DI C.M.
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Chi ha letto il Corriere della Sera in questi giorni ha avuto l’impressione di trovarsi di fronte una versione appena più moderata de Il Giornale. Tra interventi critici della sentenza che condanna Berlusconi e di chi l’ha emessa, commenti affidati all’Avvocato Coppi e a esponenti del PdL, pelosissimi inviti alla “pacificazione” (leggi: salvacondotto per B.), il quotidiano della grande borghesia italiana ha ormai scelto con chiarezza da che parte stare.
Ma perché cresce il partito dell’impunità, come correttamente segnalato dal Fatto Quotidiano? Perché l’establishment finanziario di questo paese, che nell’autunno del 2011 ha tramato per rovesciare B. e alle elezioni gli ha contrapposto il blocco di Mario Monti, adesso tenta di proteggerlo dalle conseguenze penali dei suoi stessi atti? Cosa spiega questo berlusconismo di ritorno?
Certo, non bisogna sottovalutare il potere di ricatto in mano al duce del PdL. Se questi decidesse di giocare il tutto per tutto, organizzando una campagna elettorale in grande stile centrata sull’uscita dall’euro, provocherebbe sconquassi tali da far crollare il già pericolante edificio di Bruxelles. Dunque l’establishment ha un ottimo motivo per “tener buono” B.
Forse però oltre alle motivazioni per così dire tattiche ve ne sono anche di strategiche. L’articolo di Angelo Panebianco è illuminante in tal senso. Ricordiamo che stiamo parlando di uno dei Saggi chiamati da Napolitano a modificare la Costituzione.
Il politologo denuncia uno “squilibrio di potenza” tra politica e ordine giudiziario. Se alcuni politici vengono inquisiti e talvolta persino condannati non è perché questi delinquano (ciò è dato in qualche modo per scontato), ma per l’eccessivo potere detenuto dalla magistratura. Per rimediare occorre una riforma della politica, che accresca di molto i poteri dell’esecutivo, e una riforma della giustizia, che a quell’esecutivo deve essere finalmente subordinata.
Fin qui nulla di particolarmente nuovo: sono le posizioni del “riformismo” giudiziario che il Corriere appoggia da ormai diversi anni. È il prosieguo del ragiomento a rivelare che la borghesia italiana, difendendo Berlusconi, difende sé stessa.
Panebianco propone niente meno di rivoluzionare i corsi di giurisprudenza, di incidere sulla mentalità dei futuri operatori giuridici, iniettando forti dosi di “sapere empirico” nei corsi. Insomma:
Si addestrino i futuri funzionari, magistrati e amministratori, a fare i
conti con la complessità della realtà. È ormai inaccettabile, ad
esempio, che un magistrato, o un amministratore, possano intervenire su
delicate questioni finanziarie o industriali senza conoscenze
approfondite di finanza o di economia industriale. È inaccettabile che
gli interventi amministrativi o giudiziari siano fatti da persone non
addestrate a valutare l’impatto sociale ed economico delle norme e delle
loro applicazioni.
Balzano subito alla mente di casi dell’ILVA, della FIAT, della Eternit, della Thyssen Krupp. È facile immaginare che magistrati dotati del “sapere empirico” di cui parla Panebianco non si sarebbero arrischiati a far inviperire Marchionne, applicando la legge per come è scritta; se avessero accuratamente valutato l’impatto sociale ed economico non avrebbero condannato i vertici Thyssen: e a fronte dell’innegabile complessità della situazione di Taranto, non avrebbero osato interrompere l’attività della fabbrica dei tumori. E questi sono solo i casi più eclatanti. Non è un segreto che l’impresa italiana si regge prevalentemente sulla violazione di leggi, siano esse quelle a tutela del lavoro, dell’ambiente, della fedeltà fiscale, del buon andamento della pubblica amministrazione… È una delle intuizioni delle 28 tesi di Badiale e Bontempelli (tesi 17 e 18) che il capitalismo, raggiunta una certa fase, per riprodursi è costretto a liberarsi dei “lacci e lacciuoli” di berlusconiana memoria, ossia delle norme a tutela di quei beni (come la salute, l’ambiente e il lavoro) che dallo sviluppo capitalistico sono irrimediabilmente sviliti. La legalità, e gli istituti che la preservano (come l’indipendenza della magistratura), assumono oggi un ruolo oggettivamente anti-capitalistico. Non stupisce dunque che il capitalismo italiano, per bocca dei suoi mezzi di informazione, difenda il personaggio che incarna la maggiore minaccia ai principi di legalità e separazione dei poteri. I “padroni” italiani, difendendo B., difendono loro stessi. E questo spiega anche perché le forze politiche a diretto servizio del grande capitale, come il PD, abbiano sempre avuto un atteggiamento conciliante e collaborativo con il Caimano, fino a governarci insieme.
C.M.
Fonte: http://il-main-stream.blogspot.it
Link: http://il-main-stream.blogspot.it/2013/08/non-ce-solo-berlusconi.html
8.08.2013