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DA RESEAU VOLTAIRE

La lettura critica della stampa dominante internazionale riserva spesso delle sorprese che non dovrebbero essere tali. Come noi facciamo via via vedere nelle nostre edizioni, le pagine editoriali della stampa internazionale sono il luogo di operazioni di propaganda tendenti a dare una lettura particolare di un dato avvenimento. Esse possono inoltre servire a sviare l’attenzione del pubblico, focalizzandola su argomenti secondari. È il caso dell’attuale presentazione della retata anti-terroristica avvenuta in Canada agli inizi di giugno. L’abbondanza di articoli comparsi a questo proposito e il carattere spesso ridondante dei loro contenuti mirano ad occupare le colonne dei giornali e le menti dei lettori per mascherare avvenimenti più importanti, tra i quali almeno due hanno considerevoli ripercussioni sull’equilibrio mondiale, ma passano inosservati.Il primo, è la sesta conferenza dell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai (OCS), struttura che raggruppa la Cina, la Russia, il Kazakhstan, il Kirghizstan, il Tadjikistan e l’Uzbekistan, associati a quattro osservatori : la Mongolia, l’Iran, l’India e il Pakistan. Quest’organizzazione, fondata prima degli attentati dell’11 settembre, ha per manifesta vocazione quella di combattere il terrorismo che essa non associa, come i paesi occidentali, ad un grande complotto islamico mondiale, ma al separatismo. Ora, i dirigenti dei paesi dell’OCS hanno ormai adottato l’interpretazione che il generale Leonid Ivashov aveva svolto nel suo intervento alla conferenza Axis for peace 2005 : i movimenti separatisti in Cecenia e in tutta l’Asia centrale sono strumentalizzati dagli Anglosassoni contro gli Stati di quella regione. Nel proclamare l’intensificazione degli sforzi congiunti contro quella minaccia alla loro integrità territoriale e lo svolgimento di manovre militari comuni (il che necessità una messa in conformità dei loro equipaggiamenti militari), gli Stati dell’OCS hanno implicitamente dichiarato di operare un riarmo congiunto contro gli Stati Uniti, il Regno Unito ed i loro alleati. La stampa occidentale, che rifiuta di rendere conto dei punti di vista russo e cinese, non è stata in grado di spiegare ai suoi lettori l’evoluzione dell’OCS. Tutt’al più, facendo propri i suggerimenti del dipartimento di Stato, essa si è accontentata di vedervi un’alleanza di circostanza tra regimi definiti totalitari per resistere alla pressione cosiddetta democratica degli Stati Uniti. Trattando alla bell’e meglio, il vertice di Shanghai, la stampa occidentale non ha per niente compreso l’integrazione dell’Iran in tale dispositivo, né il confronto che s’ingaggia per includervi l’India ed il Pakistan. Come lo struzzo che fugge dalla realtà nascondendo la sua testa nella sabbia, la stampa atlantista crede di prolungare la dominazione anglosassone sul mondo, negando la costituzione di un nuovo polo decisionale e persistendo a non parlare della Russia e della sua politica asiatica che sotto l’angolazione della «risovietizzaziuone» o del declino.

Il secondo avvenimento decisivo passato inavvertito è la nomina di Henry Paulson (nella foto sopra con George W. Bush) in sostituzione di John Snow come segretario al Tesoro. Questo ingresso sulla scena politica segna l’apoteosi della presa di controllo delle diverse istituzioni economiche e finanziarie a Washington da parte della Goldman & Sachs, di cui Paulson è stato il presidente. Tutto accade come se l’amministrazione Bush fosse proprietà di alcune multinazionali: Lockheed Martin, Bechtel, Halliburton e, ornai, Goldman & Sachs. L’adesione de « la » ditta, come la chiamano i suoi quadri, a questo potente cartello risponde ad un bisogno di compartecipazione già esistente. L’economia USA è in pieno dissesto, con il crollo della sua produzione manifatturiera e la vertiginosa crescita del suo debito estero. Essa maschera la sua debolezza stampando biglietti verdi che hanno perduto la loro convertibilità e non sono più garantiti che dalla potenza militare. Le multinazionali che si sono pagate l’amministrazione Bush temono innanzi tutto la massiccia rivendita dei Buoni del Tesoro statunitensi detenuti dalla Cina. Pechino, in ogni istante, potrebbe provocare una svalutazione di fatto del dollaro che avrebbe come esito una crisi del capitalismo senza precedenti dal 1929. Ora, Henry Paulson è precisamente il banchiere che ha venduto quei Buoni del Tesoro alla Cina. A questo titolo, egli è più adatto a far ragionare Pechino avanzando l’argomento che un crollo degli Stati Uniti danneggerebbe, come contraccolpo, l’economia cinese. La sua nomina è dunque l’ultimo viatico di Washington per scongiurare la bancarotta. In questo modo, gli Stati Uniti rivelano la loro impotenza a condurre una politica aggressiva in Asia, con la più grande confusione dei neoconservatori, sempre ossessivamente occupati a pianificare la guerra nucleare contro la Cina nel 2017.

In mancanza di sorpresa o di irritazione, è dunque con una certa stanchezza che assistiamo sulla stampa mondiale alla Nona campagna di demonizzazione della comunità musulmana, invece di leggere su questi avvenimenti essenziali alla comprensione delle attuali poste in gioco.

Ci consoleremo analizzando come quest’operazione illustri il funzionamento dei media internazionali tanto nella maniera di nascondere le cose veramente importanti quanto nella fabbricazione di un avvenimento « che faccia sensazione » su scala internazionale.

Il 2 giugno 2006, 17 persone sono state arrestate in Canada, accusate di aver voluto organizzare degli attentati in grande stile sul territorio canadese. Quegli uomini, in maggior parte giovanissimi (cinque di loro sono minorenni, la metà ha meno di 21 anni), sono stati immediatamente presentati alla stampa come dei fanatici pronti ad attaccare il Parlamento, a prendere in ostaggio dei deputati, anzi a decapitare il Primo ministro canadese, il conservatore Stephen Harper.

Una parte della stampa canadese si è allora scatenata. The Ottawa Citizen ha scritto in un editoriale dal titolo « Jihad in Canada » che quegli arresti dimostrano che il Canada è anch’esso minacciato. Inoltre, il quotidiano si è meravigliato che si sia intervenuti così tardi, visto che si era sicuri della presenza della minaccia. Con dei vaghi distinguo, il giornale ha inoltre dichiarato che quelli in causa erano degli islamisti, non dei musulmani. Simili argomentazioni le ritroviamo firmate da Eric Margolis sul Toronto Sun. L’editorialista trovava qui la prova che il Canada è un bersaglio allo stesso titolo di tutti gli Stati occidentali. Il molto neoconservatore National Post è andato ancora più in là, titolando su «questi jihadisti tra noi ». Affermava che quegli arresti hanno dimostrato che il pericolo islamista è una realtà in sé, indipendentemente dalla guerra in Iraq, perché il Canada non vi partecipa. La sinistra dovrebbe ammetterlo una volta per tutte e le leggi antiterroristiche dovrebbero essere rafforzate.

Il lettore osserverà il carattere morboso di tale confezione mediatico : 17 adolescenti minacciano la sicurezza di un paese di 33 milioni di abitanti ; sono pericolosi e colpevoli perché sono stati arrestati ; dobbiamo sacrificare la nostra libertà per proteggerci dal terrorista che dorme nel ragazzino musulmano.

Una volta diffusosi il crescendo mediatico, si sono tuttavia fatte sentire delle voci dissonanti e sono stati espressi dei timori. Su The Globe and Mail, l’editorialista Lawrence Martin ha manifestato il timore che la paura suscitata da questi annunci catastrofisti serva a Stephen Harper per legare ulteriormente il paese alla coalizione anglosassone. Sul Winnipeg Free Press, il giornalista britannico Gwynne Dyer, ha giudicato totalmente esagerata la minaccia terroristica. Dei militanti pacifisti canadesi si sono stupiti che quel gruppo sia arrestato oggi, mentre numerose dichiarazioni ufficiali parlano di una sorveglianza dei sospettati dal 2004. Essi mettono in discussione numerose inverosimiglianze sull’a « pericolosità » di quegli uomini.

Inoltre, malgrado una partenza strombazzata, sono intervenute ben presto delle posizioni più misurate a controbilanciare le prime pagine della stampa dominante canadese. Tale rimessa in causa ha avuto il pregio di irritare l’ex redattore dei discorsi di George W. Bush, David Frum. In un editoriale del National Post, egli denuncia l’irresponsabilità di quei Canadesi che non vogliono prendere la questione sul serio. Vi scorge la prova di una debolezza psicologica che impedisce loro di vedere in faccia la verità del pericolo «gihadista». Pur non negando che i « terroristi » arrestati abbiano dato prova di una grande incapacità, egli assicura che ciò non li rende meno pericolosi.

Sulla stampa araba, tale avvenimento è stato presentato come una nuova manifestazione delle campagne di comunicazioni che i governi americanisti orchestrano con la complicità dei loro apparati giudiziari e dei loro media per giustificare un riavvicinamento con Washington.

Così, su Dar al-hayat, il giornalista libanese-canadese Ali Haouili, esprime il timore che quel fatto sia utilizzato dagli Stati Uniti per spingere i Canadesi ad allinearsi sulle loro posizioni in materia di sicurezza. Andando più in là, il celebre giornalista britannico Robert Fisk, constata su Al Watan, che la stampa canadese si è impadronita di un fatto diverso per riaffermare il suo latente razzismo, designando i presunti terroristi come « dei bruni », presentando i loro sostenitori come delle donne velate (al fine di rafforzare la loro immagine islamista e designarle come colpevoli). Per il giornalista, il paese dell’Acero corre un forte rischio di aggiungersi all’elenco delle contrade inospitali per i musulmani.

Come si vede, questo caso fa discutere in Canada ed appare come una manipolazione del potere canadese sulla stampa araba. Ma su gran parte della stampa internazionale, tali avvenimenti canadesi servono da supporto ad una nuova campagna che fa dei musulmani una comunità intrinsecamente pericolosa e permeabile al « gihadismo ». Assistiamo qui ad un fenomeno simile a quello cui avevamo assistito in occasione delle rivolte del novembre 2005 in Francia. Allora, la stampa francese aveva discusso dei fatti esitando ad analizzarli da un punto di vista sociale o etnico, vale a dire mostrandosi riluttante ad entrare della logica dello « Scontro delle civiltà ». La stampa internazionale aveva, in maggioranza, presentato quegli avvenimenti come una prova della pericolosità degli « immigrati » musulmani e dell’influenza del « gihad » in Europa.

Oggi, quando il dibattito canadese si sposta dal pericolo costituito dalle 17 persone arrestate alla possibile manipolazione rappresentata da tali arresti mediatici, la stampa internazionale preferisce titolare sul pericolo di radicalizzazione dei giovani musulmani che vivono in « Occidente ». La distorsione delle realtà estere è sempre più facile per convincere i lettori dell’incombenza della « minaccia islamista ».

L’ex comandante dell’alleanza atlantica all’epoca dei bombardamenti della Serbia, il generale democratico Wesley Clark, allarga il caso canadese a tutta la comunità delle democrazie e ne trae alcune conclusioni generali. Su The Globe and Mail egli dichiara ai lettori canadesi che non sono soli nel fronteggiare la minaccia « gihadista ». Egli ritiene che l’Occidente debba dimostrare una particolare attenzione ai suoi « immigrati di seconda generazione » e alle sue comunità musulmane che deve inquadrare, far collaborare con i servizi d’informazione e che deve infiltrare.

Questa sua analisi trova un seguito nell’editorialista del Boston Globe, H.D.S. Greenway, anche lui inquieto per la seduzione che l’islamismo eserciterebbe sui giovani musulmani.

La società di pubbliche relazioni Project Syndicate, si mostra attivissima nella messa in scena degli arresti canadesi e nella loro utilizzazione nelle accuse verso i giovani musulmani di essere dei pericoli per le società occidentali.

La ricercatrice del Royal Institute for International Affairs, Mai Yamani, considera sul Korea Herald, sul Japan Times e sul Daily Star che i giovani musulmani viventi in « Occidente » sono troppo permeabili alla radicalizzazione. È per questo che bisogna dimostrare che «l’Occidente» desidera sinceramente la democratizzazione del mondo musulmano sostenendo i democratici nei paesi d’origine di quelle popolazioni. In breve, basandosi sul clima mediatico suscitato dagli arresti canadesi, l’autore chiede un allineamento internazionale sugli obiettivi dichiarati dei neoconservatori.

Il linguista e scrittore in francese Tzvetan Todorov va nello stessi senso sul Los Tiempos (Bolivia), sul Daily Star (Libano), sul Taipei Times (Taïwan), sul Daily Times (Pakistan) e senza dubbio su altre pubblicazioni che ci sono sfuggite. Ritorna anche lui su quel «contagio islamista» che colpisce quegli « assassini naturalizzati ». In un testo ambiguo nel quale si compiace di denunciare l’azione di George W. Bush, l’autore non per questo evita di riprendere i grandi argomenti della guerra al terrorismo : minaccia proveniente dal mondo musulmano, necessità di rimettere in causa l’equilibrio tra sicurezza e libertà e unione sacrale dell’Occidente contro questo nuovo pericolo.

Di nuovo, le pagine che fanno opinione distolgono l’attenzione dalle vere questioni, falsificano i dibattiti e danno ai lettori una visione falsata delle problematiche internazionali. E, come sempre, Project Syndicate, il laboratorio di George Soros, è particolarmente attivo in questo processo.

Réseau Voltaire
Fonte: http://www.eurasia-rivista.org/
Link: http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/Project_Syndicate_esagera_.shtml
26.06.06

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