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La Redazione

 

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PIOGGIA FORTE

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A cura di Davide
Il 9 Dicembre 2005
37 Views

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Verso un incremento della guerra aerea sull’Iraq ?

RON JACOBS

Recenti dispacci d’agenzia sui giornali statunitensi ed europei hanno insinuato che Washington e Londra stiano considerando una riduzione drastica delle loro truppe in Iraq. Questi rapporti informativi solitamente non menzionano che quelle stesse forze sono state incrementate appena l’estate scorsa, e che, considerando i numeri delle attuali presenze nel paese, la ventilata riduzione non è in realtà tanto grande quanto viene reclamizzata. Inoltre, salvo poche eccezioni, la maggior parte di quei dispacci non si disturba a spiegare che, quand’anche le truppe vengano ritirate dal fronte e rimpatriate, il Pentagono pianifica di rimpiazzare la loro capacità di combattimento con forze aeree.
Per coloro che si trovavano qui durante la guerra statunitense del Vietnam, questo piano riecheggia terribilmente gli ultimi anni di quella guerra. All’epoca tale strategia formava parte del piano dell’amministrazione Nixon per la “pace con onore”.

Fu un piano conosciuto anche come “vietnamizzazione” e funzionò così: le truppe sudvietnamite (ARVN) (1) operavano sul terreno insieme a ridotte forze statunitensi, attaccando le forze guerrigliere ed i loro sostenitori dopo aver sollecitato gli attacchi dall’aria, che compivano gli aerei dell’aviazione statunitense (USAF). Parallelamente si svolsero campagne di bombardamenti casuali che avevano per obiettivo intere zone rurali vietnamite e che duravano giorni o perfino settimane, distruggendo interi villaggi e parti delle città, assassinandone i civili a centinaia. Tra queste campagne di bombardamenti massicci, forse la più nota ebbe luogo durante il mese di dicembre 1972 e fu conosciuta come “bombardamento di Natale”. Quella tormenta di morte fu la più grande campagna di questo tipo e distrusse porzioni di Hanoi e di molte altre città del Vietnam del Nord. Più di 1.600 vietnamiti morirono nell’arco di quegli undici giorni.

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A questo punto, analogamente, sembra che gli Stati Uniti stiano usando il loro potere aereo in Iraq ed Afghanistan in quelle che definiscono operazioni d’appoggio diretto. Solitamente ciò ha il significato d’attacchi aerei portati a termine su scala relativamente ridotta; obiettivi dei missili sono edifici privati ed interi isolati dei centri abitati. Il numero di missioni d’appoggio aereo però non è basso. Di fatto, secondo un comunicato stampa del Comando Centrale USAF, “nell’operazione “Libertà Irachena” il 27 novembre aeronavi della coalizione hanno compiuto 46 missioni d’appoggio aereo diretto. Tali missioni appoggiarono le truppe della coalizione, permisero la protezione d’infrastrutture, attività di ricostruzione ed operazioni per ostacolare ed interrompere attività terroristiche. Aerei della coalizione coadiuvarono operazioni terrestri irachene ed alleate al fine di creare un ambiente sicuro per le prossime elezioni parlamentari di dicembre”.

A queste 46 missioni ne seguirono altre 42 il 28 novembre. Ovvero 88 missioni d’appoggio aereo riconosiute in due giorni. Si aggiungano le 18 missioni d’appoggio diretto riportate in Afghanistan il 28 novembre. Si moltiplichi ciò per sette giorni alla settimana: risultano 308 missioni di combattimento aereo solo in Iraq. Per il tipo d’armamento usato, significa che anche questo supposto appoggio aereo diretto causa la morte di civili. È praticamente impossibile ammazzare solo una o due persone con una bomba da un quarto di tonnellata o un missile di 50 libbre.

Gli effetti collaterali per l’uso di tali missili da parte d’Israele, contro auto condotte da membri della resistenza palestinese, provano questo punto in modo tangibile. Anche il vecchio film dei contadini vietnamiti falciati dagli spari degli elicotteri da combattimento e dai missili dei jet a volo radente statunitensi pone in risalto la facilità con cui s’incrementano i morti civili.

Dunque perché il Pentagono e la Casa Bianca stanno prendendo in considerazione un cambiamento di strategia? Detto chiaro e semplice, ha a che fare con le politiche interne statunitensi.

Tornando al 1969, quando Nixon fu rieletto per il suo mandato, promise di portare pace con onore e di concludere la guerra in Vietnam. Al contrario, estese la guerra e la rese ancor più sanguinosa. Tuttavia, allo stesso tempo, cominciò a ritirare truppe statunitensi dal campo di battaglia.

Dato che i comandanti statunitensi non confidavano nel fatto che l’ARVN portasse avanti la guerra per conto proprio, il Pentagono usò le diverse migliaia di soldati USA di fanteria restanti per capeggiere missioni del tipo “cercare-e-distruggere”, coadiuvate dall’armamento dell’USAF e dell’ARVN. Benché questa strategia facesse sì che i suoi ideatori a Washington fossero visti di buon occhio dal pubblico statunitense, stanco della guerra mentre continuava il massacro dei vietnamiti, non piacque tanto ai governanti di Saigon. Essi sapevano che non sarebbero stati mantenuti al potere. Robert H. Johnson, membro del Consiglio Pianificatore di Politiche del Dipartimento di Stato USA (1962-67), scrisse sul giornale ufficiale Foreign Affairs nel 1970: “E’ evidente dal parere del Presidente (sudvietnamita) Thieu in merito alle notizie sui punti di vista degli ufficiali USA nel Vietnam del Sud, che quei tanti presenti in Vietnam – coscienti che gli sforzi militari dell’ARVN sono ormai da lungo tempo deboli – sono stati più sanguinari degli strateghi di guerra statunitensi circa le possibilità di una ragionevole ritirata degli Stati Uniti-. (Luglio 1970).

Nonostante ciò, nel luglio 1970 nei circoli creatori della guerra si discorreva ancora sulla possibilità per gli USA di raggiungere il loro obiettivo in Vietnam mediante l’azione militare aerea, addirittura mentre stavano ritirando le forze terrestri dalla Cambogia dopo l’opposizione violenta e generalizzata all’invasione del paese del 30 aprile 1970. Prova ne è il fatto che perfino quando ormai la maggior parte delle truppe statunitensi era stata rimossa dalla Cambogia, il bombardamento di quel paese continuò senza posa, finchè il governo installato dagli USA cadde sconfitto di fronte ai Khmer Rossi nella primavera del 1975.

Torniamo in Iraq. E’ ancora d’obbligo, all’interno della Casa Bianca di Bush ed in gran parte del Congresso, la credenza che gli USA possano raggiungere i loro obiettivi in quel paese per via militare. Ciò traspare dalle parole della Casa Bianca e da quelle presumibilmente più moderate di Democratici come Joseph Biden (Del.). La Casa Bianca ed un’ampia maggioranza del Congresso non divergono sulla guerra, ma soltanto su come viene condotta. Ci si potrebbe scommettere il cenone di Natale, che la stragrande maggioranza del Congresso USA adorerebbe vedere le proprie forze aeree compiere il grosso dei massacri e delle distruzioni in Iraq. Questo cambiamento di strategia, combinato probabilmente con la riorganizzazione delle forze statunitensi di terra verso il Kuwait e posizioni difensive ben fortificate in Iraq, diminuirebbe il numero delle perdite statunitensi e, così sperano, assicurerebbe la rielezione della maggioranza di quei congressisti che, rientrando a casa per le poche settimane di vacanze invernali, si sentiranno le ire dei loro elettori.

Secondo uno stralcio di Seymour Hersh sul New Yorker del 28 novembre 2005, alcuni comandanti dell’USAF sono preoccupati per la svolta verso un incremento d’impiego di forze aeree in Iraq. Le due principali ragioni addotte riguardano il maggior pericolo di perdite civili e la possibilità che i comandanti iracheni richiedano gli attacchi. Benché nobile, la prima preoccupazione è senza senso, dato il tipo di guerra terrestre condotto, dove le forze d’occupazione prima tendono a sparare e dopo ad accertare la natura delle loro vittime.

Nelle preoccupazioni di questi ufficiali viene taciuto il dato storico che la forza aerea non funziona contro un’insurrezione di guerriglia. Se così fosse, Città Ho Chi Minh non continuerebbe a chiamarsi Saigón? Le forze guerrigliere FARC controllerebbero ancora una parte considerevole delle campagne colombiane? Tutto indica che il potere aereo non vince le guerre, distrugge soltanto la terra e genera un mucchio di denaro per l’industria degli armamenti. Ed aumenta l’odio della popolazione che gli aerei ed i loro piloti stanno bombardando.

Forse se un aggressore fosse disposto a farsi carico di tale politica fino alla sua meta logica – la totale devastazione – probabilmente quell’aggressore vincerebbe la sua guerra, sebbene rimerrebbe poi ben poco da guadagnare (fatta eccezione per il petrolio, nel caso dell’Iraq).

È questo ciò che George Bush intende quando insiste in nientepopodimeno che la vittoria? Se così non è, allora sembra che l’unica motivazione d’una strategia che rimpiazza il combattimento su terra con la morte dall’aria sia da leggersi in chiave di vendetta sciovinista.

Ron Jacobs
Ron Jacobs è autore di The Way the Wind Blew: a history of the Weather Underground, recentemente republicado da Verso. Il suo saggio su Big Bill Broonzy, Serpents in the Garden è incluso nella nuova collezione su musica, arte e sesso di CounterPunch. Può essere contattato all’indirizzo: [email protected]

Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=23686
04/12/2005

Traduzione a cura di ADELINA BOTTERO

N.d.T:
(1) The Army of the Republic of Vietnam, ARVN (Esercito della Repubblica del Vietnam). Componente militare delle forze armate della Repubblica del Vietnam, comunemente conosciuta come Vietnam del Sud.

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