DI LEONARDO MAZZEI
antimperialista.it
E se l’annuncio di Draghi avesse più a che fare con le elezioni americane che con la sorte dell’euro?
Apparenze e realtà di uno strano passaggio settembrino.
Troppe cose non tornano. Dunque bisogna cercare la spiegazione. Partiamo dalla storia degli «acquisti illimitati», ma di là da venire, annunciati da Draghi. A leggere i giornali sembra quasi che i forzieri della Bce vadano già riempiendosi di titoli dei Piigs. In realtà, se mai vi saranno, gli acquisti partiranno solo dopo l’accettazione di pesanti condizioni da parte degli stati richiedenti aiuto.Scusate, ma non era questo il meccanismo anti-spread già previsto dal famoso vertice di fine giugno che avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il fondo ESM (Meccanismo europeo di stabilità)? Perché ri-annunciare ora una cosa già decisa, salvo il parere negativo della Corte costituzionale tedesca, atteso per mercoledì prossimo? Tra l’altro, la Bce potrà intervenire solo sul mercato secondario, dunque in maniera meno efficace di quanto previsto per il fondo ESM che, in teoria, dovrebbe poter operare anche in asta.
Draghi ha voluto giocare d’anticipo, aggirando così le resistenze tedesche? Può essere, ma in ogni caso – al di là dell’«effetto annuncio» – quali sarebbero le novità’? Forse ci sbaglieremo, ma non ci sembra di scorgerne alcuna. Più che bond sembrano intenzionati a «comprare tempo», che è poi quello che fanno dall’inizio della crisi dell’eurozona.
Si fa molta retorica sul concetto di «illimitatezza». Se non vi sono limiti, non vi saranno problemi, pensa la sottocasta giornalistica al servizio di lorsignori. Peccato che non vi sarà illimitatezza alcuna. Essa potrebbe esservi – evidentemente sempre in termini relativi (scusate la contraddizione, ma è così) – solo se venisse fatta la scelta di abbattere il debito monetizzandolo, cioè con l’emissione di nuova moneta. Non è questa la scelta della Bce, e non avrebbe potuto essere diversamente in base al proprio statuto ed ai trattati europei in vigore.
Draghi ha infatti precisato che gli (eventuali) incrementi di liquidità prodotti dal piano Omt – Outright monetary transactions (Operazioni monetarie dirette), verranno sterilizzati con l’utilizzo dei fondi parcheggiati settimanalmente dalle banche presso la Bce. Poiché questi fondi non possono certo essere illimitati, la leggenda della illimitatezza potrebbe finire anche qui.
Apriamo ora una parentesi: ma che forse i precedenti acquisti di titoli (soprattutto italiani e spagnoli), messa in atto a partire dall’agosto 2011 (programma Smp), avevano formalmente dei limiti? Ovviamente no. Nessun banchiere centrale potrebbe mai annunciare pubblicamente (che poi magari lo faccia privatamente con qualche banca amica è un altro discorso) limiti di questo tipo, men che mai sulle quantità che intende acquistare o sull’obbiettivo che si intende raggiungere sui tassi. Ed infatti i dati sul Securities markets programme – Smp li abbiamo conosciuti solo a programma concluso.
L’unica vera novità, semmai, è che i limiti del nuovo Omt sono assai più stringenti di quelli del vecchio Smp. Con l’Smp la Bce poteva teoricamente effettuare acquisti di titoli di ogni tipo e di ogni paese; con l’Omt potrà farlo solo per titoli con vita residua fino a tre anni e – soprattutto – solo ed esclusivamente per paesi che richiedendo aiuto si sottopongano, sottoscrivendolo (vedi la Grecia), ad un Memorandum of understanding.
Si può magari obiettare che l’Smp aveva un carattere eccezionale, mentre l’Omt – una volta avviato – dovrebbe durare per tutto il periodo necessario. Vero, ma con gravissime conseguenze, visto che il paese «aiutato» finirebbe di fatto in una sorta di black list finanziaria, dalla quale sarebbe ben difficile uscire.
Il piano della Bce prevede in effetti due livelli diversi di «aiuto»: il primo, per i paesi che hanno già perso sostanzialmente l’accesso ai mercati finanziari (vedi i casi di Grecia, Irlanda e Portogallo); il secondo per i paesi che pur non avendo ancora perso tale accesso, abbisognano di interventi tesi a prevenire questa eventualità. Per i primi si prevede la sottoscrizione di un «programma di aggiustamento macroeconomico», mentre per i secondi si dice che gli «aiuti» possono essere concessi in base ad una non meglio precisata «stretta condizionalità». Il tutto comunque sotto il sinistro controllo della trojka Bce-Ue-Fmi.
Ora, siccome Grecia, Irlanda e Portogallo hanno già sottoscritto il loro «piano di aggiustamento», è evidente che qui si sta parlando di Spagna ed Italia. Paesi che, si lascia intendere, potrebbero rientrare nel secondo caso di cui sopra, ma comunque chiamati a chiedere formalmente aiuto. Il problema è che la richiesta di aiuto assomiglia molto ad una dichiarazione di fallimento, con tutte le conseguenze prevedibili sui mercati finanziari.
Ecco allora il paradosso di queste ore: da un lato i governi di Italia e Spagna festeggiano per le dichiarazioni di Draghi, dall’altro smentiscono (specie l’Italia) di avere – almeno per ora, in futuro si vedrà – la ben che minima intenzione di ricorrere all’aiuto della Bce. Insomma, lo scudo dell’eurotower sarebbe così forte da salvare l’euro da renderlo «irreversibile» (bum!), e tuttavia nessuno vuole ricorrervi per non trovarsi con il marchio di «stato fallito». Ma se nessuno lo utilizzerà, l’Omt altro non sarà che l’ennesimo «acquisto di tempo» di cui è disseminata la strada della fine dell’euro, un rottame da accatastare insieme al Smp ed al Ltro (il programma di finanziamento delle banche).
Vedremo, ma la sensazione è che la forza dell’annuncio di Draghi stia in realtà solo nell’annuncio. Se è così la verità non tarderà a venire a galla e gli spread riprenderanno allegramente il loro corso. Tuttavia, ogni cosa ha un senso, e non possiamo pensare che la mossa della Bce non ce l’abbia. Vediamo allora di capire chi potrebbe aver mosso i signori di Francoforte.
Draghi ha fatto il suo annuncio il 6 settembre, cioè esattamente due mesi prima delle elezioni americane. Per una serie di motivi, che non stiamo qui a ricapitolare, gli Usa sono interessati alla tenuta dell’euro più degli stessi paesi dell’eurozona, un paradosso solo apparente che dovrebbe far riflettere. Di certo a Washington non gradiscono un’acutizzazione della crisi finanziaria, da rimandare almeno a dopo le elezioni presidenziali, per garantire un nuovo successo ad Obama che dei potentati finanziari è grande amico.
C’è un particolare che non è stato sottolineato a sufficienza: l’apparente umiliazione di una Germania divisa. Tutti hanno visto il voto isolato del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, così come le ambiguità della Merkel, che ha usato una lingua in patria ed un’altra fuori. Ma la cosa ancor più significativa è stata la derisione di Draghi: «C’è stata una sola voce dissenziente, lascio a voi indovinare quale», al quale ha fatto da spalla un Monti che ha detto che «il parlamento italiano ribolle di sentimenti negativi nei confronti della Germania».
Quando mai questi tecnocrati hanno usato un simile linguaggio nei confronti della Germania? E se oggi lo fanno, la ragione può essere una sola: la certezza di essere spalleggiati da qualcuno di più forte, non solo le grandi oligarchie finanziarie, ma anche il massimo potere politico del pianeta che risiede alla Casa Bianca.
La pesante discesa in campo di Obama spiega sia gli ondeggiamenti del governo di Berlino, sia l’atteggiamento degli altri banchieri filo-tedeschi (Olanda, Finlandia, Austria, eccetera) che siedono nel consiglio della Bce. Costoro hanno detto sì, in parte perché consapevoli dei vincoli tremendi che verranno imposti agli eventuali candidati agli «aiuti», in parte perché non se la sono sentita di dire no alla richiesta d’oltreoceano.
In ogni modo, contrariamente a quel che si vuol far credere, il peggio è davanti a noi. Se lo «scudo» resterà inutilizzato i signori dell’euro guadagneranno al massimo un paio di mesi. Se qualche paese votato al martirio deciderà invece di ricorrervi saranno ancora lacrime e sangue.
In questo senso vale quanto scritto da Sergio Cesaratto (http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2012/09/un-articolo-su-il-manifesto.html) : «Delle tre fonti di crisi, quella consistente dello stesso euro, quella dovuta al mancato intervento della BCE per due lunghi anni, e quella dell’austerity, la mossa di Draghi attenua la seconda, ma al prezzo di alimentare la terza, e senza far nulla nei confronti della prima. La mossa di Draghi va interpretata come frutto della paura che l’incendio si portasse via il presupposto medesimo del discorso, cioè l’euro, e che dunque i popoli dei paesi periferici potessero dire basta a questa lenta agonia. Si tiene dunque in vita il paziente, ma solo quel tanto perché dosi rafforzate dell’altra cura, l’austerità, facciano effetto nell’annichilirne ogni volontà di reazione».
Anche se tutto il blocco dominante si sforza di illudere sulla famosa «luce in fondo al tunnel», la realtà è quella di una recessione senza sbocchi, con tutto il corollario fatto di disoccupazione, precarietà, povertà e sfruttamento crescente. E l’euro è il gendarme di questo supplizio del popolo lavoratore. Ecco perché i «draghi» della finanza lo vogliono tenere in piedi a tutti i costi. Così vuole l’intera classe dominante, ed anche il padrone di Washington.
Qualcuno ha scritto che «l’euro è il Reagan d’Europa». Più si comincerà a prendere coscienza di questo fatto, più si avvicinerà il momento della riscossa.
Leonardo Mazzei
Fonte: www.antimperialista.it
Link: http://www.antimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2178:piu-che-bond-lcomprano-tempor&catid=171:unione-europea
9.09.2012