DI HAMID DABASHI
L’ISIS e Donald Trump uniti dal volgare esibizionismo di potere.
Nel corso del lungo e pigro mese di agosto, vi sono state in particolare due notizie che si sono contese le prime pagine dei notiziari: le atrocità dell’ISIS in Siria e Iraq, e Donald Trump negli Stati Uniti. Sembrava di assistere ad una gara tra due adolescenti pieni di testosterone che svegliandosi la mattina si chiedono quale dei due avrebbe sorpassato l’altro nel volgare esibizionismo di violenza e potere.
Mentre l’ISIS si teneva occupata uccidendo un noto archeologo siriano, Khaled al-Asaad, e al contempo distruggendo l’antico tempio di Baal Shamin a Palmira – la maggiore tra le tante atrocità, Donald Trump era ugualmente indaffarato a infrangere il suo personale record di razzismo, sessismo, misoginia e ostentazione di ricchezza, facendo commenti inappropriati sulla propria figlia, allo stesso tempo prendendosi una pausa dalla ridicolizzazione di madri lavoratrici e dal buttare fuori giornalisti di origine messicana dalle sue conferenze stampa.
E proprio quando eravamo sicuri che né l’ISIS né Donald Trump potevano fare di peggio, quotidianamente venivamo smentiti: facevano di peggio.
Ciò che unisce l’ISIS e Donald Trump è il volgare e violento esibizionismo di potere: l’ISIS nei panni di banda di fuorilegge stupratori e assassini; Donald Trump quale perfettamente legale messa in scena di campagna elettorale presidenziale.
L’ISIS e Trump non sono comunque peculiarità o eccezioni. Costituiscono invece degli estremismi che segnano i confini di un territorio che include un mucchio di riferimenti simili. Basta considerare il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu che si presenta al Congresso USA e la sua stupefacente insolenza nell’annullare l’autorità dell’incarico elettivo più importante di questo paese, lavorando contro la politica chiaramente espressa dal Presidente USA. Consideriamo anche l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) che funge apertamente da quinta colonna delle colonie israeliane negli USA, comprando e vendendo gli incarichi elettivi per dichiarare una guerra dopo l’altra per conto di Israele.
Consideriamo poi il Professor William C Bradford dell’Accademia Militare USA a West Point che propone di “minacciare i siti sacri islamici quale parte di una guerra contro un radicalismo islamico indifferenziato. Questa guerra dovrebbe essere portata avanti in modo vigoroso … anche se comporta grande distruzione, innumerevoli morti nelle fila nemiche e danni collaterali per i civili”
Il professore sentenzia finanche che “gli studiosi critici della guerra al terrorismo rappresentano una sovversiva quinta colonna che dovrebbe essere sottoposta ad attacco allo stesso modo dei combattenti nemici …. [prendendo di mira] le facoltà di legge, gli studi degli accademici e le sedi mediatiche in cui concedono interviste”.
Qual’è la differenza tra questo “professore” e Abu Bakr al-Baghdadi, tranne il fatto che indottrina gli ufficiali di più alto livello della più potente forza militare sulla terra?
Dall’altro lato dello spettro, ascoltiamo i discorsi dell’ Ayatollah Ali Khamenei dopo l’accordo sul nucleare iraniano e vediamo con che fantasie deliranti sta cercando di far passare quella che è la sconfitta più totale e umiliante della sua ampollosa retorica rivoluzionaria come una eclatante vittoria – facendo ricorso a certe sciocchezze quali “narmesh-e qahremananeh/ flessibilità eroica” per cercare di spiegare il vergognoso compromesso della sovranità di una nazione!
Quando metti tutte queste volgarità assieme, emerge qualcos’altro.
La pornografia come politica
In un interessante nuovo studio, “ Pornotopia: An Essay on Playboy’s Architecture and Biopolitics” (Pornotopia: un saggio sull’architettura e la biopolitica di Playboy), Beatriz Preciado offre un inusuale esame della costellazione di spazi pornografici quali siti della moderna produzione architettonica, e dunque una citazione cruciale della “modernità occidentale”. Basato su un’attenta lettura della rivista Playboy e i suoi connessi riferimenti spaziali di sesso e sessualità, Preciado dimostra come la sessualità sia confezionata come un set di tecniche biopolitiche per governare la riproduzione sessuale dei generi nella modernità architettonica del Nord America.
Ciò che questo studio permette, anche aldilà del suo immediato raggio di azione, è l’estensione di quella dimensione biopolitica-spaziale della modernità alla teatralità della moderna politica, in modo tale che l’esibizionismo pornografico si estenda fino a raggiungere gli angoli più lontani della politica globale: dalle buffonate volgari di Trump nelle elezioni presidenziali USA alle esibizioni feroci dell’ISIS in Iraq e Siria, e un mucchio di avvenimenti analogamente osceni che stanno nel mezzo.
Tutti questi sintomi indicano una condizione psico-patologica caratterizzata dalla spinta incontrollabile ad esibire i propri genitali in pubblico per segnare territori controversi e rivendicarne una dominazione aggressiva.
Queste analogie nella scena globale puntano a un comune denominatore che riduce la presunta distanza tra una gang di stupratori militanti islamici e la faccia perfettamente seria con cui la politica Nord Americana è percepita e analizzata. Nessuna di queste costituisce un’anomalia e sono tutte, invece, la logica conclusione di una modernità politica di cui la pornografia è la migliore rappresentazione emblematica.
Mettendo a paragone le atrocità dell’ISIS e le volgarità di Trump, mentre competono nell’esibizione di violenza e potere, li vediamo entrambi emergere quale manifestazione di “Pornotopia” a caratteri cubitali – la formazione spaziale della biopolitica nella modernità, un terribile esibizionismo che trascende la falsa dicotomia tradizionalmente giocata tra democrazia e terrorismo, moderno e medievale, normativo e barbarico.
L’ISIS e Trump non sono anomalie: sono rappresentanti emblematici di una politica pornografica fatta di volgare esibizionismo che segna la morte di qualsiasi cultura politica significativa – sia in Oriente che Occidente – che abbia anche solo una remota pretesa di decenza, legittimità o responsabilità civica.
L’unica misura rimasta della nostra umanità è quanto risolutamente riusciamo ad opporci ad essi per porre fine al banale voyeurismo che essi sistematicamente esigono e ottengono.
Hamid Dabashi è Professore Hagop Kevorkian di Studi Iraniani e Letteratura Comparata alla Columbia University di New York.
Fonte: www.aljazeera.com
Link: http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2015/08/pornotopia-isil-donald-trump-150830125017487.html
3.09.23015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HAIZE78