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DI JOHN PILGER
zcommunications.org

La sacrosanta verità di Milan Kundera, “la lotta del popolo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”, calza a pennello Timor Est. Il giorno prima di partire per filmare lì clandestinamente nel 1993, mi sono recato a Stanfords, il negozio di mappe di Covent Garden, a Londra. “Timor?” chiese con esitazione un commesso. Restammo lì stralunati a guardare scaffali contrassegnati Sud-Est asiatico. “Mi scusi, dov’è esattamente?”.

Dopo una breve ricerca tornò con una vecchia mappa aeronautica con diversi spazi bianchi timbrati “rilevamento dati incompleto”. Non gli erano mai state chieste mappe di Timor Est, che si trova appena a nord dell’Australia, tale era il silenzio che avvolgeva la colonia portoghese dopo la sua invasione e occupazione da parte dell’Indonesia nel 1975. Eppure, neanche Pol Pot era riuscito a uccidere, in proporzione, così tanti cambogiani quanti il dittatore indonesiano Suharto uccise o fece morire di fame a Timor Est.

Nel mio film “Morte di una Nazione”, c’è una sequenza girata a bordo di un aereo australiano mentre sorvola l’isola di Timor. Una festicciola è in corso, e due uomini in giacca e cravatta brindano con champagne. “Questo è un momento storico unico”, farfuglia uno dei due, “veramente unico e storico”. Si tratta di Gareth Evans, ministro degli Esteri australiano. L’altro è Ali Alatas, portavoce di Suharto. È il 1989 e stanno facendo un volo simbolico per celebrare la firma di un trattato piratesco che ha permesso all’Australia e a compagnie petrolifere e del gas internazionali di sfruttare i fondali marini di Timor Est. Stiamo sorvolando valli seminate di croci nere, dove aerei da caccia britannici e americani hanno ridotto la gente a pezzi. Nel 1993, la commissione affari esteri del Parlamento australiano ha riferito che “almeno 200.000”, un terzo della popolazione, erano morti sotto Suharto. Grazie soprattutto ad Evans, l’Australia era l’unico paese occidentale a riconoscere formalmente la conquista genocida di Suharto. Le forze speciali indonesiane assassine conosciute col nome di Kopassus sono state addestrate in Australia. Il premio, ha rivelato Evans, è stato di “triliardi” di dollari.

A differenza di Muammar al-Gheddafi e di Saddam Hussein, Suharto è morto serenamente nel 2008, circondato dalle migliori cure mediche che i suoi miliardi potessero comprare. Non è mai stato a rischio di essere processato da parte della “comunità internazionale”. Margaret Thatcher gli disse: “Lei è uno dei nostri migliori e più preziosi amici.” Il primo ministro australiano Paul Keating lo considerava come una figura paterna. Un gruppo di direttori di giornali australiani, guidati dal veterano inserviente di Rupert Murdoch, Paul Kelly, volò a Giacarta per offrire il proprio rispetto al dittatore, c’è una foto di uno di loro che s’inchina.

Nel 1991, Evans definì il massacro di più di 200 persone da parte di truppe indonesiane nel cimitero di Santa Cruz a Dili, capitale di Timor Est, come una “aberrazione”. Quando però i manifestanti piantarono croci simboliche davanti all’ambasciata indonesiana a Canberra, Evans ordinò di distruggerle.

Il 17 marzo scorso, Evans era a Melbourne per parlare ad un seminario sul Medio Oriente e la “primavera araba”. Ora grandemente impegnato nel mondo dei “think tank”, spiega in lungo e in largo le strategie delle grandi potenze, in particolare quella alla moda moda della “responsabilità di proteggere”, che la NATO utilizza per attaccare o minacciare dittatori altezzosi o caduti in disgrazia, con il falso pretesto di liberare la loro gente. La Libia ne è l’esempio più recente. Al seminario c’era anche Stephen Zunes, professore di Scienze politiche all’Università di San Francisco, che ha ricordato al pubblico il lungo e cruciale sostegno di Evans per Suharto.

Appena terminata la sessione, Evans, uomo molto irascibile, si è avventato su Zunes urlando: “Chi cazzo sei? Da dove cazzo vieni?” A Zunes è poi stato detto, ed Evans ha confermato, che certe critiche meritavano “un pugno sul naso”. L’episodio è stato di grande tempismo. Si sta festeggiando il decimo anniversario di un’indipendenza che Evans una volta negò; Timor Est sta per eleggere un nuovo presidente, il secondo turno di votazione è il 21 aprile, e sarà seguito dalle elezioni parlamentari.

Per molti abitanti di Timor e per i loro bambini malnutriti e sottosviluppati, la democrazia è una cosa astratta. Ad anni di occupazione cruenta, sostenuta da Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti, è seguita una campagna implacabile di bullismo da parte del governo australiano per manovrare la piccola nuova nazione a rinunciare alla giusta porzione di entrate derivanti da petrolio e gas dei propri fondali marini. Dopo aver rifiutato di riconoscere la giurisdizione della Corte internazionale di Giustizia e il Diritto del Mare, l’Australia ha modificato unilateralmente il confine marittimo.

Infine, nel 2006, un accordo è stato firmato, in gran parte a condizioni favorevoli all’Australia. Poco dopo, il primo ministro Mari Alkatiri, un nazionalista non sottomesso a Canberra e che si era opposto all’ingerenza straniera e all’indebitamento con la Banca Mondiale, è stato effettivamente deposto in ciò che lui stesso chiama un “tentativo di golpe” da parte di “gente da fuori”. L’Australia ha una base di “forze di pace” a Timor Est che avevano addestrato i suoi avversari. Secondo un documento trapelato dal Dipartimento della Difesa australiano, il “primo obiettivo” australiano a Timor Est è che il suo esercito “abbia accesso” in modo da poter esercitare “un’influenza sul processo decisionale di Timor Est”. Uno dei due attuali candidati presidenziali è Taur Matan Ruak, un generale e uomo di Canberra che ha contribuito alla cacciata dell’importuno Alkatiri.

Un piccolo paese indipendente a cavallo di lucrative risorse naturali e di rotte marittime strategiche è di grave preoccupazione per gli Stati Uniti e il suo “vice sceriffo” in Canberra. (Il Presidente George W. Bush ha effettivamente promosso l’Australia a sceriffo). Questo spiega in gran parte perché il regime di Suharto riscuotesse tanta attenzione da parte dei suoi sponsor occidentali. La continua ossessione di Washington in Asia è la Cina, che oggi offre investimenti, competenze e infrastrutture ai paesi in via di sviluppo, in cambio di risorse.

Quando visitò l’Australia lo scorso novembre, il presidente Barack Obama pronunciò un’altra delle sue velate minacce alla Cina, annunciando l’insediamento di una base di Marines a Darwin, proprio di fronte a Timor Est. Gli è chiaro che i piccoli, poveri Paesi possono spesso presentare la più grande minaccia al potere predatorio, perché se essi non possono essere intimiditi e controllati, chi lo può essere?

Fonte: http://www.zcommunications.org
Link: http://www.zcommunications.org/east-timor-a-lesson-in-why-the-poorest-threaten-the-powerful-by-john-pilger
5.04.2012

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA

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