DI GEORGE ORWEL
AlterNet
La nostra economia dipende così tanto dai combustibili fossili che una
mancanza di petrolio senza fonti di combustibile alternative
condurrebbe al caos totale.
Mi torna spesso in mente un detto cinese che grosso modo si può
tradurre così: a lungo non vuol dire per sempre. In altre parole, tutto
termina; non importa quanto tempo ci voglia.
Mi sono occupato a lungo dell’industria petrolifera e ho parlato spesso
con molti economisti sullo stato del mercato. Costituiscono un gruppo molto
ottimista. Questo è un bene, perché trattano la questione della creazione
di ricchezza, sebbene quando lasciano che un irragionevole ottimismo
colori il loro modo di pensare, la loro unica
preoccupazione è il beneficio finanziario a breve termine, e corrono il
rischio di perdere di credibilità. Dico ciò perché nel mondo moderno sta accadendo qualcosa di nuovo. A
lungo, siamo stati abituati all’economia classica sostenuta da personaggi
come Milton Friedman. Ma c’è una nuova razza di quelli che si potrebbero
definire economisti rinnegati, il cui obiettivo non è basato soltanto
sulla mera concorrenza, ma anche sul bene della comunità. Questi
economisti, come anche gli scienziati, stanno discutendo sulle conseguenze di un
mondo con disponibilità di petrolio ridotta. Si stanno chiedendo
“perchè non possiamo cominciare a prepararci per il momento in cui
probabilmente non ne avremo più?” Come i geologi che stanno richiamando la nostra
attenzione su un picco del petrolio, questi scettici pensano che
l’industria petrolifera si stia prendendo in giro da sola, essendo eccessivamente
ottimista sull’abbondanza delle risorse naturali. Molto presto, vedremo una
variazione nel pensiero economico tradizionale, da roventi mercati
liberi a briglia sciolta a qualcosa di più ingrigito.
Il che ci porta al discorso del picco del petrolio. Prendiamo per
assunto che la produzione di petrolio mondiale raggiunga il suo apice in
circa 15 anni. Cosa significa per noi, in concreto? Non significherà che
rimarremo senza petrolio immediatamente. Significa solo che la
disponibilità netta di petrolio da allora in poi diminuirà ad un tasso annuo del
2 % circa, e dovremmo prevedere che la disponibilità cali del 20 %
circa entro il 2035, quando la popolazione del mondo sarà raddoppiata,
assieme al consumo di combustibile. Questa è ancora un’ipotesi e le cose
potrebbero svilupparsi in modo diverso, incluso lo sviluppo di nuove
tecnologie che potrebbero rendere la vita un po’ più facile, ma stiamo
andando verso un enorme problema. Possiamo dire con sicurezza che la
progressione generale degli eventi indica un futuro spaventoso.
Durante gli ultimi due anni già abbiamo visto un’anteprima di questo
film, sotto forma di fornitura di petrolio che non riesce a tener dietro
alla richiesta. Il risultato è stato prezzi elevati del combustibile ed
un brutto colpo all’economia e alla fiducia dei consumatori. È
importante ricordare che gli attuali, elevati costi dei combustibili non sono
poi male se confrontati con ciò che dobbiamo aspettarci in futuro. Ci
sarà una crisi quando la disponibilità si ridurrà così drasticamente che
non importerà se avrete i soldi per pagare il combustibile. Come tutti
sanno, quando i soldi perdono di significato perché non c’è niente da
comprarci, ciò con cui si rimane è l’esistenza primordiale.
Sarà dura aver a che fare con l’impatto su trasporti, salute,
agricoltura e altri aspetti dello sviluppo. Nel caso di una carenza generale di
energia, pensate a cosa sarebbe delle nostre metropolitane, dei nostri
ospedali, delle nostre fabbriche, dei nostri uffici e delle nostre case.
La nostra economia dipende talmente dal combustibile fossile che una
mancanza di petrolio senza fonti di combustibile alternative condurrebbe
non solo ad un virtuale tracollo dell’economia, ma al caos totale.
Come precisa James Howard Kunstler nel suo libro “La lunga emergenza:
sopravvivere alle catastrofi convergenti del XXI secolo (*)” l’economia
degli Stati Uniti si è evoluta gradualmente dall’uso di energia solare a
modelli artificiali di vita sostenuti da combustibile fossile a basso
costo.
Io di solito sono un ottimista ed il mio punto di vista è che farsi
mantenere dal petrolio potrebbe non essere così artificiale come afferma
Kunstler, ma devo apprezzare il suo punto centrale. Dice che dipendiamo
dai computer per il lavoro, per imparare e fare shopping. Che siamo
abituati a cuocere in microonde i nostri alimenti e che usare il gas per
cucinare non è in dubbio. I sistemi che abbiamo sviluppato in Occidente,
afferma – sistemi che si suppone dovrebbero migliorare l’efficienza –
non possono sopravvivere senza un certo tipo di energia, soprattutto
energia da combustibili fossili.
Altri hanno inoltre notato che il boom economico della prima metà Anni Venti è stato alimentato dal petrolio.
L’economia è stata spinta dalle automobili così come dalla prima grande
ondata di espansione suburbana. Entrambe hanno generato un’enorme
attività economica in altri settori, dai beni immobili alla manifattura.
Circa l’8 % delle famiglie statunitensi hanno avuto l’elettricità nel 1907 e
la cifra passa al 35 % nel 1920. La produzione di automobili è aumentata
da 45.000 unità nel 1907 a 3.5 milioni nel 1923. Ancora più importante,
gli Usa hanno soddisfatto le proprie esigenze di petrolio con la
produzione nazionale. Il fatto che il petrolio fosse disponibile a basso
costo qui negli Stati Uniti ha fatto risparmiare tonnellate di denaro, che abbiamo
investito a Wall Street.
Ma quel boom del petrolio ha anche significato
problemi per l’economia agricola, che è stata trascurata mentre ci
spostavamo verso l’industrializzazione durante la metà del XX secolo, con
le esportazioni di beni manifatturieri verso Europa proprio mentre
iniziava la Seconda Guerra Mondiale. Le fattorie degli Stati Uniti, che
avevano guadagnato esportando grano in Europa durante la Prima Guerra
Mondiale, hanno cominciato ad aver problemi negli Anni Trenta non appena la
meccanizzazione portò ad una sovradisponibilità dei prodotti agricoli
quali il grano. Il prezzo del grano crolla e la depressione finanziaria
dei primi anni ’30 porta nel seguito di quel decennio alla depressione
economica per le fattorie. Il sistema da cui avevamo dipeso sprofonda
durante la Grande Depressione. Alcuni pensano che l’attuale scarsità di
fonti di energia potrebbe spingere la nostra economia verso una
situazione simile.
Fino ad ora, non abbiamo iniziato a pensare a cosa possiamo mettere in pratica per
continuare a far funzionare questi sistemi nel caso in cui rimanessimo
senza combustibili fossili. Secondo l’ottica di Kunstler, il motivo per
cui non abbiamo investito in combustibili alternativi è semplice:
abbiamo affidato la decisione agli economisti neoclassici, i quali non credono che
stia comparendo una crisi all’orizzonte. Il risultato, dice, è che ad
un certo punto nell’immediato futuro la nostra economia smetterà di
crescere. Nei due anni scorsi, gli alti costi energetici hanno tagliato la
crescita di una piccola percentuale, abbassato la fiducia dei consumatori e
colpito sia i guadagni dei produttori di auto che delle linee aeree.
Quando l’economia degli Stati Uniti subisce un duro colpo, noi
probabilmente lo sentiamo – non soltanto nei nostri portafogli, ma anche
nelle strutture sociali che abbiamo costruito – a causa del potenziale
crollo dei servizi.
Il cambiamento non avverrà in una notte. L’industria dell’automobile è
uno dei tipi di trasporto più affamati di energia mai creati. La
proprietà di automobili negli Stati Uniti, 217 milioni, è la più alta al mondo. A
causa dell’espansione urbana nel Sud e all’Ovest, in posti come California
e Arizona, abbiamo una dipendenza sociale dal trasporto su auto. Il
sistema autostradale, realizzato negli anni ’50, ha soltanto incoraggiato
questo bisogno di guidare da soli automibili enormi. Milioni di
galloni di benzina sono stati usati in questo processo. Nei decenni
successivi, potrà non esservi necessità di costruire più autostrade perché non
ci saranno molte automobili che le useranno. Potrebbe esser un buon
consiglio iniziare a spostarci verso un sistema di trasporto di massa
anche in città che attualmente non ne hanno uno. Il motivo è semplice: la
necessità di conservare carburante aumenta di anno in anno.
Uno studio di parecchi anni fa di Randall G. Holcombe della Auburn
University nell’Alabama dimostrava che l’industria automobilistica subirebbe
i danni di gran lunga più significativi in caso di un crack
petrolifero, dovuto ad un embargo dei produttori o altri tagli alla disponibilità.
Inoltre, una grande parte del danno economico deriva da un declino
nella domanda di produzione più che come conseguenza diretta della
riduzione della fornitura di petrolio. Holcombe considera ciò significativo
per due motivi collegati alla politica. In primo luogo, implica che
anche se i responsabili delle decisioni politiche potessero sostituire
tutto il petrolio contingentato, potrebbero ancora verificarsi importanti
disfunzioni economiche come risultato di un embargo o solo di una
fornitura limitata. In secondo luogo, le politiche progettate per
minimizzare le perturbazioni della domanda possono produrre significativi
benefici a basso costo e dovrebbero avere una netta priorità nelle questioni
politiche pertinenti agli embarghi. Si tratta di un potente argomento
per una pianificazione iniziale.
* “Collasso” Sopravvivere alle attuali guerre e catastrofi in attesa di un inevitabile ritorno al passato
Traduzione di Giuliana Lupi pagg. 344 – € 20.00 – ISBN 88-89091-25-8 Edizioni NuoviMondiMedia
Il presente articolo è tratto da “Black Gold”, © 2006 di George Orwel
George Orwel è un analista del petrolio e un giornalista sia per Oil
Daily che per Petroleum Intelligence Weekly. È apparso sulla CNN, la BBC e la
NPR, ha scritto per LA Times e Christian Science Monitor, tra le varie
pubblicazioni
Fonte: http://www.truthout.org
Link: http://www.truthout.org/issues_06/062206EA.shtml
21.06.06
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FILMARI