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DMITRY ORLOV
energybulletin.net

Congratulazioni a tutti, abbiamo un nuovo presidente: un volto nuovo, una figura ispiratrice, ottimistica e capace, che introduce una nuova era di responsabilità, pronto a fronteggiare le molte sfide serie che si presentano alla nazione; in poche parole, abbiamo un nuovo Gorbachev. Non so voi, ma trovo il parallelo piuttosto ovvio.

Obama vuol salvare l’economia ed ispirarci con parole come “sfrutteremo il sole e i venti e il suolo per alimentare le nostre auto e far funzionare le nostre industrie”. [discorso inaugurale] Allo stesso tempo, ci mette in guardia che “non ci scuseremo per il nostro stile di vita, e non vacilleremo nel difenderlo”– facendo eco alle parole di Dick Cheney “lo stile di vita americano non è negoziabile”. E quindi scivoliamo dall’inesistente ma meravigliosamente evocativo “carbone pulito” al più banale “metti un po’ di sporcizia nel tuo serbatoio!”

Ma questi sono tutti eufemismi: la realtà è che saranno i combustibili fossili ad esaurirsi, oltre che a destabilizzare simultaneamente il clima del pianeta e ad avvelenare la biosfera, o che sarà la fine della civiltà industriale, oppure (più probabilmente) che entrambe le cose avverranno in tale ordine.
Secondo le più recenti proiezioni della International Energy Agency, si può porre un limite di 17 anni all’emivita della civiltà industriale: sarà tutto in declino da quel momento in poi. Tutti i paesi industrializzati saranno costretti a deindustrializzarsi rapidamente su questa scala cronologica, ma quello che ha trascorso l’ultimo secolo costruendo un’infrastruttura che non ha futuro — basata su piccole casette interconnesse dalle automobili, con tutta quella infrastruttura moribonda, non mantenibile che vi si accompagna — è destinato realmente al crollo più duro. I nemici più acerrimi di un Americano sono la sua casa e la sua automobile. Ma provate a dirlo alla maggior parte degli Americani e riceverete in cambio la derisione, la costernazione e l’incredulità. Quindi il problema non ha soluzioni politiche. Tragicamente, Obama è proprio un politico.

“Ogni qual volta fronteggiamo un problema per cui non esiste alcuna soluzione politica, il risultato inevitabile è uno scomodo vicolo cieco riempito di chiacchiere goffe e auto censuranti. Durante il rapido scivolamento dell’establishment sovietico verso la propria dissoluzione, la campagna glasnost di Gorbachev ha liberato un torrente di parole. Come in una specie di cura del parlare di tutta la nazione, molti argomenti che erano precedentemente dei tabù potevano essere affrontati in pubblico, e molti problemi importanti potevano improvvisamente essere discussi. Ma era ancora valido un importante ammonimento: i problemi dovevano essere sempre presentati come “difficoltà specifiche”, o “problemi singolari” e non erano mai come un piccolo tassello del mosaico più grande di un ovvio fallimento di tutto il sistema. L’incantesimo è stato spezzato solo da Yeltsin, quando nel periodo successivo al putsch fallito, ha aggiunto con forza il prefisso “ex” ai termini “Unione Sovietica”. A quel punto i vecchi criteri pro-sovietici di pensiero e comportamento patriottico, ora irrilevanti, sono diventati improvvisamente ridicoli – da pensionati destituiti mezzi matti, che sfoggiavano ritratti di Lenin e Stalin. Già da quel momento, la paura di rappresaglie politiche si era dileguata nella storia, ma le vecchie abitudini non muoiono mai e ci sono voluti anni prima che il pensiero della gente si mettesse al passo con la nuova realtà post-imperialistica. Non è stata una transizione facile e in molti sono rimasti inaspriti per tutta la vita.

Anche nell’odierna America è certo possibile parlare di difficoltà separate e problemi singolari purché vengano tenuti separati e singolari e siano serviti su salsa patriottica con una spolverata di ottimismo sopra. È certamente possibile fare riferimento alle aree depresse, al crescente sottoproletariato e persino alle violazioni dei diritti umani. Tuttavia, non è permissibile parlare dell’America come di un paese cronicamente depresso, un sottoproletariato crescente e un paese impoverito, o come di un paese che non si prende cura dei propri cittadini e spesso ne viola i diritti. Sì, ci sono carceri dove i drogati vengono legati ad una seggiola mentre sono in crisi di astinenza, un trattamento così efficace che alcuni di essi devono poi essere trasportati fuori con delle sacche per salme, ma quella, vedete, è una difficoltà specifica, un problema singolare, se volete. Ma no, no, no, siamo uno stato per bene, che ama la libertà nonostante quei piccoli problemi. Il nostro piccolo problema è il modo in cui ci trattiamo l’uno con l’altro…e con gli altri. Abbiamo invaso di recente uno stato che non costituiva alcuna minaccia per noi e abbiamo provocato la morte di mezzo milione di civili lì, ma no, no, no siamo un paese che ama la libertà! Quella è solo una difficoltà specifica della nostra politica estera, non un vero riflesso del nostro carattere nazionale (che sarà umiliato quando verrà messo di fronte ai fatti spiacevoli e ci farà alzare gli occhi al cielo quando qualcuno da questi fatti trarrà conclusioni generali basate sulla preponderanza delle prove).

Quando si arriva alla mitigazione del crollo, non c’è nessuno che intraprenda uno sforzo organizzato per rendere il crollo superabile, per salvare quello che può essere salvato ed evitare le catastrofi che possono ancora essere evitate. Faremo del nostro meglio per evitare il crollo, possibilmente provocandolo prima e peggio. Costituzionalmente incapaci di concepire un futuro che non comprenda il sistema che sostenta le nostre pubbliche persone, parleremo a vanvera del futuro radioso per il paese finché ci sarà abbastanza elettricità per alimentare la videocamera puntata su di noi. La perestroika di Gorbachev è un esempio di tale tentativo di autoinganno: ha fatto discorsi durati per diverse ore, dedicati ad entità mistiche quali il “mercato socialista”. Si interrompeva solo per bere acqua – in copiose quantità, sembra – portando la gente a chiedersi se ci fosse un vaso da notte sotto il suo podio.

Ci sono alcuni motivi per l’ottimismo quando si tratta di organizzare un tentativo di successo e tempestivo per mitigare il crollo. Tuttavia, i miracoli succedono. Ad esempio nonostante la preparazione inadeguata, nel periodo successivo al crollo sovietico, nessuno dei materiali nucleari fissili di prima scelta è finito nelle mani di terroristi, e nonostante fossero state riportate alcune dispersioni radioattive, non è successo niente che si avvicinasse all’entità della catastrofe di Chernobyl. In altri modi, l’esperienza miserabile sopportata da tutti era mitigata dalla stessa natura del sistema sovietico, come ho descritto nel capitolo 3. Nessuna fortuna inaspettata e automatica di questo tipo capiterà negli Stati Uniti; qui la preparazione al crollo, se ci sarà, sarà probabilmente il risultato di uno sforzo che arriva troppo tardi, avventato e organizzato a casaccio.” [Reinventing Collapse, pp.108-110]

Spero in tutta sincerità che Obama se la cavi meglio di Gorbachev. La storia può essere amara per i pietisti. Nel fatale giorno in cui Gorbachev ha perso il posto, sua moglie ha avuto un ictus e da quel giorno non gli è stato più possibile di cancellare quell’espressione di terrore dal volto. Provare a risolvere problemi che non hanno soluzione è una buona cosa. Persino quando è del tutto futile, è molto teatrale. Ma spero per il suo bene, che Obama non rinunci a nessuno dei suoi hobby, se ne dovesse averne ancora qualcuno rimasto.

Dmitry Orlov
Fonte: http://cluborlov.blogspot.com
Link: : http://cluborlov.blogspot.com/2009/01/perestroika-20-beta.html
22.01.2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

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