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DI NAOMI KLEIN
The Nation

Nell’ultimo anno i fondi di investimento hanno preferito le tecnologie della difesa e le armi all’ambiente. Perché il profitto è sicuro

Chi è stanco delle brutte notizie dai mercati dovrebbe parlare con Douglas Lloyd, direttore di Venture Business Research, una società che analizza le tendenze nel campo degli investimenti ad alto rischio e alto profitto. “Secondo le mie previsioni, l’effervescenza in questo settore continuerà”, ha detto recentemente. Un ottimismo giustificato dai fiumi di denaro che continuano ad affluire alle imprese specializzate nel campo dell’autodifesa e dei dispositivi per la sicurezza privata. E ha poi aggiunto: “Non sono il solo a ritenere questo settore più attraente di quello dell’energia pulita”.

Capito l’antifona? Chi è alla ricerca di una carta vincente venda il solare e acquisti sorveglianza. Scordatevi il vento, buttatevi sulle pistole. L’osservazione, proveniente da un esperto che gode della fiducia di clienti quali Goldman Sachs o Marsh & McLennan, merita attenzione.

L’amministrazione statunitense, che continua a sbarrare la strada a ogni proposta di limiti tassativi alle emissioni di gas nocivi, vorrebbe far risolvere la crisi al mercato. Lo scorso gennaio George Bush ha dichiarato al mondo: “Siamo alla vigilia di progressi tecnologici straordinari”. E ha poi aggiunto: “Lasciamo che sia il mercato a decidere qual è il mix di combustibili più valido e più efficiente per conseguire questo obiettivo.”

L’idea che il capitalismo possa salvarci dalla catastrofe climatica ha un fascino irresistibile, innanzitutto perché offre ai politici un pretesto per sovvenzionare i grandi gruppi economici, anziché assoggettarli a qualche regola; e poi perché consente di eludere qualsiasi dibattito sul ruolo primario che la logica di fondo del mercato – quella della corsa a una crescita illimitata – ha giocato per farci arrivare a questo punto.

Sembra comunque che il mercato abbia idee diverse sulla via migliore per affrontare le sfide di un mondo sempre più esposto ai disastri. A parere di Douglas Lloyd, nonostante gli incentivi statali, i maggiori investitori stanno voltando le spalle alle tecnologie per l’energia pulita, e puntano di preferenza sui gadget che promettono roccaforti high tech a protezione di paesi ricchi e individui danarosi. Nell’ambito degli investimenti a rischio, la crescita maggiore si registra nel settore delle imprese specializzate in dispositivi di sicurezza e ‘risposte private’ alle situazioni di emergenza. Detto in soldoni, nel mondo del venture capitalism le tecnologie verdi erano in gara con quelle della sorveglianza e della difesa armata. E queste ultime hanno vinto.

Secondo i dati di Venture Business Research, nel 2006 le imprese nordamericane ed europee specializzate in tecnologie verdi e quelle che producono armi e sistemi per la difesa personale erano alla pari: per entrambi i settori gli investimenti hanno raggiunto la quota di 3,5 miliardi di dollari. Ma quest’anno c’è stata un’impennata improvvisa nel campo della sicurezza: mentre alle tecnologie verdi sono andati 4,2 miliardi di dollari, i dispositivi di difesa hanno raddoppiato la cifra, rastrellando ben 6 miliardi di nuovi fondi. E ancora non siamo alla fine dell’anno.

Questo trend non ha nulla a che fare con la realtà della domanda, che nel campo dell’energia pulita non potrebbe essere più vivace. Col petrolio a 100 dollari al barile, non si possono avere dubbi sull’urgenza di alternative ecologiche, non solo per i bisogni dei consumatori, ma per la specie umana in quanto tale. ‘Time Magazine’ ha parlato dell’ultimo rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’Onu, insignito del premio Nobel, come di un “ultimo avviso all’umanità”. E un nuovo dossier dell’Oxfam ha dichiarato senza mezzi termini che la recente ondata di disastri naturali non si può imputare al caso: negli ultimi due decenni il numero degli eventi meteorologici estremi si è quadruplicato. Per converso, nel 2007 non vi sono stati attacchi terroristici di rilievo nell’America del Nord o in Europa; si prospetta inoltre una riduzione delle truppe Usa in Iraq, e nonostante la propaganda martellante non si profila nessuna minaccia immediata da parte dell’Iran.

Ma allora, perché questo nuovo boom dei dispositivi di sicurezza, e non dell’energia pulita? Forse perché il mondo economico può rispondere alle crisi del clima e dell’energia in due modi diversi: con un modello tecnologico e politico orientato a cambiare strada, per fermare la corsa al disastro; oppure proponendo sistemi per proteggersi dalle peggiori conseguenze del cambiamento climatico e delle guerre per le risorse, oltre che dalla rabbia disperata delle vittime. Un atteggiamento efficacemente illustrato da una recente pubblicità televisiva della Hummer, dove il proprietario di un possente Suv superenergivoro fugge da questa o quella zona disastrata portando in salvo la sua roba. Segue lo slogan: ‘Hope: Hummer Owners Prepared for Emergencies’ (Speranza: chi possiede un Hummer è pronto per le emergenze). Un po’ come se l’uomo Marlboro si occupasse dell’assistenza psicologica in un reparto di oncologia.

In sintesi, abbiamo due opzioni: cercare un rimedio ai guasti, o tentare di arroccarci in una fortezza. Ecologisti e scienziati invocano a gran voce il rimedio; mentre per i fabbricanti dei dispositivi di sicurezza il futuro è la roccaforte.

È stato l’11 settembre a lanciare questa new economy. Molte tecnologie originariamente concepite per l’antiterrorismo sono state riconvertite in funzione di una ‘risposta privata’ all’emergenza in caso di catastrofi naturali. La Blackwater si atteggia a novella Croce Rossa, i pompieri lavorano per i giganti assicurativi. Ma il mercato che più conta vede protagonisti Halliburton, col suo contratto per la costruzione di baluardi a difesa dell’Europa e dell’America sotto forma di centri di detenzione per i flussi di immigranti non meglio specificati. O la Boeing, con la sua barriera di confine ‘virtuale’. O le carte d’identità biometriche. Tutte tecnologie i cui bersagli sono, più che i terroristi, i flussi migratori, sempre più alimentati dagli esodi conseguenti ai disastri meteorologici, come le recenti alluvioni a Tabasco (Messico), o il ciclone nel Bangladesh. E poiché il cambiamento climatico sta facendo esplodere il numero degli sradicati senza più terra, il mercato dei baluardi e delle fortezze promette una crescita straordinaria.

Certo, anche l’ambiente può essere un’ottima fonte di guadagni; ma almeno a breve termine, è molto più redditizio vendere barriere di protezione o vie di fuga. Come spiega Douglas Lloyd, “il business della sicurezza ha un tasso di insuccessi molto inferiore a quello delle tecnologie pulite; e inoltre, fattore questo di non minore importanza, l’entità del capitale da investire per una buona riuscita in questo campo è di gran lunga inferiore”. In altri termini, se è difficile risolvere i problemi reali, è assai più facile trasformarli in una fonte di profitto. Bush si propone di affidare la soluzione della crisi climatica all’inventiva del mercato. Ora il mercato ha detto la sua: non muoverà un dito per impedirci di proseguire sulla via del disastro. Di fatto, i soldi intelligenti hanno già fatto la loro scommessa: si va avanti così.

Versione originale:

Naomi Klein
Fonte: www.thenation.com
Link: http://www.thenation.com/doc/20071217/klein
17.12.07

Versione italiana:

Fonte: http://espresso.repubblica.it
Link: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Più-cannoni-meno-fiori/1936487&ref=hpsp
2.02.08

Traduzione a cura di Elisabetta Horvat

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