PERICOLI E CHIMERE DEL FARMACO AL SUPERMERCATO

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DI ANDREA FRANZONI
Luogo Comune

La norma contenuta nella recente riforma del governo Prodi che contempla la possibilità per i supermercati di vendere, al loro interno, i farmaci da banco applicandovi ogni possibile forma di sconto e di promozione e che favorisce la concentrazione di farmacie in poche mani, rappresenta una svolta economica e culturale che promette, in cambio di qualche presunto abbassamento dei prezzi, la creazione di oligopoli nel campo vendita al dettaglio di farmaci, l’aumento dei ricavi dei grandi produttori farmaceutici e l’aumento incontrollabile del consumo di medicinali, con tutte le patologie iatrogene (dovute all’effetto nocivo di una terapia medica) e con tutti i problemi legati all’abuso e all’interferenza tra trattamenti di automedicazione e terapie mediche correlati.
Secondo i creatori del provvedimento, contenuto in un pacchetto (Cittadino, consumatore: nuove norme sulla concorrenza) di azioni atte a liberalizzare i mercati giudicati come bloccati da forti corporazioni (farmacie, taxi, notai), la possibilità di vendere i farmaci “da banco” (quelli cioè che non necessitano di prescrizione e che sono a carico del consumatore) nella grande distribuzione avrà l’effetto di stimolare la concorrenza sui prezzi …
… dando sollievo alle tasche dei cittadini vessati, fino ad oggi, dalla corporazione dei farmacisti. Inoltre non esisteranno più limitazioni al numero di farmacie (oggi definito in base agli abitanti) ed esse potranno creare “catene” e consorzi, ammettendo un unico titolare per più esercizi e abbandonando l’attuale sistema “artigianale” che ha sempre caratterizzato l’attività degli speziali dalla notte dei tempi.

Quest’apertura del mercato, spiega il Codacons, segue la via tracciata prima di tutti dai paesi anglosassoni e da quelli scandinavi dove, già oggi, è possibile acquistare con diverse limitazioni alcune classi di farmaci dagli scaffali dei supermarket. Oltre alla concorrenza tra supermercati e farmacie, un’ulteriore stimolo alla caduta dei prezzi dovrebbe essere la possibilità di effettuare sconti e promozioni, oggi limitata ad un massimo del 20% (tra l’altro poco utilizzata e introdotta l’anno scorso da Storace). La liberalizzazione parziale del mercato del farmaco, documentano i sostenitori del decreto Bersani, ha portato in Inghilterra e in soli 4 anni alla diminuzione dei prezzi dei farmaci del 30%. Il medesimo effetto, si auspicano gli stessi, si riproporrà in Italia. Ma a che prezzo?
La questione richiede una trattazione in due parti: una che badi all’aspetto economico connesso alla presunta apertura dei mercati e uno che tratti invece l’aspetto socio-culturale e sanitario della questione con sullo sfondo, ben visibile in entrambe i lati della medaglia, l’interesse delle case farmaceutiche.

Il piano economico

Il prezzo dei farmaci, anche di quelli da banco, tende ad aumentare. Ma con chi ce la dobbiamo prendere: con la corporazione dei farmacisti o con l’oligopolio delle Case Farmaceutiche? E il decreto Bersani come e su chi interviene, e con quali possibili conseguenze?
Fermandoci per ora al piano strettamente economico, forse meno interessante e più tecnico ma significativo, è evidente che il provvedimento contiene, al fianco di norme che promettono di abbassare i prezzi, una più preoccupante che va proprio in direzione contraria e cioè quella secondo la quale «il farmacista può essere titolare di più farmacie, associarsi per gestire più esercizi e non e’ più tenuto a rispettare il confine territoriale provinciale per lo svolgimento della propria attività», in accoglimento delle minacce di procedura d’infrazione della Commissione Europea (1).

Nel sistema attuale le farmacie sono entità singole, gestite da un proprietario che è un libero imprenditore e che quindi è autorizzato e incoraggiato ad applicare le sue strategie per soddisfare la clientela (al di là dei limiti sugli sconti percentuali sui quali andrebbe lasciato forse un po’ più di spazio di manovra ai farmacisti, come loro d’altro canto dicono di richiedere da tempo). Se esiste un vincolo territoriale per il quale deve esserci una farmacia ogni tot abitanti, nessuno proibisce infatti ad un consumatore di andare nella farmacia vicino al posto di lavoro, nel paese vicino o di fronte alla scuola dei figli, piuttosto che in quella vicina a casa. La competenza, l’attenzione e la fiducia che il farmacisti ispira, e che vale certo più dello sconto o del 3×2, è già oggi un fattore di concorrenza unito appunto alla libertà di sconto o di offerta di prodotti (creme, prodotti omeopatici, cosmetici) che l’attuale sistema teoricamente propone.
Ciò, tuttavia, non sarebbe sufficiente. La Commissione Europea e l’Antitrust, infatti, hanno spinto in passato per la deregolamentazione del mercato italiano delle farmacie (2) che il provvedimento del governo inaugura.

Il comportamento attuale dei farmacisti e il loro presunto corporativismo che mantiene bloccati i prezzi è stato descritto da un recente studio del CERM. Il CERM è un centro di ricerche con la finalità istituzionale di concorrere all’innalzamento della qualità tecnica e della trasparenza delle decisioni di politica economica e di regolazione dei mercati, presieduto e diretto dal Prof. Fabio Pammolli, docente di Economia e Management presso l’Università di Firenze e Direttore di I.M.T. Alti Studi Lucca.

Nello studio (3) si legge che, benché dal 1995 siano stati liberalizzati i ricarichi che i farmacisti possono fare sui loro prodotti, il margine di ricavo è rimasto (salvo gli eventuali sconti) sulla stessa percentuale stabilita un tempo dalle legge e cioè attorno al 33% del prezzo complessivo. Se il sistema attuale è un sistema considerato dagli ultrà delle liberalizzazioni viziato perché caratterizzato da margini di ricavo bloccati (sia verso il basso che verso l’alto) per i farmacisti, la prima considerazione da fare è però che i rincari lamentati anche dal precedente governo Storace vanno nelle tasche dei produttori e a loro sono da addebitare. La colpa dei farmacisti, come il rapporto fa notare, non è quindi quella di far aumentare i prezzi ma quella di non ridurre i loro margini percentuali di ricavo con l’aumentare della vendita rimanendo fermi sul 33%.

Se le case farmaceutiche sono le beneficiarie degli aumenti di prezzo, quindi, i farmacisti hanno la colpa di non diminuire i loro margini di guadagno nonostante l’aumento del consumo globale di farmaci. Non è loro, tuttavia, la colpa dei rincari.

«Il perfetto allineamento dei margini di ricavo di confezioni di prodotti diversi di case produttrici diverse –si legge nella ricerca- è un altro sintomo della condizione di chiusura al mercato e di forte istinto corporativistico della filiera distributiva, che riesce a mantenere sempre invariate le condizioni contrattuali, senza distinguo per la tipologia di produttore/prodotto e per i volumi in transazione. Si tratta di un risultato compatibile con la presenza di un vero e proprio monopsonio, cioè di un “acquirente unico” (la filiera distributiva) attraverso cui è necessario passare e che può quindi imporre indistintamente e arbitrariamente il suo potere contrattuale.»

Premesso quindi che l’aumento del consumo di farmaci non è certo un bel segnale ma è anzi (al di là dell’aumento della vita media che richiede, in età avanzata, più farmaci ma di quelli non da banco) un campanello preoccupante, è anche accettabile che qualcosa vada fatto per intervenire in sede di legislatore (se non di autoregolamentazione) sui margini di guadagno (liberalizzati nel 1995 con le conseguenze che vediamo) superando anche, magari, il sistema ereditario vigente che va contro ogni meritocrazia. L’Italia, o meglio i farmacisti italiani, sono infatti in Europa in cima alle classifiche della percentuale di ricavo con il loro 33% che, stando allo studio sopra citato, è quasi il doppio della Gran Bretagna (questo parlando in percentuale, non sui guadagni dei farmacisti in termini assoluti) ed è probabilmente giusto che, con l’aumento delle vendite, la loro percentuale tenda a calare.

L’attuale provvedimento, tuttavia, non fa un discorso di regolamentazione né critica o intacca la posizione e gli aumenti delle industrie farmaceutiche spianando la strada, con una fasulla apertura dei mercati, al monopolio incontrollabile di grandi catene di farmacie che creeranno un oligopolio e come naturale seguito un cartello ancora più potente, più unito e impossibile da intaccare.

L’apertura della vendita dei farmaci da banco nei supermercati riguarda un 10% dei farmaci, quelli cioè che non richiedono prescrizione e che hanno prezzi più contenuti che ricadono sulle tasche del consumatore. Su questo versante (analgesici, decongestionanti, integratori, tranquillanti) l’erosione del 33% di ricavo del farmacista potrà portare effettivamente ad una diminuzione del prezzo del singolo prodotto lasciando quantomeno intatti i guadagni dei produttori. Le forti perplessità, in questo settore, sono piuttosto di carattere “socio-culturale” e più prettamente sanitario e saranno affrontate tra breve nella seconda parte. Tuttavia, per un 10% di farmaci “di largo consumo” sui quali il consumatore risparmierà (aumentandone però presumibilmente il consumo), c’è un 90% di farmaci che richiedono prescrizione medica e che vengono in parte rimborsati dai Servizi Sanitari che rimarrà esclusiva del sistema delle farmacie, sulla cui rivoluzione pesano forti sospetti di oligopolio e di aumento dei prezzi.

La creazione di catene di farmacie (sulla falsariga di un Blockbuster o un Mc Donald’s) caratterizzate dalla stessa proprietà e dalla stessa offerta, almeno per quanto riguarda prezzi e prodotti, è infatti un provvedimento che va più verso la creazione di monopoli o oligopoli, classica situazione generatrice di cartelli e quindi di prezzi alti, che verso la concorrenza tra liberi imprenditori e che costituisce la vera rivoluzione nel mondo delle farmacie. Se da una parte la presenza di grossi soggetti acquirenti per più esercizi potranno permettere forse prezzi all’ingrosso inferiori, e la modifica dello status del farmacista da libero professionista a dipendente, magari precarizzato, permetterà una riduzione dei costi di gestione, la concentrazione di tutte le farmacie in poche mani creerà infatti soggetti forti e dotati di un potere praticamente illimitato che lo stato farà sempre più fatica a controllare.

Un conto è se esistono centinaia di fornitori di medesimo servizio che partono tutti dallo stesso livello, quello di piccolo imprenditore controllato in qualche modo, nell’interesse del consumatore (se il servizio è fondamentale come la distribuzione di farmaci), e un conto è se il mercato si concentra nelle mani di quattro o cinque grandi catene di vendita dai bilanci miliardari ben più inclini a spartirsi pacificamente la fetta di mercato avendo cura di mantenere prezzi elevati e pronte a schiacciare, se non altro con il prestigio e con il potere economico e quindi di pubblicità (si pensi, ad esempio, che il rapporto fra costi di ricerca e spese per il marketing delle 20 maggiori aziende farmaceutiche è, secondo United Consumers, di uno a due), e magari anche grazie a rapporti privilegiati e prezzi scontati dovuti al grande volume di acquisto con i produttori, ogni nuovo soggetto che tenta di buttarsi nel mercato.

Sostituire un sistema di tanti piccoli impresari sparpagliati sul territorio in maniera ordinata con uno caratterizzato da pochi grandi colossi della distribuzione farmaceutica può essere molto rischioso in quanto (l’Italia ne è piena) può portare alla creazione di cartelli molto più potenti, influenti e soprattutto impossibili da contrastare. Il tutto a danno del consumatore, come altri mercati (si pensi a quello della telefonia) insegnano. Una volta creati, questi cartelli, lo stato e l’Antitrust stessa non può fare praticamente nulla (si ripensi alla telefonia). Si aggiunga che questa manovra non porta nemmeno alcun sollievo alle casse dello Stato che anzi rischia di crearsi una nuova serpe in seno in un settore, tra l’altro, molto delicato.

Il rovescio sanitario e culturale

La maggior parte dei farmaci da banco (4) rientra in una delle seguenti categorie: a) analgesici, antipiretici; b) farmaci attivi sul sistema respiratorio (anti-tosse, decongestionanti, anti-allergici); c) farmaci attivi sul tratto gastrointestinale (antiacidi, antisecretivi gastrici, antiemetici, procinetici, lassativi, antidiarroici); d) farmaci attivi sul metabolismo (integratori minerali, vitamine, prodotti per il controllo del peso corporeo). Essi sono “concepiti e realizzati per essere utilizzati senza l’intervento di un medico per la diagnosi, la prescrizione o la sorveglianza nel corso del trattamento e, se necessario, con il consiglio del farmacista” (Legge n.537 Art.3 comma 1, 19-7-1993).

Questi farmaci, ottenibili comodamente senza ricetta medica, sono considerati dai consumatori innocui e spesso abusati. Tuttavia, come si legge nel corso di Farmacovigilanza dell’Università di Pisa (5), “I farmaci da banco possono promuovere l’insorgenza di reazioni avverse gravi” e, già oggi che sono acquistabili soltanto in farmacia, “sono oggetto di sottovalutazione da parte dell’utente” che, come dimostrano alcuni studi, è molto attento nell’informarsi e nel consultare il foglietto illustrativo quando il farmaco è prescritto da un dottore mentre, al contrario, “non considera il farmaco da banco un farmaco vero e proprio” nonostante le complicazioni che può causare.

Il rapporto fra paziente e farmaco, negli ultimi tempi, è nettamente cambiato. L’atto di assumere un farmaco o comunque una sostanza chimica dotata di qualche proprietà benefica non è più percepito come un qualcosa di straordinario che necessita di cautela e che può portare, anche alla lunga, a conseguenze anche dannose. Benché ogni farmaco abbia alcuni effetti collaterali e possa produrne altre se combinato con altri farmaci o simili, con particolari condizioni fisiche o se usato per un tempo o con quantità non consone, esso ha perso in qualche modo ogni aspetto “solenne” ed è costantemente sottovalutato.

Il cambiamento nella percezione del medicinale lo ha reso per molti, oggi, un bene di consumo come altri, un aiuto necessario per essere sempre nelle condizioni ottimali per sopportare i ritmi di vita e di lavoro richiesti, con tutte le problematiche di abuso e di interferenza che causano già oggi una discreta percentuale di ricoveri medici per intossicazione. A questo contribuiscono gli interessi delle case farmaceutiche e le pubblicità, complici nell’eliminare ogni titubanza e ogni senso critico ai consumatori.

Bersani così si è espresso: «Le farmacie possono vendere giocattoli e creme. Allora anche gli altri negozi possono vendere i farmaci da banco». E’ evidente come ci sia una differenza di fondo tra giocattoli e farmaci, una differenza che il ministro stesso promette in qualche modo di togliere.
L’esistenza di un locale apposito (la farmacia, più un presidio medico che un negozio qualunque) ha fino ad oggi mantenuto un residuo “timore reverenziale” nei confronti del farmaco. La presenza di una figura dotata di cognizioni scientifiche e di esperienza, in grado di dare consigli, di fare domande e di risolvere dubbi, ha inoltre costituito sicuramente un deterrente a molti casi di abuso.

Infilare in maniera anonima un pacchetto di pastiglie nel carrello, magari aiutati dall’imperdibile offerta promozionale o dalla febbre estatica di acquisti che fulmina chi entra in un supermercato, è invece molto più pericoloso anche perché è in fondo il primo passo verso la sottovalutazione, già ampiamente diffusa, di farmaci anche più pesanti fino agli psicofarmaci, specie per le giovani generazioni che crescono con le caramelle vicino alle pastiglie che, più che medicine, sono trattate come caramelle miracolose. Certo, i supermercati dovranno avere nel settore apposito qualcuno al quale il consumatore si possa rivolgere, anche se non è chiaro in quale modo né se il consumatore sarà costretto a rivolgersi all’addetto o si potrà servire da solo.

Tuttavia, nella concitazione e nell’affollamento dell’ipermercato, è evidente che l’interazione tra banconiere-farmacista e consumatore sarà viziata e perderà quella sensazione di fondo di consulto (sempre ammesso che non ci si potrà servire da soli, com’è probabile, visto che la legge parla solo di “apposito reparto”). Eppure il farmacista è l’unico che si può informare, per esempio, sugli eventuali trattamenti che il paziente sta seguendo, che lo può mettere in guardia da reazioni allergiche (6) o dalle intossicazioni (particolarmente subdole, per esempio, quelle da vitamine (7) e da integratori), che gli può indicare quando sospendere la terapia e via dicendo. Un rapporto simile si può conservare solo in una realtà artigianale e regolata, più legata all’aspetto medico che a quello commerciale.

Mentre cambiamenti sensibili dei prezzi dei farmaci con ricetta non si presenteranno, e comunque non saranno di segno positivo se non di qualche briciola ampiamente recuperata dell’aumento enorme dei volumi di vendita, e a discrezione della bontà e del senso etico di due grandi oligopoli, tutto ciò, come primo immediato effetto, porterà sì alla diminuzione dei prezzi dei farmaci da banco ma anche all’aumento dei consumi degli stessi e all’abbassamento della percezione di pericolosità di fondo del farmaco, anche se da banco, venduto tra ortaggi e merendine con tanto di sconti e promozioni.

Con i profitti delle case produttrici aumenteranno quindi le complicazioni che possono essere veramente tante, visto che ogni sostanza che entra nel nostro corpo non agisce necessariamente solo su una sua parte ma sul tutto. L’interazione fra due farmaci generici, o fra un generico e un prescritto dal medico o dal dentista, può portare a centinaia di effetti collaterali (8) (favoriti dall’eclissi dei farmacista) che si vanno a sommare, vengono trattati magari con altri farmaci e si espandono in una catena che la vendita al supermarket di un numero sempre più ampio di medicine non può che allungare a dismisura. Con conseguenze, alla fin dei conti, sulla salute e sul futuro dei consumatori.
In una riforma fatta per fare un favore alle Case Farmaceutiche c’è poca fiducia sul fatto che le ripercussioni nel concreto possano smentire questi timori. E se sono la sinistra e il Codacons, a causare ciò, questa volta a chi ci possiamo rivolgere?

Andrea Franzoni (Mnz86)
Fonte: http://luogocomune.net
Link: http://luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=1297
08.07.2006

Note:

(1) http://www.mnlf.it/farmacie_deferita_l’_italia.htm
(2) http://www.mnlf.it/liberismoinfarmacia.htm
(3) http://www.mnlf.it/Farmaci_ricavi_immobili.htm
(4) http://www.dica33.it/servizi/pront.asp
(5) http://www.farmacovigilanza.org/corsi/corso_20030215.01.asp
(6) http://www.salus.it/allergie/allergia_farma.html
(7) http://www.codacons.it/medicina/vitamine.html
(8) http://www.farmacovigilanza.org/patologie%5Fiatrogene/

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