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DI MAURIZIO BLONDET

La signora Kathleen Christison è americana. Di più, è stata a lungo analista per la Cia. Ma oggi, è uno fra i tanti volontari di pace che accompagnano i bambini palestinesi a scuola. Perché? Perché i coloni israeliani degli insediamenti illegali e i soldati israeliani che proteggono gli insediamenti illegali angariano questi bambini, non li lasciano passare, spesso li picchiano. I volontari – americani ed europei – accompagnano gli scolari perché la loro presenza, la presenza di testimoni occidentali, possa evitare angherie peggiori. Non sempre, anzi sempre meno questo è vero. Così, a Natale, l’ex analista della Cia Kathleeen Christison ha scritto questa lettera:

“Un bambino palestinese mi è morto fra le braccia oggi. Era un ragazzino, era una bambina. Era tredicenne. Lei è stata crivellata da venti colpi di proiettili made in Usa sparati da un soldato israeliano; lui è stato fatto a pezzi da un missile lanciato da un elicottero israeliano fabbricato in America. Io sono palestinese, e questi sono i miei figli.

Io sono palestinese. Lo dico per esprimere la solidarietà, mia e di tanti americani che restano in silenzio, a un popolo che soffre sotto il tallone israeliano. Ma devo piegare il capo per vergogna, perché è il mio governo che paga l’oppressione d’Israele sui palestinesi, è il mio governo americano che commette questo etnocidio, è il mio governo che uccide i bambini palestinesi. Io sono palestinese, e rifiuto il mio governo americano.

Oggi ho confortato una donna la cui casa è stata demolita dai bulldozer israeliani, mostri di distruzione made in America. L’ho aiutata a rovistare fra le macerie di casa sua alla ricerca dei vestiti e dei giocattoli dei suoi bambini. Ho confortato i suoi bambini, che non avranno giocattoli e nemmeno un posto dove dormire stanotte. Ho ascoltato, sgomenta, il lamento del marito, in piedi davanti alle rovine di cemento che erano la sua casa. Non riuscirò a convincere i suoi bambini che non è stato lui a tradirli, non è colpa sua se non è riuscito a dar loro la protezione che ogni padre deve dare ai figli. Ho immaginato la mia casa in rovina, i miei propri figli abbandonati, ed ho pianto. Sono palestinese, e questa donna, quest’uomo, questi bambini sono i miei compatrioti.
Oggi sono stata con un contadino palestinese il cui coltivo è stato distrutto dagli israeliani. E’ un uomo di mezza età il cui uliveto, il suo solo mezzo di sostentamento, è stato bruciato e tagliato dai coloni israeliani finanziati dagli Usa. E’ un contadino giovane la cui serra e il cui campo molto fertile, che gli è stato lasciato da suo padre e da suo nonno, è stato sconvolto da soldati israeliani che, alla guida di bulldozer Caterpillar made in Usa, hanno spianato un’area per elevarvi un muro di separazione in cemento che ruba la terra più fertile a vantaggio di Israele. E’ un vecchio contadino che osserva ogni giorno come gli israeliani costruiscono nuove case in insediamenti nati sulla terra che apparteneva a lui, prima che gliela rubassero. Io sono palestinese, e questi contadini davano da mangiare al mio popolo.

Sono rimasta in piedi nel sole cocente al famigerato posto di blocco di Huwara a sud di Nablus, con centinaia di palestinesi in attesa del permesso di andare al lavoro, a scuola, dal medico. Sono rimasta sotto la pioggia al posto di blocco di Qalandiya tra Gerusalemme e Ramallah, aspettando con centinaia d’altri che devono passare ogni giorno e devono aspettare ore per andare al lavoro, ed altre ore la sera per tornare a casa. Noi tutti stiamo lì come automi, paurosi di provocare la rabbia dei soldati israeliani adolescenti che controllano le nostre vite e la nostra libertà, paurosi che possano spararci se mostriamo un segno di emozione. Nel cuore della notte scorsa ho consolato una donna che ha partorito per terra al posto di blocco, perché un soldato israeliano, nella sua saggezza da adolescente, la considerava un rischio per la sicurezza; e più tardi sono stata con lei sull’ambulanza, mentre lei sanguinava, e il bambino è nato blu ed è morto. Io sono palestinese, e stoicamente sopporto l’indicibile umiliazione di questi posti di blocco con i miei compatrioti.

Oggi ho colto un fico dall’albero che è davanti a casa mia, e l’ho mangiato. Era la cosa più dolce che abbia mangiato mai, e credo che sia perché io sono palestinese, e il fico è cresciuto in Palestina.
Mi mancano le parole. L’orrendo destino dei palestinesi mi ha strappato questo grido dal cuore.

Certo, mi addolorano anche i bambini israeliani uccisi, ma sono meno, e già il mio governo americano li abbraccia. Io abbraccio i bambini palestinesi perché quasi nessun altro lo fa, perché il mio governo si infischia di loro, perché il mio governo li uccide.
Io sono palestinese”.

Kathleen Christison, Counterpunch, 23 dicembre 2004.

Maurizo Blondet
Fonte:www.effedieffe.com
23.12.04

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