DI VASSILIS K. FOUSKAS
ilmanifesto.it
Il paese ellenico è entrato nella Ue per la sua importanza geopolitica. Un’uscita sarebbe impensabile
La Germania ha messo in cantiere un nuovo Fondo di riscatto paneuropeo da proporre alla periferia europea per tirarla fuori dai suoi problemi economici. Il progetto, tra le altre cose, prevede un’unione bancaria e l’emissione di eurobond, il che necessita di una unione di «trasferimenti» (di ricchezza dagli stati più ricchi a quelli più poveri, ndt) e, in futuro, di un’unione fiscale. Ciò significherebbe che la Germania condividerebbe il debito – bancario o sovrano – della periferia, mentre chiederebbe in cambio ai suoi partner di cedere a Bruxelles le loro riserve auree. Funzionerebbe? Ne dubito. Ma credo che, per una volta, possa essere interessante spostare il focus della discussione sulla Grecia e sull’Unione europea da argomentazioni meramente economiche e politiche verso un oggetto ad esse collegato ma sostanzialmente differente: la geopolitica e le relazioni internazionali.
Il rapporto della Grecia con la geopolitica e con l’Europa moderna è molto particolare. Il Paese è sempre stato un’economia balcanica periferica e semi moderna per la cui integrazione nazionale sono occorsi oltre cento anni, dopo le guerre con i suoi vicini balcanici e la Turchia. Ma grazie alla sua posizione sulla cartina geografica, specialmente se considerata assieme a Cipro, la Grecia ha un grande valore geo-strategico. Le sue faglie storiche sono state e sono tuttora una politica economica debole da un lato e, dall’altro, una forte presenza geo-politica e geo-strategica. Proverò a spiegare meglio soltanto il secondo elemento, dal momento che il primo è più che ovvio.
La Grecia, in virtù della sua posizione geografica, ha il potere di bloccare il Mar Egeo (commercio, linee di comunicazione, rotte marine eccetera), gettando nel caos il commercio globale che, via mare, passa attraverso gli stretti della Turchia, e danneggiando progetti di oleodotti e gasdotti e togliendo linfa alla Nato e alla sicurezza europea nella regione. Ovviamente uno scenario simile coinvolgerebbe Cipro e la Turchia, e forse Israele, nella misura in cui la sicurezza d’Israele non è garantita se Cipro non è controllata da una potenza amica. Ma attenzione: se la Grecia viene umiliata, se la società e la politica interna greca vengono spinte da potenze esterne – ad esempio la troika – a compiere atti disperati, uno scenario del genere non è per nulla improbabile.
Si tratta di un argomento importante, per due motivi principali. Il primo è per ricordare ai lettori che la Grecia e Cipro divisa in due non sono entrati nella Cee/Ue per il loro peso economico o politico ma per la loro importanza geo-politica e a livello di sicurezza. Il secondo motivo è congiunturale. La situazione in Grecia è molto instabile. È già in corso un assalto agli sportelli bancari, per effetto del ricatto di Merkel e Lagarde, le difficoltà e la disperazione della società sono ben note – disoccupazione oltre il 22%, disoccupazione giovanile superiore al 50%, contrazione del 7% del prodotto interno lordo, aumento del tasso di suicidi -, e il sistema politico è oggetto di una massiccia ristrutturazione dopo il crollo dei due corrotti ex partiti di governo e con la sinistra radicale che sta diventando una forza egemonica.
Nel periodo della Guerra fredda, in una Grecia in queste condizioni con ogni probabilità ci sarebbe stato un colpo di stato, per mantenerla sotto l’ombrello della Nato.
Politicamente la Grecia di oggi somiglia molto a quella della metà degli anni Sessanta, con l’unica differenza che l’economia del paese in quel periodo era in piena espansione e le richieste popolari erano soprattutto in direzione dell’apertura del sistema politico. Ma sullo sfondo, allora come oggi, le questioni di Cipro e dell’Egeo erano in agguato.
Da parte della Turchia non è stato responsabile – date le condizioni politiche e sociali della Grecia odierna – ribattezzare la sua «Repubblica turca di Cipro nord» in «Repubblica turca di Cipro», così rendendo ufficiale il suo desiderio semi-segreto di rivendicare non soltanto l’area che invase e occupò nell’estate del 1974, ma l’intera Cipro. Questo ha molta importanza per un’Atene radicale e dovrebbe significare ancora di più per una Merkel in difficoltà a Berlino, per non parlare di Obama. Altrettanto irresponsabili sono state le dichiarazioni pubbliche di Erdogan secondo le quali i greci non dovrebbero essere ipocriti sul problema dell’Egeo (delimitazione della piattaforma continentale delle isole, spazio aereo di Atene eccetera), perché negli accordi di «salvataggio» che hanno sottoscritto (con i creditori internazionali, ndt) hanno sostanzialmente ipotecato le isole in favore della Germania.
Queste non sono buone notizie per Merkel e per Obama, per l’Ue e per la Nato. La Turchia, con o senza il via libera dell’Occidente, potrebbe lanciare una sfida a un nuovo governo della sinistra radicale in Grecia già dal 18 giugno. In tal caso, ad essere sconfitta non sarebbe la Grecia. La Grecia ormai è abitata da una società quasi pauperizzata – a causa dello spreco di capitale finanziario e delle politiche monetariste della Germania – e politicamente è dominata dalla sinistra radicale. La Grecia ora può parlare direttamente al popolo turco e a quelli dei Balcani, i veri vicini del Paese con cui lavorare per costruire nuovi progetti sostenibili e ambientali nell’area dell’ex Impero ottomano. Non è sotto il controllo di nessuna giunta asservita e chiede di essere trattata alla pari.
Se Merkel intende continuare con le sue minacce di espellere la Grecia dall’area euro in caso di vittoria elettorale di Syriza, ha anche il fegato di sopportare le conseguenze dello scenario descritto? Non credo proprio. E lei lo sa. Obama lo sa. Per questo si tratta di minacce vuote, lanciate per provare a contenere il crollo del sistema bipartitico il 17 giugno.
Vassilis K. Fouskas (professore di Relazioni internazionali alla Richmond University, Londra)
Fonte: www.ilmanifesto.it
17.06.2012
Traduzione a cura di Michelangelo Cocco