000 ferite, alcune da colpi di arma da fuoco, due delle quali sono in condizioni critiche. Le squadre antisommossa hanno preso di mira medici e personale sanitario e hanno impedito ad ambulanze e donatori di sangue di raggiungere Piazza della Perla. Un medico dell’ospedale Salmaniya ha detto ai microfoni di al-Jazeera di aver visto fuori dall’ospedale un furgone con cella frigorifera, che teme sia stato utilizzato dall’esercito per rimuovere altri cadaveri.

L’intraprendente Maryama Alkawaka del Centro per i diritti umani del Bahrein era sul posto:”[la polizia] era veramente violenta, e non mostrava alcuna pietà”. Una valanga di messaggi di cittadini del Bahrein su Twitter hanno denunciato un vile attacco in “stile israeliano” e con l’intento di uccidere. Molti hanno rimproverato ad al-Jazeera di non aver trasmesso in diretta via satellite come aveva fatto al Cairo, e di aver parlato solo di una protesta degli Sciiti. Piazza della Perla è ora circondata da quasi 100 carri armati posizionati agli ingressi e alle uscite. Il centro di Manama si è trasformato in una città fantasma.

L’opposizione sciita ha descritto la situazione come “vero e proprio terrorismo”. Reem Khalifa, redattore capo del giornale d’opposizione al-Wasat, dice “Le forze di regime sono arrivate e hanno massacrato la folla nel sonno”. Stavano “cantando insieme, urlando ‘né sunniti, né sciiti, solo cittadini del Bahrein’. Non si era mai visto prima. E ciò ha dato molto fastidio ai rappresentanti del governo, che fomentano continuamente divisioni all’interno della popolazione…E ora il regime sta diffondendo menzogne su di me e su altri giornalisti che cercano di descrivere cosa sta succedendo.”

Khalifa ha avuto il coraggio di alzarsi in piedi e confrontarsi duramente con il ministro degli Esteri del Bahrein durante una conferenza stampa, smontando completamente la sua versione degli eventi (in cui definiva “incresciose” le morti, ma insisteva sul fatto che i manifestanti erano parte di una setta e armati). Il Gulf Cooperation Council – lo scandalosamente ricco gruppo di regni locali che detiene più di 1 trilione di dollari nascosti in fondi esteri e circa il 50% dei giacimenti di petrolio del pianeta non sono ancora sfruttati – ha pronunciato blande parole di sostegno nei confronti del Bahrein.

Uccideteli, ma con guanti di velluto

Washington si è minimamente indignato per tutto ciò? Le affermazioni parlano da sé. Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha espresso “forte preoccupazione”, secondo quanto riferito dal Dipartimento di Stato, e “ha incoraggiato misure per fronteggiare la situazione”. Il Pentagono ha affermato che il Bahrein è “un partner importante”; il Segretario alla Difesa Robert Gates ha poi chiamato il principe del Bahrein Salman – sicuramente per accertarsi che non ci fossero problemi per la 5a Flotta della Marina statunitense e i suoi 2250 uomini ospitati in un’area isolata di 24 ettari nel cuore di Manama.

Persino il New York Times ha dovuto riconoscere che il presidente statunitense Obama non “ha ancora espresso pubblicamente verso il governo del Bahrein le schiette critiche che aveva infine mosso nei confronti del presidente egiziano Hosni Mubarak – o che ha ripetutamente indirizzato ai mullah iraniani”. Ma non può; dopo tutto, il re del Bahrein, che fa sparare sul suo popolo, è un altro solito sospetto, un “pilastro dell’architettura per la sicurezza americana in Medio Oriente”, e “un fedele alleato di Washington nel suo confronto con la teocrazia sciita iraniana”.

In queste circostanze strategiche, è difficile respingere le affermazioni sul sito web Angry Arab di As’ad AbuKhalil, blogger libanese ed esperto di politica, quando sottolinea, “gli Stati Uniti devono sostenere nell’ombra la repressione del Bahrein per pacificare l’Arabia Saudita e altri tiranni arabi infuriati con Obama per il fatto che non ha difeso Mubarak fino in fondo.” Casualmente, il principe dell’Arabia Saudita Talal Bin Abdulaziz – padre del principe miliardario caro all’occidente Al Waleed bin Talal – ha affermato alla BBC che esiste il pericolo che le proteste in Bahrein si espandano anche all’Arabia Saudita.

Non si sottolinea mai abbastanza il fatto che il Bahrein sta proprio tra l’Iran e l’Arabia Saudita (vedi All about the Pearl roundabout Asia Times Online, 18 febbraio). La base navale americana a Manama è come un poliziotto nella zona di sorveglianza (del golfo Persico). Inoltre, il 15% della popolazione dell’Arabia Saudita è sciita e vive nelle province orientali dove c’è il petrolio. Ciò rende molto difficile per gli abitanti del Bahrein – sciiti e anche sunniti – minacciare la dinastia regnante sunnita al-Khalif, poiché la casa di Saud interverrebbe all’istante con ogni sorta di supporto logistico e militare. Per di più, l’Arabia Saudita ha una grande influenza per quanto riguarda il petrolio del Bahrein, che proviene dai giacimenti condivisi di Abu Saafa, esplorati dalla saudita Aramco e cogestiti da una raffineria del Bahrein. Il Bahrein è molto lontano dal nuotare nel petrolio.

Secondo il Fondo monetario Internazionale, nel 2010 l’Arabia Saudita ha prodotto 8,5 milioni di barili di greggio al giorno, gli Emirati Arabi Uniti 2,4 milioni, il Kuwait 2,3 milioni e il Bahrein solo 200.000 barili. Secondo Moody’s (società di analisi e ricerche finanziarie n.d.r.), per equilibrare il suo bilancio il governo del Bahrein dovrebbe vendere il petrolio a 80$ al barile, “uno dei più alti punti di pareggio di bilancio della regione”, afferma il Financial Times. Un rapporto della (banca n.d.r.) Barclay’s Capital traduce con il consueto contorsionismo corporativo “Gli annunci di proteste per le strade, concessioni dei governi a scapito di una difficile situazione fiscale e accese tensioni politiche hanno creato uno scenario che ha chiaramente indotto gli investitori a guardare al Bahrein con crescente cautela.” Quindi, se i manifestanti vogliono realmente colpire il punto debole degli al-Khalifa, dovranno mirare al nesso tra industria petrolifera e settore finanziario. Sarà una sfida terribilmente ardua contro un pericoloso stato di polizia pieno di mercenari – in particolare consulenti militari giordani (il ”capo degli aguzzini” del Mukhabarat è un giordano) – e che ora conta anche sull’”aiuto” di carri armati e truppe dall’Arabia Saudita. Per di più, le truppe antisommossa e le forze speciali non parlano l’idioma locale e, in particolare, i Balochi del Pakistan non parlano neppure Arabo.

Le prospettive sono incerte. Notizie ufficiose a Manama parlano di rotture all’interno della famiglia reale. Il temibile settario Khalid bin Ahmed, incaricato della politica di naturalizzazione dei sunniti “importati” per alterare la bilancia demografica e indebolire ancor più i diritti di voto della popolazione indigena sciita, da un lato; e il re e l’erede al trono principe Salman, dall’altro. Il re starebbe perdendo il controllo. E in questo caso l’Arabia Saudita farebbe pressioni su bin Ahmed per prendere il controllo e indurre uno dei figli del re, Nasir Bin Hamed, a diventare principe designato al trono. Ciò avrebbe senso dal punto di vista della brutale repressione.

Il momento di una svolta Ciò che gli sciiti del Bahrein possono sicuramente ottenere è indurre gli sciiti dell’Arabia Saudita a lottare per una maggiore uguaglianza a livello sociale, economico e religioso. E’ impensabile che la Casa di Saud avvii delle riforme – non mentre gode di uno straordinario benessere dovuto al petrolio e mantiene un vasto apparato per la repressione, più che sufficiente per comprare o dissuadere ogni forma di dissenso. Tuttavia potrebbe esserci motivo di sperare che l’Arabia Saudita segua i venti del nuovo Egitto.

L’età media del trio di principi regnanti della Casa di Saud è 83 anni. Dei 18,5 milioni di abitanti indigeni del paese il 47% è sotto i 18 anni. Tramite YouTube, Facebook e Twitter, una concezione medievale dell’Islam ed una corruzione dilagante vengono sempre maggiormente criticate. La classe media si sta contraendo. Il 40% della popolazione attuale vive sotto la soglia di povertà, non ha possibilità di accedere all’istruzione e risulta quindi inabile al lavoro (il 90% degli occupati sono sunniti “importati”). Persino l’attraversare la strada sopraelevata di Manama è sufficiente per dare spunti al popolo. Ancora una volta si parla di una lotta estremamente difficile, in un paese senza partiti politici, sindacati o organizzazioni studentesche; dove ogni tipo di opposizione è vietata dalla legge e i membri del consiglio della shura vengono scelti dal re.

In ogni caso, il giornale Arab News ha già messo in guardia sul fatto che i venti di libertà del nord Africa possano toccare l’Arabia Saudita. E potrebbe giocarsi tutto sulla disoccupazione giovanile, all’insostenibile tasso del 40%. Non può essere altrimenti: la grande rivolta nel mondo arabo del 2011 non può raggiungere il suo obiettivo storico se non scuote le fondamenta della Casa di Saud. Giovani sauditi, sciiti e sunniti: non avete nulla da perdere se non la vostra paura.

Pepe Escobar (autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007) e di Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge. Il suo nuovo libro, appena pubblicato è Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a [email protected].)

Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MB19Ak01.html
19.02..2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELENA

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