DI EUGENIO ORSO
pauperclass.myblog.it
Si può partire dalla Primavera araba, il primo dei fenomeni di rivolta, o meglio di “indisciplina” di massa in ordine temporale.
Ben Alì e Mubarak sono caduti, in Tunisia ed in Egitto, in conseguenza delle manifestazioni autoconvocate e spontanee, ma il sistema di quei paesi non è sostanzialmente cambiato.
Contrariamente a quel che speravano i manifestanti, la fine dei satrapi locali non ha portato rilevanti cambiamenti e non ha innescato un processo di cambiamento in senso “democratico”.
La rivolta (o Primavera) araba, all’opposto di quel che ci si poteva ottimisticamente attendere, ha aperto una breccia all’islamismo retrivo, il quale dovrebbe rappresentare un altro nemico per tutti i veri rivoluzionari ed anticapitalisti che non guardano indietro, verso un oscuro passato.
La stessa cosa sarebbe, naturalmente, se al posto dell’islam ci fosse il cristianesimo medioevale dei roghi delle streghe e della repressione nei confronti di eretici e infedeli.
La Primavera araba è stata un po’ come il Sessantotto, che a causa del suo fallimento ha contribuito ad aprire la strada, in America e in Europa, e poi nel mondo intero, non ad un’era postcapitalista, ma bensì al neoliberismo estremo e al mercato totale.
Per quanto riguarda coloro che hanno manifestato e lottato nelle piazze, da Tunisi a Piazza Takrir, non si può dubitare della loro buonafede e, per molti, della loro laicità di fondo, ma questo non è servito perché la storia non ha certo imboccato una direzione nuova, e rivoluzionaria.
In Europa ha fatto seguito, prendendo esempio da questi moti svoltisi nella periferia capitalistica, il movimento informale, non strutturato e privo di veri capi carismatici degli Indignados, il quale anche lui non ha avuto effetti politici e sociali rilevanti, in Spagna dov’è nato, ma si è comunque esteso ad una parte significativa dell’occidente e del nord del mondo.
Occupy Wall Street, con i suoi bankbusters, rappresenta l’ultima versione, nel cuore pulsante del liberalcapitalismo contemporaneo, di questo movimento.
Se analizziamo un po’ la situazione ci accorgiamo questi fenomeni non sono vere e proprie “prove di rivoluzione”, e un segnale di una imminente svolta storica di civiltà in senso anticapitalistico, ma ricordano, pur nella grande diversità dei contesti culturali, economici e sociali, l’antico fenomeno di ribellione popolare della Jacquerie, manifestatosi con prepotenza in Francia alla fine del Medioevo (subito dopo la metà del quattordicesimo secolo, se non erro).
Jacques Bonhomme era il nomignolo affibbiato dall’aristocrazia al popolano, che portava la giubba ed era un povero ingenuo da raggirare, e non identificava con precisione un capo, un leader della protesta unico e storicamente esistito.
C’erano tanti Jacques Bonhomme che si mettevano in movimento contemporaneamente, senza avere le idee chiare e dei target precisi, tranne, forse, un certo Etienne Marcel che gli storici ricordano.
La molla scatenante era il peggioramento delle condizioni materiali di vita, la fiscalità che si accaniva contro di quelli che stavano alla base della piramide sociale (un po’ come accade oggi), preservando aristocratici e ricchi che vivevano al riparo delle asprezze della vita, nei territori del privilegio e del potere effettivo sul resto della società.
E in tutto ciò le guerre, ed il finanziamento dei conflitti che era in buona misura a carico dei subordinati, avevano un loro peso.
Questo fenomeno è stato represso manu militari dalla classe dominante dell’epoca, ma ci mostra, a distanza di secoli, alcune caratteristiche di fondo in qualche modo simili alla Primavera araba esplosa improvvisamente a cavallo fra il 2010 e il 2011, al movimento (informale) degli Indignados e ai più recenti bankbusters americani di Occupy Wall Street.
Oggi la giubba del buon uomo è sostituita dalla precarietà del lavoro e dell’intera esistenza che investe, in modo particolare, le giovani generazioni, quelle più impegnate nelle proteste degli indignati.
Oggi si occupa in pianta stabile una delle principali piazze de Il Cairo, o la City finanziaria di New York nell’isola di Manhattan, anziché assaltare e devastare le residenze dei nuovi dominanti appartenenti alla Global class, scaraventandoli dalle finestre.
Ma quali sono, in linea di massima e in sintesi, le caratteristiche che avvicinano la Jacquerie del quattordicesimo secolo alle attuali e diffuse proteste dei subordinati?
Non la violenza, esclusa in buona parte dal “pacifismo strumentale” che anima queste proteste, particolarmente quelle europee e americane – sporadici scontri con le forze della repressione ed arresti a parte, perché Jacques Bonhomme non andava troppo per il sottile, ed attaccava senza alcuna remora le residenze degli aristocratici incendiandole.
Le caratteristiche comuni consistono sostanzialmente (1) nell’assenza di capi ben determinati, e quindi di una catena di comando vera e propria che coordina le azioni dei “ribelli”, (2) nel tam-tam che spinge alla rivolta, sostituito, per quanto riguarda il nostro tempo, da internet e dalle comunicazioni attraverso i social network, e (3) la mancanza di chiari ed articolati obbiettivi politici, possibili soltanto in un contesto propriamente definibile rivoluzionario.
La Nuova Jacquerie è perciò una rivolta spontanea di subalterni da Piazza Takrir a Wall Street, passando per Madrid, sicuramente meno di una Rivoluzione, ma più di una semplice fiammata insurrezionale delle sotto-classi urbane e dei diseredati (Los Angeles 1992, Parigi 2005 ed in parte anche Londra 2011) che può spaventare il resto della popolazione, e sembra essere l’unica possibile via da seguire in questi contesti, in cui non si è ancora formata la nuova classe subalterna, la Pauper class capitalistica in sostituzione del vecchio proletariato e di larga parte dei ceti medi impoveriti, e in cui, appunto, è assente il “motore” della lotta rivoluzionaria e del cambiamento, cioè manca quella Coscienza di Classe che dovrebbe animare le vere forze rivoluzionarie.
A cosa potrà portare questa Nuova Jacquerie, nei contesti di un capitalismo che è sempre più invasivo, distruttore, impoverente e socialmente neofeudale?
Se nel mondo arabo, come testimoniano la situazione egiziana di questi giorni e gli attacchi (con molte vittime) ai cristiani Copti, potrà aprire la strada all’oscurantismo islamico redivivo, c’è da temere che in Europa e in America farà la fine del vecchio movimento noglobal, che si è spento progressivamente senza ottenere risultati apprezzabili, e senza cambiare il sistema.
In altre parole, la Rivoluzione, quella vera, che sembra sempre più urgente e indispensabile per uscire dai nuovi incubi capitalistici, non può essere confusa con la Jacquerie contemporanea, ma dovrà attendere ancora a lungo prima di rappresentare, da occidente ad oriente, una prospettiva storica concreta.
Eugenio Orso
Fonte: http://pauperclass.myblog.it
Link: http://pauperclass.myblog.it/archive/2011/10/12/primavera-araba-indignados-e-occupy-wall-street-ovvero-la-nu.html
12.10.2011