di Alba Tecla Bosco
Lantidiplomatico.it
Il termine bellico «coprifuoco» utilizzato dallo stesso governo francese per indicare misure di limitazione della circolazione delle persone (così da contenere la diffusione del virus Sars-CoV-2) corrisponde alla retorica del «siamo in guerra» diffusa a piene mani dal presidente Macron nei mesi di grande crisi, la primavera scorsa. In varie parti dell’Africa, invece, non sono state chiamate in questo modo misure notturne analoghe (le uniche accettabili perché una chiusura in casa di giorno per lunghi periodi avrebbe significato la morte per fame, come ormai ha ammesso l’Oms, chiedendo ai paesi del mondo di evitare veri e propri lockdown, forieri di miseria).
Come mai questa differenza di linguaggio fra lo Stato ex colonizzatore e le nazioni ex colonizzate? Forse dipende dal fatto che la Francia le guerre le fa ma non ne subisce mai gli effetti, a differenza di tanti paesi africani ormai, fra l’altro, perseguitati dal terrorismo, le cui spore armatissime si sono diffuse grazie alla guerra alla Libia avviata da Sarkozy e perpetrata dalla Nato nel 2011.
Ma che sta succedendo in Francia? Davvero, come sostiene enfaticamente il governo, il dilemma è fra libertà e solidarietà, fra convivialità e salute – nel qual caso la scelta sarebbe ovvia (primum vivere)?
In un 15 ottobre pieno di allarmi in molti paesi europei (ma intanto in Burkina Faso è stata ribattezzata un’università dedicandola al presidente Thomas Sankara ucciso il 15 ottobre 1987), Sud Radio, emittente molto seguita soprattutto nella parte meridionale della Francia, ha fatto il punto con il professor Christian Perronne, già consulente dell’Oms, capo delle malattie infettive all’ospedale di Garchesm professore di malattie infettive e tropicali all’università di Versailles Saint-Quentin.
Per Perronne, autore del libro Y a-t-il une erreur qu’ils n’ont pas commise? (edizioni Albin Mchel) quando Macron dice «eravamo liberi, dobbiamo diventare solidali» compie una mistificazione. Mentre l’Assemblea nazionale è praticamente sotto chiave, il governo e il suo Comitato tecnico scientifico fanno un errore dopo l’altro.
Ecco alcune delle affermazioni di Perronne: «Adesso che l’epidemia è molto meno grave, ci sono molti meno casi mortali e ci sono cure, la tivù terrorizza dicendo alle persone “moriremo tutti”; il panico è ancor più diffuso che in aprile». E perché? «Perché si continuano a fare milioni di test che costano miliardi alla sanità – la quale poi non ha soldi per assumere infermieri, per esempio – e che danno moltissimi casi di falsi positivi. Infatti i tamponi nel naso contengono un enzima che amplifica milioni di volte tracce anche infinitesimali di Rna del virus – In Italia e altri paesi invece usano cicli inferiori – e così gente sana che non è contagiosa risulta positiva».
Con quel che ne consegue non solo in termini di panico e di denaro pubblico sprecato (i test sono gratuiti) ma anche di mancato salvataggio delle persone davvero fragili: «I laboratori sono sommersi di lavoro per analizzare milioni di test fatti al pubblico generico, e intanto i medici che lavorano nelle residenze per anziani devono aspettare giorni per il test a persone che mostrano sintomi…e magari si arriva troppo tardi».
Per questo, Perronne lancia un appello ai cittadini francesi: «Basta con le code alle 6 di mattina per farvi fare il test! Fatelo solo se avete sintomi o se siete in contatto con persone ammalate».
Tornando sulle residenze per anziani: «Chiedo al ministro della salute che subito siano consegnati stock di idrossiclorochina e azitromicina…se si facesse, si eviterebbero tanti morti». A lungo questi due farmaci, resi famosi dall’Ihu di Marsiglia diretto dal professor Didier Raoult, sono stati vietati in Francia. Da tempo sono ammessi ma molti medici di base non li prescrivono per timore di cause, visto che il trattamento è stato fatto oggetto di ogni genere di accuse (ricordiamo lo studio della rivista medica Lancet in giugno, contestato poi da moltissimi esperti).
C’è anche un altro risvolto economico della situazione che va indagato, conclude Perronne: «Quando si finisce in ospedale per qualunque malattia, si viene sottoposti la test; se risulta positivo, l’ospedalizzazione viene messa sul conto Covid e si ottiene più denaro»…
Ma è vero che le sale rianimazione sono sul punto di saturarsi? «Accanto a chi ne ha effettivamente bisogno, si però è accentuata la tendenza ad accogliere le persone prima e tenerle più a lungo, perché fra l’altro così si ottengono più mezzi e personale».