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DI MARIO GROSSI
mirorenzaglia.org

Ce l’hanno insegnato in tutti i modi, in tutte le salse. Non hanno mai mancato un’occasione per ricordarcelo. Di fronte ad un se o a un ma, i Pasdaran della democrazia liberale che fonda la sua fortuna sul liberismo, sulla dottrina del libero mercato, rispondono sempre alla stessa maniera. Riuscite a immaginarvi un mondo migliore? D’accordo, come tutte le cose umane, è imperfetto, ma nel ventaglio di possibilità che, con realismo si possono realizzare, questo mondo non trova paragoni.

È un sistema che tutela l’individuo, che garantisce la libertà e soprattutto dona ricchezza a chi ha voglia di impegnarsi per rincorrerla. È un sistema che dalla sua cornucopia dispensa abbondanza. Anzi sovrabbondanza di tutto. Beni materiali e immateriali sono riversati per chi ne vuole usufruire o meglio per chi ha possibilità di usufruirne.I discorsi realistici, disincantati, “da adulti” hanno sempre una stringente filosofia di sottofondo. Se si abbandona il mondo dei balocchi e il pensar bambino ci si rende conto che la realtà è dura, difficile (perché i realisti non si nascondono certo i limiti, le pecche e le ingiustizie che questo sistema non è in grado o non vuole sanare) e che ciò che si può fare non è molto.

Gli ideali, i sogni, i pensieri nobili ma impraticabili sono derubricati a inutili voli pindarici avulsi dalla crudezza della vita. Insomma ci avvertono che essere prosaici è una virtù. Sono convincenti quando elencano quanti vantaggi ha il mondo che sponsorizzano di fronte agli irrilevanti svantaggi. Ci inducono a pensare di aver ragione. In effetti basta guardarsi intorno per accorgersi di quant’abbondanza c’è (come a Marino durante la Sagra dell’uva).

C’è qualcosa che non quadra in questi discorsi apologetici. E nei miei incubi notturni la risposta assume un sapore rancido. Penso che sotto quest’apparente velo di prosperità e abbondanza si celi una sterilità di fondo che contraddice le descrizioni dei sostenitori del bel mondo di oggi. Questo sistema che ci dovrebbe accompagnare per tutto il corso della nostra vita, dispensandoci opportunità crescenti e abbondanze sibaritiche, genera una sorta d’inversione che rende secca e disidratata questa buccia sovrabbondante di ogni ben di dio.

Il mio ragionare è partito dall’ultima notizia, appresa dai giornali, sulla proposta di revisione delle età pensionabili per i lavoratori. Non che io nutra qualche aspettativa dal nostro sistema. A conti fatti visto che non ho riscattato gli anni di laurea, il mio pensionamento è previsto, con le regole di oggi, a 67 anni, data in cui avrò versato in contributi 40 anni. Quello che mi ha fatto pensare è invece la proposta di agganciare, a partire dal 2015, l’età pensionabile alle aspettative di vita.

A prima vista sembrerebbe ragionevole. Visto che si muore sempre più tardi, per non gravare eccessivamente sul sistema, è giusto andare in pensione più tardi. Ma è a questo punto che i conti non tornano nel nostro bel sistema moderno tecno-liberal-liberista.

Prima ci riempiono la testa con un mito, quello dell’eterna giovinezza e ci raccontano che la vita durerà anche 120 anni e che la nostra vecchiaia sarà lieve, felice, ricca di opportunità e aspettative (oggi a 80 anni un uomo non è un vecchio è solo un adolescente incanutito). Un mondo di senile abbondanza appunto. Nel frattempo però ci inchiodano a una perenne ruota del Karma che ci impone di lavorare fino allo stremo per sostenere questa vita lunga. Che sia poi abbondante e ricca è tutto da verificare, visto i tagli continui imposti e le riduzioni e restrizione. Insomma ci fanno balenare di fronte agli occhi la fontana dell’eterna giovinezza per poi crocefiggerci ad una schiavitù miseranda, questa sì praticamente eterna.

In effetti abbiamo già raggiunto vite che durano 120 anni, se è vero quello che riportava “La Repubblica” qualche giorno fa. È stato condotto uno studio sul multitasking (uso simultaneo di cellulari, PC, I-pod e di altre diavolerie moderne). Con il mutitasking una giornata, è stato computato, ha una durata reale di 36 ore, dilatando le 24 ore che la natura ha stabilito per un giorno. Un’estensione del 50% in più che trasforma l’attuale aspettativa di vita che è intorno agli 80 anni in 120 anni. Siamo già eterni (e miserabili).

Lamenti di un adulto egoista che si avvia a un rapido tramonto, si dirà. Ma questa inversione che porta, da una falsa e sbandierata abbondanza, a una sterilità angosciante ci accompagna in ogni passo della nostra vita. Se penso al mio primogenito che si accinge a pieni voti e nei tempi dovuti a conseguire il primo gradino della laurea in Fisica e che sembra votato a percorrere la strada della ricerca, allora mi viene il magone. Come lui altri milioni di giovani che si stanno affacciando all’abbondanza del mondo del lavoro, offerto dal nostro spettacolare sistema, sperimenteranno di che ricchezza si tratta.

Abbondanza nelle forme del lavoro offerto tra part-time, lavoro a contratto, lavoro a progetto, Co.co.co., lavoro a tempo determinato e tutto ciò che precarizza la vita e la volontà di chiunque. Un’offerta, che permette un ampio ventaglio di scelta che però si ribalta in un sempre maggiore impoverimento di posti di lavoro, che vanifica e rende sterile quella falsa abbondanza.

Che dire poi delle possibilità offerte dalla scienza medica e dalla genetica nel campo delle nascite. La possibilità di gravidanza e di nascita è abbondantissima: parti naturali, cesarei, in acqua, fecondazioni naturali, artificiali, in vitro, con uteri in affitto, manipolando cellule, clonando individui. A questo ricchissimo pacchetto di opzioni fa da contraltare un tasso di natalità negativo. Non è responsabilità della scienza ovviamente, ma il dato è questo. Nonostante le molteplici opportunità, la scelta (coatta?) è la sterilità.

Così in campo sentimentale a una quantità di forme di unione tra individui: matrimoni religiosi, laici, convivenze, unioni gay, comunioni trans fa eco una sempre maggiore solitudine individuale, realizzata proprio perché utile al sistema moderno che necessita di monadi, sradicate, sole, senza forza comunitaria da usare, spostare e dismettere a piacimento senza che ci sia resistenza alcuna e ripercussioni più ampie del singolo individuo.

Se poi, vestendo i panni dei consumatori, spostiamo la nostra attenzione ad esempio sull’intrattenimento scopriamo che possiamo scegliere, tra un’abbondanza infinita di canali TV, il nulla che ci propinano; l’editoria sforma alcuni milioni di libri nuovi ogni anno che nessuno leggerà e che, per il 90%, andranno al macero di lì a brevissimo. Una cascata liquida che produce aridità.

Infine per non farla troppo lunga vi invito ad un esperimento che io ho fatto in tema di automobili. Ho finto di voler acquistare un’auto nuova e mi sono recato da un autoconcessionario per fare la mia scelta. Tra le innumerevoli proposte, che immancabilmente sono costituite da un modello base e innumerevoli varianti, non sono riuscito a sceglierne una. Io cercavo il modello X di colore violetto metallizzato, previsto nella gamma colori. Ma il primo ostacolo era che sarebbe stato disponibile in 12 mesi. I colori in consegna in breve tempo erano solo tre (due dei quali metallizzati). Poi quando ho cominciato a dire che tra gli optional non volevo il lettore CD e che desideravo alzacristalli posteriori manuali, il venditore è andato in tilt. Mi ha detto che i modelli in gamma prevedevano come optional “di serie” il lettore CD e gli alzacristalli elettrici. Allora mi sono infuriato. Ma come, gli ho detto, questi sono optional, che tradotto in maniera barbara in italiano suona come opzionali. E opzionali significa che posso sceglierli o meno. Nulla da fare gli optional di serie sono obbligatori. Vanno presi e basta. Insomma l’abbondanza formale ridotta a carestia sostanziale.

Ecco alla fine smascherata, mi sono detto nel dormiveglia, la trappola del migliore dei mondi possibili, formalmente siamo liberi, pieni di opportunità, carichi di possibilità diverse, ma solo sulla carta. Il migliore dei mondi possibili, per sua stessa struttura interna non può permettere che scelte coatte, in funzione del suo modo di organizzare produzione e vita.

Aveva ragione Giovanni Lindo Ferretti quando urlava con i suoi CCCP produci, consuma, crepa, ma non aveva ingollato la pozione fino alla morchia. Bisogna lavorare, consumare e crepare in piena libertà coatta. Quella che ci è dispensata. E questa libertà coatta fatta di prosperità e abbondanza è solo apparenza e ci è concessa (ammesso che la vogliamo) fino a quando non cominciamo a rompere i coglioni.

Allora, e scusate la volgarità, tutti nel nostro piccolo, abbiamo il dovere di cominciare a rompere i coglioni. Facendoci il sangue marcio ogni volta, nella flebile convinzione che qualcosa di diverso si può proporre.

Mario Grossi
Fonte: www.mirorenzaglia.org
Link: http://www.mirorenzaglia.org/?p=8507
20.70.2009

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