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La Redazione

 

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PERCHE’ GLI OSCAR SONO UNA TRUFFA

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A cura di Davide
Il 13 Febbraio 2010
53 Views

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DI JOHN PILGER
globalresearch.ca

Perché ci sono in giro così tanti brutti film? Le nomination agli Oscar di quest’anno sono una parata di propaganda, stereotipi e disonestà spudorata. Il tema dominante è vecchio quanto Hollywood: il diritto divino dell’America di invadere altre società, rubare la loro storia e monopolizzare la nostra memoria. Quand’è che registi e sceneggiatori inizieranno a comportarsi come artisti e non come magnaccia di una visione del mondo consacrata al controllo e alla distruzione?
Sono cresciuto nel mito cinematografico del Selvaggio West, che era tutto sommato innocuo, a meno di non essere un nativo americano. La formula non è cambiata. Distorsioni autocompiacenti ci presentano la nobiltà dell’aggressore colonialista americano come copertura per tutti i massacri, dalle Filippine all’Iraq.Divenni pienamente consapevole del potere di questa truffa soltanto quando venni mandato in Vietnam come reporter di guerra. I vietnamiti erano le “scimmie” e gli “indiani” il cui massacro su scala industriale era stato preannunciato nei film di John Wayne e poi inviato a Hollywood per essere infiocchettato e riabilitato.
Uso la parola massacro con cognizione di causa, perché ciò che Hollywood sa fare meravigliosamente bene è sopprimere la verità sulle aggressioni americane. Non si tratta di guerre, ma dell’esportazione di una “cultura” omicida e drogata di armi da fuoco. E quando la rappresentazione degli psicopatici come eroi non regge più, il bagno di sangue si trasforma in “tragedia americana”, con una colonna sonora di pura angoscia.

The Hurt Locker di Kathryn Bigelow rispetta la tradizione. Candidato a molteplici Oscar, il suo film è “migliore di qualsiasi documentario che io abbia mai visto sulla guerra in Iraq. E’ così verosimile, così spaventoso”. (Paul Chambers, CNN). Peter Bradshaw sul Guardian riconosce che esso possiede “una chiarezza priva di pretese”, che “ci parla del lungo e doloroso finale di partita in Iraq” e che “sull’agonia, sul male e sulla tragedia della guerra ci dice più di tanti recenti film animati da buone intenzioni”.

Quante fesserie. Il film della Bigelow offre qualche brivido per interposta persona grazie all’ennesimo tradizionale psicopatico dedito alla violenza su territori altrui, così che le morti di milioni di persone vengano consegnate all’oblio cinematografico. Tutto il chiacchiericcio sulla Bigelow è dovuto al fatto che potrebbe diventare il primo regista donna a vincere un Oscar. Trovo repellente che una donna venga celebrata per un film di guerra pieno di violenza tipicamente maschile.
Le ovazioni fanno eco a quelle tributate a Il cacciatore (1978) che i critici acclamarono come “il film che riuscirà a liberare una nazione dal suo senso di colpa!”. Il cacciatore era un’apologia di coloro che avevano provocato la morte di oltre tre milioni di vietnamiti, trasformando coloro che avevano osato opporre resistenza in barbarici pupazzetti comunisti. Nel 2001, Black Hawk Down di Ridley Scott offrì una simile, seppur meno sottile, catarsi per un altro “nobile fallimento” americano, quello in Somalia, stemperando il massacro di 10.000 somali perpetrato dagli eroi.

Viceversa, il destino subìto da un film di guerra americano davvero encomiabile, Redacted, è molto istruttivo. Girato da Brian De Palma nel 2007, il film racconta la storia vera dello stupro di gruppo di una ragazzina iraqena e del massacro della sua famiglia ad opera di soldati americani. Non c’è eroismo, nessuna redenzione. Gli assassini sono solo assassini e la complicità di Hollywood e dei media nell’epico crimine compiuto in Iraq viene descritta da De Palma con grande intelligenza. Il film terminava con una serie di fotografie di civili iraqeni assassinati. Quando venne ordinato che i loro volti venissero oscurati per “ragioni legali”, De Palma dichiarò: “Penso che sia una cosa terribile, perché a questo popolo sofferente non concediamo ormai neppure la dignità del proprio volto. La grande ironia di Redacted è che alla fine è stato “redacted” (revisionato)”. Dopo una breve uscita nelle sale americane, il film è semplicemente scomparso.
L’umanità non-americana (o non occidentale) è priva di attrattiva al botteghino, viva o morta che sia. E’ “l’altra” umanità, alla quale viene concesso al massimo di essere salvata da “noi”. In Avatar, l’enorme e violento macinasoldi di James Cameron, i nobili selvaggi in 3-D, conosciuti come Na’vi, hanno bisogno, per salvarsi, di un bravo soldato americano, il sergente Jake Sully. Così si capisce che sono i “buoni”. Bleah.

Il mio Oscar per il peggior film tra quelli candidati all’Oscar va ad Invictus, il viscido insulto di Clint Eastwood alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica. Tratto da un’agiografia di Nelson Mandela scritta da un giornalista britannico, John Carlin, il film sembra un prodotto di propaganda a favore dell’apartheid. Promuovendo la cultura brutale e razzista del rugby a panacea della “nazione arcobaleno”, Eastwood si limita ad accennare al fatto che molti sudafricani neri si sentirono profondamente offesi e feriti dall’appoggio offerto da Mandela agli odiati Springbok, simbolo della loro sofferenza. Eastwood glissa sulla violenza dei bianchi, ma non su quella dei neri, che nel film è sempre presente come una minaccia. Quanto ai razzisti boeri, essi hanno un cuore d’oro, perché “noi non avevamo capito”. Il motivo subliminale è fin troppo familiare: il colonialismo merita perdono e condiscendenza, ma mai che sia fatta giustizia.
Sulle prime pensavo che nessuno avrebbe potuto prendere Invictus sul serio, ma poi ho dato uno sguardo alla sala e ho visto giovani e altre persone per le quali gli orrori dell’apartheid sono sconosciuti, e allora ho capito quanto danno possa provocare una simile viscida carnevalata alla nostra memoria e ai suoi insegnamenti morali. Immaginate se Eastwood dovesse girare un analogo polpettone non violento sulla situazione del profondo sud americano. Non oserebbe mai.

Il film con il maggior numero di nomination e più acclamato dai critici è “Up in the Air” (Tra le nuvole), in cui George Clooney gira per l’America licenziando la gente e collezionando buoni viaggio. Prima che il ritritume si dissolva in sentimentalismo, vengono richiamati tutti i possibili stereotipi, specialmente quelli sulle donne. C’è la puttana, la santa e l’ingannatrice. In tutti i modi, si tratta di “un film per i nostri tempi”, spiega il regista Ivan Reitman, che si vanta di aver scritturato per il cast gente realmente licenziata. “Li abbiamo intervistati chiedendogli cosa si provasse a perdere il lavoro in un’economia in queste condizioni”, ha spiegato, “poi li abbiamo messi davanti alla macchina da presa e gli abbiamo chiesto di reagire come avevano fatto quando avevano perso il lavoro. E’ stata un’incredibile esperienza vedere questi non-attori recitare con un realismo autentico al 100%”.
Wow, che vincente. 

Versione originale:

John Pilger
Fonte: www.globalresearch.ca/
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=17541
10.02.2010

Versione italiana:

Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
Link: http://blogghete.blog.dada.net/archivi/2010-02-11
11.02.2010

Traduzione a cura di GIANLUCA FREDA

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