DI ANTONELLA RANDAZZO
La nuova energia
E’ sempre più evidente che quando accadono devastanti interventi bellici da parte dell’esercito israeliano, i mass media ce li raccontano soltanto parzialmente, senza dirci che tali operazioni sono decise non soltanto dalle autorità israeliane, ma anche da quelle statunitensi. Infatti, le autorità statunitensi contribuiscono a finanziare queste operazioni, e lo fanno perché traggono diversi vantaggi.
Per essere più chiari possiamo ricordare che sin dalla fondazione dello Stato d’Israele i presidenti statunitensi hanno espresso giudizi del tutto parziali su questo Stato, nato come “posticcio” ed estraneo ai reali cittadini palestinesi. Da sempre la diplomazia statunitense ha come obiettivo principale quello di proteggere Israele, come un sistema di controllo e di potere posto in una zona ritenuta da queste autorità molto “scottante”.
Come è stato notato da diversi studiosi, la situazione in Palestina ha i tipici tratti del modo di agire criminale delle autorità statunitensi. Esse, da sempre, per dominare ed estromettere gruppi considerati inferiori, li espropriano, li ghettizzano, li perseguitano e possono decretare il loro sterminio. Così hanno agito verso i nativi americani, e così stanno agendo verso i palestinesi. In quest’ultimo caso esiste persino un aspetto mistico: Israele appare loro come la terra della “salvezza”, in cui avverrà il trionfo del “bene” sul “male”. Basti pensare che nel 1983, diventato presidente, Ronald Reagan dichiarò a un esponente della lobby israeliana: “Guardo ai vostri antichi profeti nel Vecchio Testamento e ai segni che predicono l’Apocalisse, e mi chiedo se non siamo proprio noi la generazione destinata ad assistervi. Non so se ultimamente ha notato alcune di queste profezie ma, mi creda, esse descrivono certamente il tempo in cui viviamo”. (1)
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’attenzione della propaganda misticheggiante delle autorità statunitensi e dei loro complici si concentrò sulla nascita dello Stato di Israele, e il nemico divenne colui che impediva che le profezie si avverassero, cioè colui che contrastava la nascita dello Stato che avrebbe riunito il “popolo eletto” in Terra Santa. Questa propaganda faceva in modo che i coloni israeliani apparissero come nativi che facevano ritorno a casa (dopo millenni!), e non come colonizzatori. La vicinanza fra Stati Uniti e Israele è stata fortemente alimentata dalla propaganda pro-Israele che viene fatta all’interno delle maggiori chiese cristiane statunitensi. Addirittura, in diverse chiese cristiane statunitensi vengono organizzati viaggi a Gerusalemme, e si raccoglie denaro per la “causa” israeliana, senza dire che tale denaro potrà servire a massacrare i palestinesi. Le persone che offrono denaro ad Israele sono convinte che gli arabi odiano gli ebrei e che questi ultimi debbano proteggersi per non soccombere ai “cattivi”. Viene anche loro detto che lo Stato d’Israele è molto importante per motivi escatologici.
Il conflitto israelo-palestinese ha dunque la caratteristica di non essere quello che appare: in realtà si tratta di personaggi oggi potentissimi, in gran parte statunitensi ed europei (ebrei e non ebrei), che hanno deciso in tempi remoti di distruggere le popolazioni palestinesi non ebree. Ciò doveva avere una valenza di dominio sull’intero Medio Oriente, per dimostrare la superiorità delle autorità occidentali sulle altre e per impedire ogni tentativo di vera autodeterminazione dei popoli.
Senza il potere delle autorità statunitensi e dei potenti personaggi che da esse sono serviti, lo Stato d’Israele non sarebbe mai potuto nascere.
Parlare della guerra in Palestina senza tener conto dei personaggi statunitensi che hanno creato Israele è come parlare della Seconda guerra mondiale senza citare Hitler e Mussolini.
I mass media occultano la verità sulla creazione di Israele e su tutto ciò che ne è conseguito, e in tal modo non permettono di comprendere la vera situazione in Medio Oriente. Si falsifica la realtà storica per creare sentimenti positivi verso Israele, che altrimenti non potrebbero sussistere.
Di tanto in tanto le autorità statunitensi hanno organizzato le sceneggiate dette “trattative per la pace”, pur sapendo bene che la guerra è assai più conveniente che la pace per il loro potere. Nessuna autorità anglo-americana o israeliana ha voluto davvero la pace e il rispetto dei diritti dei palestinesi, e chi si convinceva in tal senso è stato ucciso. E’ stata utilizzata la truffa del “terrorismo” per ostacolare ogni tentativo di pacificare la zona, gettando così sulle vittime la responsabilità dei crimini commessi da quelle stesse autorità che andavano per il mondo a parlare di “pace in Medio Oriente”.
In Occidente le fonti ufficiali sono sempre molto favorevoli alle autorità israeliane, spesso mostrando la realtà in modo distorto e facendo credere cose sbagliate sugli arabi. Questo accade sia perché le autorità israeliane sono a servizio del gruppo di potere attuale, sia perché Israele ha forti e stretti legami economici con i paesi occidentali. Ricordiamo che nel 1975 è stata istituita una zona di libero scambio con la Comunità Europea (CEE) che ha determinato un aumento delle esportazioni della Comunità Europea verso Israele. Inoltre, nel 1995, Israele e l’Unione Europea (UE) hanno firmato un accordo, entrato in vigore nel 2000, che ha reso le relazioni economiche ancora più strette. Dunque, non conviene al gruppo dominante criticare Israele, ma conviene che le sue autorità siano sempre più forti, rafforzando anche il potere occidentale sul Medio Oriente.
In Italia, i personaggi che hanno ruoli politici o figurano sui quotidiani o nelle trasmissioni televisive, sono tutti disposti a non dire la verità sulla Palestina, e spesso dicono evidenti menzogne su Israele, per compiacere il potere e continuare a fare carriera. In altre parole, intellettuali, politici e giornalisti fanno a gara per far apparire Israele come una “democrazia” di tipo occidentale, in un territorio che viene descritto come devastato dalla “violenza del terrorismo arabo”, senza spiegare come mai sono quasi sempre gli stessi arabi le vittime di questo “terrorismo”. Queste persone non credono davvero a questa propaganda, ma sanno che è essenziale per non essere estromessi del sistema. Oggi esistono diverse pubblicazioni che dicono la verità su Israele, e su Internet è possibile leggere molte notizie che informano correttamente sulla situazione palestinese. Dunque soltanto chi non vuol capire (o a cui non conviene capire) non capisce.
Chi dice che Israele è una “grande democrazia” ha un concetto di “democrazia” molto occidentale, ovvero come di un sistema multipartitico controllato dal gruppo dominante, sostanzialmente una dittatura mascherata di democrazia.
Israele non protegge gli ebrei, come dice di voler fare, ma pratica un forte e bieco razzismo verso i non ebrei, facendo credere che ciò è inevitabile a causa della natura del “popolo eletto”. In tal modo non si proteggono i cittadini ebrei, ma si espongono all’odio e alla riprovazione dei non ebrei.
L’arma più potente che le autorità israeliane usano è il vittimismo: esse vittimizzano tutti gli ebrei, mostrandoli come potenziali vittime di razzismo cieco e di una furia criminale senza alcun senso. Questo tipo di vittimismo ha reso Israele uno Stato criminale, che ha licenza di uccidere, torturare o distruggere cose e persone, con l’alibi di doversi “difendere”. Scrive lo scrittore israeliano Ury Avnery:
“I palestinesi stanno soffrendo per troppi colpi del destino:
● Il popolo che li opprime reclama per se stesso la corona di vittima.
● Il mondo intero simpatizza con Israele perchè gli ebrei sono stati le vittime del più orribile crimine dell’occidente.
● Ciò ha creato una strana circostanza: l’oppressore è più popolare della vittima
● Chiunque sostiene i palestinesi è automaticamente accusato di antisemitismo e negazione dell’olocausto.
	
679; La grande maggioranza dei palestinesi è musulmana (a nessuno interessano i palestinesi cristiani).
● Da quando l’Islam è diventato la paura dell’occidente, la lotta dei palestinesi è diventata automaticamente una parte della minaccia del terrorismo internazionale”. (2)
Si seminano divisioni anche all’interno del popolo palestinese, in modo da rendere ogni azione di pace fallimentare. Nella Striscia di Gaza, in seguito all’affermarsi del controllo da parte di Hamas, i Territori palestinesi sono stati divisi fra Gaza (controllata da Hamas) e la West Bank (controllata da Abu Mazen), e le persone si sono divise fra coloro che appoggiano Hamas e quelli che optano per Fatah. Ciò ha creato contrasti, ad esempio, Hamas ha posto il divieto di pregare all’aperto, mentre Fatah, per contrasto, incoraggiava a farlo. Negli ospedali, Abu Mazen organizzava scioperi, sapendo che molti medici non simpatizzavano con Hamas. Si trattava di tentativi di indebolire Hamas, per fare in modo che non vi fosse un vero controllo palestinese su Gaza. Ovviamente, questo ha favorito le operazioni belliche dell’esercito israeliano, volte a distruggere Hamas per impedire un possibile “governo islamico”.
Inoltre, è stato posto un baratro fra le organizzazioni di rappresentanza e il popolo, come se le prime non dovessero necessariamente rappresentare le persone in questione. Personaggi come Abu Mazen sembrano più preoccupati di esibire simboli politici e incassare denaro e approvazioni da parte dell’Occidente, piuttosto che del destino del popolo palestinese.
Le autorità statunitensi si occupano anche di addestrare i membri di un servizio di sicurezza palestinese, con la scusa di dover proteggere le personalità e le autorità diplomatiche in visita nella West Bank. Stranamente, nessuno si sorprende di ciò, anzi, la Lega Araba plaude. Non sorprende più nessuno nemmeno la notizia che Fatah riceve armi e denaro da Israele e dagli Stati Uniti, e opera in stretta collaborazione con la Cia e gli occupanti.
Hamas è stata notevolmente criminalizzata per poter essere distrutta impunemente dall’esercito israeliano, e far apparire quest’ultimo come un difensore della “democrazia”. Di fatto sappiamo soltanto che i dirigenti di Hamas hanno il sostegno della maggior parte dei palestinesi, e che sono gli unici a dare un vero aiuto alla popolazione oppressa. Se si credesse davvero nella democrazia basterebbe soltanto il fatto che essi hanno avuto il sostegno della maggioranza votante palestinese per lasciarli fare. Come ormai molti sanno, il peggior nemico del gruppo egemone è il popolo che desidera una vera autodeterminazione.
A noi occidentali viene fatto credere che la nostra cultura è superiore alle altre, e che dunque una “democrazia di stampo occidentale” deve prevalere. Come spiega Mustafa Barghouthi, leader del movimento palestinese al-Mubadara:
“L’islam è stato all’avanguardia nella liberazione degli schiavi – ma sono certo che nessuno (lo) ha mai detto, all’università. La storia è sempre solo la storia dei vincitori. Separazione dei poteri, elezioni, accountability, stato di diritto… I princìpi di fondo della democrazia sono uguali per tutti. Invece di chiedersi cosa si può esportare qui, perché non ci si chiede cosa della nostra cultura può arricchire l’esperienza di democrazia?” (3)
Lo Stato Israeliano assolve all’importante funzione di tenere separati i due popoli, e di continuare una forte propaganda sulla “Terra promessa” e sugli arabi fanatici e “terroristi”.
Uno dei compiti principali delle autorità israeliane è quello di eliminare ogni speranza di pace, continuando a seminare paura e odio. Sia gli israeliani che i palestinesi sono ostaggio della furia distruttiva e criminale di questi personaggi, assoldati dal gruppo criminale statunitense, che commette crimini analoghi in molte altre parti del mondo, come in Somalia, in Iraq, in Afghanistan, in Sudan, ecc.
Le autorità israeliane sono sempre state scelte fra le più fanatiche, crudeli e spietate, pronte ad attuare azioni disumane. Esse devono essere così in modo tale da alimentare la sensazione che la pace sia impossibile, e che la violenza sia inevitabile.
Tutto questo va contro i palestinesi, ma anche contro i cittadini israeliani.
E’ vero che le vittime sono quasi sempre palestinesi, ma che popolo è quello costretto a vivere nella paura di essere odiato, perseguitato o ucciso? Le autorità politiche e molte delle autorità religiose inducono gli israeliani a sentirsi superiori agli altri, ma al contempo a sentirsi braccati dal mondo intero, in una sorta di stato di persecuzione e di contrasto col resto dell’umanità.
Le autorità israeliane inducono i palestinesi a credere che gli israeliani non vogliono la loro autodeterminazione, e gli israeliani a credere che i palestinesi non accettano Israele. In realtà i cittadini israeliani sono fortemente condizionati dai media a discriminare anche pesantemente i palestinesi, e a credere che vogliano usurpare loro qualcosa, mentre i palestinesi non accettano lo Stato d’Israele perché è per loro uno Stato oppressore, criminale e bellico. Come potrebbero mai accettarlo finché rimane tale?
Le due parti vengono tenute lontane e si potenzia l’ostilità e la sfiducia verso la pace. Come scrisse lo stesso ex Presidente degli Stati Uniti d’America
Jimmy Carter:
“Gli Israeliani sono abbastanza soddisfatti dello Status quo, hanno poca fiducia nei negoziatori di pace di entrambe le parti, sono deliberatamente disinformati sulle aspirazioni dei Palestinesi, e (sorprendentemente ) nei negoziati di pace con i Palestinesi, sono molto più preoccupati del “diritto di ritorno”che degli insediamenti o di Gerusalemme… Gli Israeliani… non hanno accesso a Gaza… L’incontro con dei giovani (palestinesi), in maggioranza in età universitaria, è stato forse l’evento più emozionante di tutto il nostro viaggio. La descrizione delle deprivazioni e delle persecuzioni è stato sconvolgente e la loro determinazione e speranza per una vita migliore ci ha commosso fino alle lacrime. Insieme alle loro famiglie, loro sono stati deprivati dei loro diritti di cittadinanza anche se erano nati e cresciuti in Ramallah, Jericho, o Nablus, solo perché potevano aver visitato o studiato altrove.. Molti dei loro parenti, incluse donne e bambini, sono stati imprigionati per anni per qualche forma di attività politica, anche se non- violenta… Gli Israeliani temono nuovi attacchi Palestinesi. Quando la speranza di pace diminuisce e la frustrazione aumenta, alcuni individui si rivolgono alla violenza come ultima risorsa”. (4)
Non molti sanno che la maggior parte dei cittadini israeliani ebrei non pratica la propria religione, e molti di essi sono diffidenti verso le loro autorità religiose ortodosse e quelle politiche. Per questo motivo, come molte altre autorità, anche le autorità israeliane utilizzano i mass media e altri mezzi possibili per controllare i cittadini israeliani e favorire le proprie politiche. Esse utilizzano anche i fatti storici per convincere gli ebrei di non essere amati dagli altri popoli e di rischiare sempre altri olocausti, se non vengono protetti da uno Stato proprio. Seminare ostilità verso i non ebrei significa poter mantenere gli ebrei in uno stato psichico di autosegregazione, e costringerli a sentirsi perseguitati o potenziali vittime, scatenando contrasti, odio e violenza fra ebrei e non ebrei. Le operazioni di guerra più feroci vengono messe in atto anche allo scopo di fomentare pensieri di lotta, di violenza e di odio. Senza questi pensieri la guerra non potrebbe continuare.
Il giornalista israeliano Yonatan Mendel ha analizzato i media israeliani, trovando molti elementi faziosi, che favoriscono la guerra. Egli scrive: “Non mi ci è voluto molto a capire che cosa voleva dire Tamar Liebes, direttrice dello Smart institute of communication della Hebrew university, quando affermava: ‘I giornalisti e gli editori si comportano come degli attivisti del movimento sionista e non co
me osservatori esterni’…. Gli intrallazzi di Ehud Olmert per l’acquisto di un appartamento, le relazioni clandestine di Benyamin Netanyahu, il conto segreto aperto da Yitzhak Rabin in una banca statunitense sono tutti argomenti che la stampa israeliana ha trattato con la massima libertà. Altrettanta libertà non esiste invece sulle questioni che riguardano la sicurezza. In quel caso, ci siamo ‘noi’ e ‘loro’, le forze armate israeliane e il ‘nemico’. Le valutazioni di ordine militare – le uniche consentite – sovrastano qualsiasi altro discorso… (in questa propaganda) L’esercito israeliano non uccide mai nessuno intenzionalmente, figurarsi se commette un assassinio. Anche quando sgancia una bomba da una tonnellata su una zona di Gaza densamente popolata, provocando la morte di un uomo armato e di 14 civili innocenti, tra cui nove bambini, non si tratta di un’uccisione intenzionale o di un assassinio, ma di un omicidio mirato. Un giornalista israeliano può dire che i militari delle Idf (forze armate israeliane) hanno colpito dei palestinesi, o li hanno uccisi, o uccisi per errore, e che i palestinesi sono stati colpiti, o uccisi, o perfino che hanno trovato la morte (come se l’avessero cercata), ma non scriverà mai che sono stati assassinati … Per come le dipingono i mezzi d’informazione israeliani, le Idf hanno anche un’altra strana caratteristica: non sono mai loro che cominciano, decidono o lanciano un’operazione. Le Idf si limitano a reagire. Reagiscono ai lanci di razzi, reagiscono agli attentati terroristici, reagiscono alle violenze dei palestinesi. Così tutto sembra molto più civile e ordinato: le forze armate israeliane sono costrette ad ingaggiare dei combattimenti, a distruggere case, a sparare ai palestinesi (uccidendone 4.485 in sette anni), ma i soldati non sono responsabili di nessuno di questi fatti. Si trovano davanti un nemico insidioso e, com’è doveroso, reagiscono… In un periodo in cui i raid israeliani contro Gaza erano frequenti, ho chiesto ad alcuni colleghi: ‘Se un palestinese armato varca il confine, entra in Israele, arriva aTeI Aviv e si mette a sparare alla gente per la strada, lui sarà il terrorista e noi le vittime, giusto? Ma se le forze armate israeliane varcano il confine, penetrano nella Striscia di Gaza per chilometri con i loro mezzi corazzati e cominciano a sparare ai palestinesi armati, chi sarà il terrorista e chi il difensore della sua terra? Perché i palestinesi che abitano nei Territori occupati non hanno mai il diritto di praticare l’autodifesa, mentre l’esercito israeliano difende il paese?’. Uno dei grafici del giornale, il mio amico Shai, mi ha chiarito come stanno le cose: ‘Se tu vai a Gaza e ti metti a sparare a casaccio alle persone, sei un terrorista. Ma quando lo fa l’esercito, è un’operazione per la sicurezza di Israele. È l’attuazione di una decisione del governo!’… Sono sempre i palestinesi, mai gli israeliani, ad avere le mani sporche di sangue… ‘Le Idf sono in azione a Gaza’ (o a Jenin o a Tulkarem o a Hebron) è la formula usata dall’esercito e ripetuta dalla stampa. Perché rattristare i lettori? Perché raccontargli quello che fanno i soldati, descrivere il terrore che seminano, il fatto che arrivano armati a bordo di veicoli pesanti e soffocano la vita di una città, suscitando ancora più odio, dolore e desiderio di vendetta?… ‘Una società in crisi si reinventa un nuovo vocabolario’, ha scritto David Grossman, ‘e pian piano sviluppa una nuova varietà di parole che non descrivono la realtà ma piuttosto cercano di nasconderla’. La stampa israeliana ha adottato questa ‘nuova lingua’ spontaneamente … Se le parole occupazione, apartheid e razzismo (figuriamoci poi palestinesi con cittadinanza israeliana, bantustan, pulizia etnica e nakba) sono completamente assenti dai loro discorsi pubblici, gli israeliani possono passare tutta la vita senza conoscere la realtà in cui vivono“. (5)
La maggior parte degli israeliani non conosce in modo chiaro la situazione che c’è nei territori occupati (rastrellamenti, distruzione arbitraria di case, arresti, uccisioni mirate in cui muoiono anche bambini, ecc.), non conosce la realtà del muro che è stato eretto lungo il confine della Cisgiordania, e crede alla propaganda della “sicurezza”. Spiega il docente di antropologia Jeff Halper: “Molti israeliani non pensano alla pace come a qualcosa di positivo, partono dal principio che gli arabi sono nemici e che non ci sarà mai pace. Per molti israeliani la pace è solo una sorta di ‘pacificazione’. In Israele le parole hanno un senso ‘orwelliano’: pace vuol dire suicidio, la guerra corrisponde alla pace, così come ritirarsi in realtà vuol dire espansione e rafforzamento”. (6)
Nonostante le evidenti manipolazioni dell’opinione pubblica israeliana, dai sondaggi emerge che il 65% dei cittadini israeliani vorrebbe la pace, anche se non ha ben chiari i termini per realizzarla.
Sulla base della manipolazione dell’informazione, ogni persona, cristiana, ebrea o araba, deduce diverse considerazioni. Gli ebrei si percepiscono potenzialmente perseguitati da tutti, i cristiani sono indotti a percepire negativamente gli arabi, e gli arabi si sentono discriminati rispetto agli occidentali.
Osserva Sergio Romano: “Noi prestiamo poca attenzione alla notizia pubblicata da “Vanity Fair” secondo cui il governo degli Stati Uniti, dopo le elezioni palestinesi del 2006, progettò la fornitura di armi e denaro alle unità militari di Al Fatah affinché avessero i mezzi per neutralizzare le formazioni di Hamas. Gli arabi leggono la stessa notizia e ne deducono che gli americani parlano di democrazia, ma non hanno alcuna intenzione di rispettare la volontà popolare. Noi apprendiamo che le ultime incursioni israeliane a Gaza hanno provocato un centinaio di morti, fra cui molti civili, e pensiamo -senza dirlo ad alta voce- che, in fondo, è colpa loro. Gli arabi leggono la stessa notizia e ne deducono che 20 israeliani, per l’occidente, contano più di 100 palestinesi”. (7)
La logica della guerra prevede la criminalizzazione di tutto il popolo nemico, altrimenti l’odio non sarebbe abbastanza distruttivo. Il nemico deve apparire come un mostro senza speranza di redenzione, perciò deve essere ucciso affinché non possa commettere altro male. E’ così che i mass media israeliani descrivono i palestinesi militanti.
Chi uccide persone innocenti è un criminale, anche se lo fa per obbedire agli ordini dei superiori. Infatti, se tutti i soldati israeliani si rifiutassero di uccidere persone innocenti, la guerra immediatamente cesserebbe. Non sarebbero di certo le autorità israeliane a mettersi in prima linea.
Alimentare pensieri e sentimenti di pace richiede l’impegno di indagare in profondità, al di là di ciò che i media di regime dicono, la situazione reale, tenendo conto dei condizionamenti che entrambe le parti subiscono, e che la guerra non giova né all’uno né all’altro, anche se indubbiamente, una parte è assai più danneggiata dell’altra.
La maggior parte degli esseri umani vuole la pace, ma non comprende i condizionamenti favorevoli alla guerra che ricevono dal sistema, non tutti si impegnano per evitare di scaricare odio e rabbia contro immigrati o zingari, e non molti praticano un palese rifiuto dei prodotti delle corporation criminali o si ribellano all’attuale sistema finanziario.
Per questo la pace rimane inattuata: essa richiede un impegno attivo che l’accettazione della guerra non richiede.
Al di là delle etichette religiose o culturali, bisognerebbe saper vedere le persone, gli esseri umani nella loro realtà emotiva e cognitiva. Nelle loro paure, nei condizionamenti che essi ricevono ogni giorno dal regime, nelle loro insicurezze ataviche, o nelle loro speranze frustrate. Soltanto superando le barriere poste dal sistema – quelle che sbarrano la strada ai sentimenti umani di solidarietà, perdono ed empatia – si può provare a trovare i sentimenti di pace che albergano in ogni animo umano. Lo stato “naturale” degli esser
i umani non è la guerra, come ci vorrebbero far credere, ma la pace.
Chi fomenta guerre ci vorrebbe tutti arrabbiati, pieni di odio e pronti a ripagare violenza con violenza. Questa è la realtà che sorregge la logica della guerra. A scuola tutti noi abbiamo studiato la Storia come una sequenza di guerre, e ci hanno indotto a ritenere i conflitti armati inevitabili. Anche i libri su cui abbiamo studiato facevano parte del condizionamento di regime, in quanto non tutta la verità ci veniva detta, e non tutto ci veniva raccontato in modo corretto. Molte cose ci richiamano alla cultura della guerra: l’inno nazionale, la parata militare, il denaro utilizzato per le guerre ai popoli stranieri che non ci hanno mai fatto del male, ecc.
Dunque, la guerra è insita nel sistema attuale, poiché esso è basato sull’ingiustizia e sul crimine, ed esige una cultura della violenza. E finché gli esseri umani crederanno che le guerre siano inevitabili, esse lo saranno.
Ma esiste una cultura di pace, che oggi timidamente, ma sempre con più forza, si sta facendo strada. Anche all’interno della situazione palestinese c’è la cultura di pace, e il regime cerca di tenerla nascosta o di perseguitare i suoi promotori, in modo da distruggerla.
POSSIBILI PENSIERI DI PACE – Parte Seconda – La pace nei cuori
Oggi esistono diverse organizzazioni che riuniscono attorno ad un tavolo cittadini israeliani e palestinesi per discutere gli accordi di pace. Nel 2005 Zohar Shapira, insieme ad altri israeliani e palestinesi, ha creato il gruppo dei “Combattenti per la pace”, che oggi gode del sostegno di parecchi israeliani e palestinesi.
Queste persone hanno realmente il desiderio di andare verso la pace, ma trovano ostacoli da parte delle autorità israeliane e del sistema attuale che domina su gran parte del mondo. Zohar Shapira, per diversi anni, ha fatto parte dell’esercito israeliano, in cui ricopriva la carica di comandante di un’unità che attuava “missioni speciali”, ovvero quelle in cui venivano uccisi anche bambini e civili inermi. Egli racconta: “Nel 2002, ero impegnato nell’operazione ‘Shield of defence’ e dopo l’attacco a Jenin ho deciso che non potevo più continuare a fare quello che facevo, era immorale, soprattutto dopo aver sparato sopra la testa di una bambina sbucata improvvisamente da dietro una casa. Entravamo nelle abitazioni dei palestinesi e quando uscivamo portando via qualcuno di loro sospettato di essere un terrorista vedevo gli occhi dei bambini che ci guardavano e capivo che ci avrebbero odiato per tutta la vita. Eravamo noi a seminare l’odio… il movimento dei refusnik arrivò ad imporsi come un punto di discussione nell’agenda del governo israeliano. Non potevamo più essere indicati semplicemente come traditori da Sharon, i refusnik erano diventati una realtà accettata dalla gente. Ora circa il 40 per cento dei riservisti, quando richiamati, si rifiutano di andare a servire nei territori occupati…Solo la non-violenza può spezzare il cerchio della morte”. (8)
E’ stato creato anche un Forum delle famiglie dei Parents Circe, che riunisce da molti anni centinaia di persone, israeliane e palestinesi, che hanno perso famigliari a causa della guerra. Si riuniscono con lo scopo di “umanizzare” il nemico, e per alimentare la cultura della pace e dell’amore verso i propri simili. Scrive l’organizzazione:
“L’occupazione distrugge tutto e tutti e non ha mai senso misurare il dolore e la sofferenza. Le donne, gli uomini, le madri, i padri, fratelli, figli sorelle, se parlassero la stessa lingua esprimerebbero il dolore allo stesso modo. Molti, in quella regione martoriata dal dolore, la pensano così. E agiscono di conseguenza, mettendo in atto l’unica, vera e radicale politica di pace possibile: il dialogo e il riconoscimento dei diritti per tutti e tutte”. (9)
Queste persone hanno capito che delegare la pace alle stesse autorità che organizzano la guerra e la fomentano significa avere una guerra perpetua. Hanno ben compreso che la pace è possibile soltanto quando ci si mette nei panni dell’altro, lo si umanizza e si solidarizza con esso. Se non c’è un nemico malvagio non ci può essere nemmeno la guerra.
Se tutte le persone del mondo cessassero di odiare e iniziassero ad amare, molti problemi del mondo non potrebbero più esistere. Ma è molto più facile provare odio che amore.
I fattori più devastanti del mondo di oggi sono la rabbia, il rancore, la frustrazione e l’odio che il sistema politico-economico-finanziario attuale produce nella maggior parte delle persone. Tale situazione crea una grave situazione di nevrosi, che porta ad essere faziosi, rabbiosi, ostili verso coloro che si percepiscono nemici. Per capire questo stato di cose basta guardarsi un po’ in giro: quante persone sono soddisfatte e serene? Persino su Internet è possibile vedere quante persone, nei forum, insultano, esprimono pareri con toni rabbiosi e distruttivi, e si scagliano contro chiunque non la pensi come loro, anche quando il tema esigerebbe assai più pacatezza. Sempre più persone cercano un capro espiatorio per poter esprimere rabbia e frustrazione: lo troveranno nei soggetti più poveri, zingari, immigrati o emarginati.
Finché il mondo vede la maggior parte dei suoi abitanti affetti da frustrazione e infelicità, che si traducono in comportamenti ostili e distruttivi verso se stessi o il prossimo, non potrà albergare una pace vera e duratura. Il gruppo dominante, che ha creato tutto questo col tacito (e spesso inconsapevole) assenso della maggior parte delle persone, avrà buon gioco nel condurre guerre perenni, magari organizzando operazioni inquietanti e disumane proprio durante le festività, periodo in cui ogni famiglia vorrebbe pensare a cose ben diverse.
In seguito a queste operazioni distruttive, molti, per reazione, alimenteranno ancora più odio e rabbia, rafforzando quella spirale distruttiva in cui il mondo attualmente versa. Eppure dentro ogni essere umano c’è la capacità di amare e di rigettare la guerra: se tutti scegliessero l’amore il mondo cambierebbe istantaneamente. Il soldato si rifiuterebbe di uccidere, ogni persona si rifiuterebbe di odiare i più deboli e cercherebbe di capire la realtà oltre l’inganno mediatico, e molti cesserebbero di agire per distruggere piuttosto che costruire.
Tutto questo risulta utopia per coloro che non vedono altro mondo che quello attuale, e non sono disposti a cambiare perché cambiare costa impegno e fatica. Queste persone vedono la spirale dell’odio e della morte come inevitabile, ma non è così: sarà così solo se non saremo capaci di vedere alternative.
Da bambini, in chiesa ci è stato insegnato che l’amore è una potente energia, ma al contempo ciò è stato negato da istituzioni truffaldine (come la chiesa stessa) che alle parole non accompagnavano i fatti. Ad esempio, il Papa parla di pace ma egli sa benissimo quanto le banche vaticane guadagnino dalle guerre. Siamo stati indotti a pensare che la religione insegna tante buone cose, ma che esse non sono praticabili. Ciò non è vero, poiché la realtà consiste in quello che scegliamo di fare, e molte persone ci hanno dato un esempio concreto di amore e altruismo.
Oggi il mondo chiede che le persone amorevoli non siano più una piccola minoranza. Non possiamo più chiedere il minimo alla nostra esistenza, o sperare che le sofferenze dei popoli in guerra non ci tocchino: ogni popolo che soffre è da considerare il nostro stesso popolo, poiché tutto ciò che accade sul pianeta riguarda tutti.
Noi abbiamo il potere di cambiare il mondo, di renderlo ciò che desideriamo, ma tale potere non sarà mai davvero nostro finché non crederemo di averlo. Infatti, è proprio per questo che il mondo oggi è così: i popoli hanno affidato il potere a qualcun altro che è all’esterno, ad autorità che hanno approfittato del potere loro conferito e che l’hanno utilizzato per schiavizzare, attraverso la moneta e il sistema politico, dando l’illusione di libertà, al fine di evitare ribellioni.
Adesso non è più tempo di rimanere nella schiavitù ma di reagire e di compiere azioni rivoluzionarie: la più rivoluzionaria è amare ogni essere umano ed alimentare sentimenti di solidarietà anche nei casi più difficili. Se ogni persona mettesse in pratica questi valori, lavorando su se stessa, il gruppo criminale dominante si indebolirebbe gradualmente, fino a perdere ogni potere. Infatti, le operazioni disumane avrebbero l’effetto di accrescere la solidarietà e non, come avviene oggi, di seminare odio e rabbia.
La guerra in Medio Oriente è ancora in essere perché gli ebrei hanno paura degli arabi, che i mass media descrivono come “terroristi” e questo permette loro di accettare ogni operazione distruttiva dei loro governanti, e anche perché le speranze dei palestinesi nel processo di pace si sono infrante dopo molti anni di delusioni.
Gli ebrei si sentono insicuri e delegano al loro governo criminale la “protezione”, mentre i palestinesi hanno perduto la fiducia nella pace. Entrambi non credono nella pace, e non si può realizzare ciò che non si crede possibile.
Di questa situazione approfittano le autorità criminali, per fare ciò che vogliono impunemente.
I membri del Forum delle famiglie si sono resi conto di essere stati strumentalizzati dal sistema di potere, e che il loro
dolore non dipende dal popolo avverso, ma da ciò che è stato creato come sistema di controllo sul Medio Oriente. Osserva Bassam Aramin, un uomo che ha perso la sua bambina di 11 anni, uccisa dai soldati israeliani:
“Sarebbe facile, così facile, odiare. Cercare vendetta, impugnare un fucile, e uccidere tre o quattro soldati, nel nome di mia figlia. Questo è il modo in cui palestinesi ed israeliani hanno vissuto la propria vita per lungo tempo. Ogni bambino morto, ed ognuno è figlio di qualcuno, è un’altra ragione per continuare ad uccidere. Lo so. Anch’io ero parte di questa spirale… Ma… ho imparato la storia del popolo ebreo… sono riuscito anche a capire: da entrambi i lati siamo stati tramutati in strumenti di guerra. Da entrambi le parti ,vi è dolore, lutto, e infinite perdite. E l’unico modo per fermare tutto questo è fermare noi stessi”. (10)
Se la maggior parte delle persone riuscisse a vincere la paura, l’odio e l’impulso a demonizzare il nemico, la guerra non potrebbe più continuare.
Non soltanto in Medio Oriente, ma in tutto il mondo, ogni persona può contribuire a creare la pace in ogni paese in guerra. Può farlo creando la pace nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti. Non è un compito facile, ma è una sfida che l’umanità può accogliere e portare a compimento. Il futuro dell’uomo non è quello di odiare e commettere violenze contro i propri simili, ma la crescita che permette ad ogni cuore di capire cosa è la pace e come realizzarla.
Esistono molte iniziative di pace che riuniscono israeliani e palestinesi, come la Commissione Internazionale delle donne per una Pace Giusta e sostenibile in Palestina e Israele (IWC), che si occupa di far comprendere la necessità di rispettare i diritti umani e la legalità. L’IWC nasce nel 2005, ed è formato da 20 donne palestinesi, 20 donne israeliane e 20 internazionali.
In Israele e in Palestina si verificano molti atti di disobbedienza civile, di rifiuto della guerra e azioni favorevoli alla pace. Vengono rifiutati da ambo le parti l’apartheid e l’occupazione.
Molti militanti si prodigano per far capire a tutti, ebrei e palestinesi, cosa sta accadendo realmente, contro la disinformazione dei media ufficiali, che alimenta l’odio fra le due parti. Con la giusta informazione è possibile diminuire la paura che ogni parte ha dell’altra, e si può far capire che è possibile vivere insieme in modo pacifico.
Esistono molti attivisti per la pace, che organizzano molte iniziative di resistenza pacifica. Alcuni di essi sono refusnik (letteralmente “colui che rifiuta”) ovvero persone che hanno rifiutato di continuare ad uccidere nell’esercito israeliano. Spiega uno di essi, Omri Evron:
“Mi rifiuto di servire le industrie degli armamenti, le aziende globali, gli avidi appaltatori, i predicatori di razzismo e i cinici leader la cui attività è volta all’incremento della sofferenza, e che deprivano le persone dei loro diritti umani basilari. Il mio rifiuto serva a portare l’attenzione sul fatto che non tutti sono pronti a farsi indottrinare e cooperare per cause nazionaliste e razziste. Con questo atto voglio esprimere la mia solidarietà con tutti i prigionieri per la libertà in tutto il mondo. Mi rifiuto di credere alle bugie diffuse allo scopo di indurre divisioni e antagonismi fra i lavoratori delle due parti così che essi non possano allearsi nella lotta per i loro diritti. Vorrei che il mio rifiuto sia un messaggio di pace e di solidarietà e un appello a coloro che uccidono e sono pronti a farsi uccidere per interessi che non sono i loro, a deporre le armi e a unirsi nella lotta per un mondo più giusto. Sebbene sia conscio che questo atto costituisce una violazione delle leggi israeliane, mi sento tenuto a mantenere i miei valori democratici, umanistici ed egualitari. Il dominio militare di milioni di Palestinesi non è democratico. È mio dovere oppormi a qualunque legge che renda possibile privare altri dei loro diritti e della libertà, o trattarli con tale violenza da negare la loro umanità fondamentale. Rifiuto di uccidere! Rifiuto di opprimere! Rifiuto di occupare! Dichiaro la mia lealtà alla pace e rifiuto di servire la guerra e l’occupazione!” (11)
I refusnik sono la prova vivente che esiste fra gli israeliani il rifiuto della guerra e dell’oppressione contro il popolo palestinese, e il desiderio di obbedire a valori morali e umani, anche se ciò può costare caro nella situazione attuale.
Nonostante la società israeliana sia notevolmente militarizzata e condizionata in vari modi a credere che la guerra sia giusta e l’oppressione contro i palestinesi non esista, sempre più persone, giovani e adulti, rifiutano la guerra e desiderano vivere in pace con i palestinesi. Racconta la studiosa Raya Cohen:
“Nel marzo del 2005, oltre 250 liceali si sono organizzati indipendentemente da altri gruppi e hanno firmato una lettera aperta nella quale hanno dichiarato di rifiutare di prendere parte alla politica di occupazione e di oppressione e hanno chiesto di servire la società israeliana in modo alternativo. Fra essi c’erano i 7 incarcerati e tanti altri che sono stati riformati. Da storica, posso dire che mi stupisce il fatto che giovani che sono stati educati nelle scuole d’Israele, i cui confini riconosciuti sono letteralmente spariti dalle carte geografiche, che studiano a Shomron, Jehuda e Gaza, nomi biblici dei territori Palestinesi occupati, ai quali non insegnano che sotto Israele c’è la Palestina, cresciuti tra eventi violenti, atti di terrorismo e uccisioni mirate, sentano il bisogno personale di non partecipare alla repressione dei palestinesi. Molto spesso sono giovani che non hanno mai incontrato dei palestinesi, ma sognano un futuro non violento a loro e a se stessi. Il rifiuto di arruolarsi è una decisione difficile, di coscienza appunto, perché nell’etos israeliano l’esercito è la garanzia per la vita nazionale, quello che deve affrontare le minacce militare sull’esistenza dello Stato. Ma nessuno in Israele considera che controllare la vita di 4 milioni di Palestinesi contribuisca alla sicurezza di Israele stessa. La Palestina non ha un esercito e non possono minacciare la sicurezza dello Stato. Invece, da 40 anni l’esercito israeliano è coinvolto in repressioni, in ‘guerre sporche’ in mezzo alla popolazione civile palestinese, che non può risultare una ‘vittoria’. La difficile esperienza che subiscono i soldati nell’affrontare la popolazione civile provoca un ‘rifiuto differenziale’: un movimento di ‘soldati contro il silenzio’ che denuncia i crimini di guerra a cui i soldati (riservisti) sono stati testimoni; a gennaio 2002, 650 ufficiali hanno deciso di rifiutare di servire nei territori occupati; nel settembre del 2003, 27 piloti hanno rifiutato di eseguire un ordine illegale e immorale… ” (12) Qualcosa si muove, ed è molto importante. La scorsa settimana, la Commissione di Coscienza ha riconosciuto a Lior Volitynz (un giovane refusnik) lo status di obiettore per motivi politici, e lo ha riformato perché ‘contrario all’occupazione dei Territori’ e non perché disabile mentale. E’ la prima volta che succede in tutta la storia dello stato di Israele, e anche se la decisione rimane interna alla vita dell’esercito e non tocca quella politica, rappresenta comunque un indizio di mutamento e un precedente importante. Adesso chiediamo che le stesse decisioni vengano prese anche per gli altri obiettori, che finiscano le punizioni militari e che i nostri figli vengano giudicati per quello che sono, giovani israeliani che chiedono di servire la società’ e lo Stato, senza fucili puntati sui palestinesi. Mi rammarica che l’informazione italiana non ne abbia parlato e abbia sottovalutato questo fatto; per noi, è una vera notizia”. (13)
Un piccolo villaggio a nord-est di Ramallah, di nome Bil’in è diventato da alcuni anni un baluardo della lotta non violenta dei movimenti popolari di resistenza locale e internazionale contro l’occupazione israeliana e il muro.
In questo villaggio si svolgono molte iniziative
pacifiche per contrastare la brutalità dell’esercito. Vengono organizzate manifestazioni, incontri di preghiera, e persino giochi con clown e concerti, per riaffermare l’umanità come rispetto dei valori religiosi e umani.
A Bil’in israeliani e palestinesi insieme manifestano la loro fede nella soluzione che porterà alla pace, e si oppongono a tutte le violenze dell’occupazione militare israeliana. Se le stesse iniziative si diffondessero in tutti i villaggi, molte cose potrebbero cambiare.
Gli esempi di lotta non violenta e di solidarietà e alleanza fra israeliani, palestinesi e persone di tutto il mondo sono fondamentali per continuare a credere nella pace.
Per ostacolare la pace viene fatto credere che tutti gli ebrei sono malvagi e complottisti.
L’idea che possa esistere un “complotto” ordito soltanto da ebrei serve a non far capire la verità sul vero gruppo criminale. Viceversa, mostrare il “complotto” come ordito da “antisemiti” (o “terroristi”) è altrettanto vantaggioso, perché permette alle autorità israeliane di spacciarsi per vittime e dunque di arrogarsi il potere di aggredire e uccidere. Per questo motivo esistono persino organizzazioni preposte per divulgare e rafforzare l’esistenza dell’antisemitismo, ed esistono anche gruppi aizzati a credere che gli “ebrei” siano la causa di ogni problema del mondo.
Il complottismo, sia nel caso in cui venga inteso come dovuto agli ebrei o come organizzato dagli antisemiti, genera una situazione di intimidazione: chi critica Israele teme di essere additato come antisemita, chi si astiene diventa un potenziale sostenitore del gruppo ebraico complottista. Questo giova al gruppo criminale, perché costringe le persone ad essere condizionate e a doversi giustificare anche quando le loro analisi sono libere da ogni condizionamento di regime. Proprio in questo secondo caso troviamo i maggiori fraintendimenti, spesso creati ad oc per poter accusare la persona di antisemitismo, in modo da screditare le sue affermazioni ed esporla al pubblico ludibrio.
C’è sempre una via per la pace, esistono i semi della pace in ogni situazione di guerra. Ma essi non possono svilupparsi senza la capacità umana di creare “pensieri di pace”, anche quando è assai più facile alimentare i timori di guerra. Tutti noi possiamo fare molto per la pace. Ogni persona può creare pace con i propri pensieri e sentimenti. Se non viene dapprima creata nei pensieri e nel cuore, la pace non potrà mai esistere nella realtà.
Antonella Randazzo
Fonte: http://lanuovaenergia.blogspot.com/
Link: http://lanuovaenergia.blogspot.com/2009/01/possibili-pensieri-di-pace-parte.html
5.01.2009
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NOTE
1) Cit. Giacomo Mazzei, “Diavolo d’un Saddam”, http://www.diario.it/index.php?page=spe.impero.02.03
2) “Ha’aretz”, 5 aprile 2008.
3) http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=7&ida=&idt=&idart=9656
4) Rapporto del viaggio in Israele dell’ex Presidente degli USA Jimmy Carter, 13-22 aprile 2008.
http://www.jerusalem-holy-land.org/RapportoCarterAprile2008.htm
5) “London Review of books” (poi Internazionale 736, 21 marzo 2008) http://www.giornalismi.info/mediarom/articoli/art_1233.html
6) “Il manifesto”, 4 giugno 2006.
7) “Corriere della Sera”, 15 marzo 2008.
8) http://www.leluminarie.it/?p=313
9) http://www.luisamorgantini.net/articoli.php?articleID=0000000110
10) http://www.luisamorgantini.net/articoli.php?articleID=0000000110
11) www.yeshgvul.org
www.newprofile.org/
12) http://www.cdbcassano.it/i_reusvik.htm
13) http://www.articolo21.info/4210/notizia/la-prima-volta-di-lior-volinytz.html
BIGLIOGRAFIA
Cockburn Andrew, Cockburn Leslei, “Amicizie pericolose. Storia segreta dei rapporti tra Cia e Mossad, dalla fondazione dello Stato d’Israele alla guerra del Golfo”, Gamberetti, Roma 1993.
Cooley John K., “L’alleanza contro Babilonia. Usa, Israele e l’attacco all’Iraq”, Elèuthera, Milano 2005.
Hass Amira, “Domani andrà peggio. Lettere da Palestina e Israele, 2001-2005”, Fusi Orari, 2005.
Greco Giovanni, “Teatri di pace in Palestina”, Manifestolibri 2005.
Kleeves John, “Un paese pericoloso – storia non romanzata degli Stati Uniti D’America”, Società editrice Barbarossa, Milano 1999.