PER UN’ALTRA POLITICA

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blankDI MARINO BADIALE e MASSIMO BONTEMPELLI
Arianna Editrice

Dobbiamo dire basta alla politica come viene fatta in Italia: autoreferenziale, del tutto incapace di arrestare il degrado del nostro paese, incentrata su conflitti per il potere fine a se stesso. Dobbiamo far nascere la pretesa intransigente di una politica che contribuisca a migliorare il paese, a ricostruirne la civiltà, e non a lasciarlo marcire specchiandosi in se stessa.

Non stiamo parlando di chissà quali rivoluzioni. Stiamo parlando di provvedimenti di razionale buonsenso (anche se forse siamo giunti al punto che il buonsenso è di per sé rivoluzionario). Facciamo qualche esempio. Si deve porre rapidamente fine, mettendo in campo tutti i mezzi ed i finanziamenti necessari, alla durata abnorme dei processi e al costo pesante dello stare in giudizio, che si traducono in giustizia negata per i soggetti più deboli e moltiplicazione delle opportunità di sfuggire alla giustizia per i soggetti più forti. Si deve altresì rendere possibile un controllo di legalità sul comportamento dei potenti dell’economia e della politica, da parte di una magistratura autonoma e indipendente dagli altri poteri dello Stato, come prescrive l’articolo 104 della nostra Costituzione. Si deve porre rapidamente fine alla sostanziale immunità fiscale delle grandi ricchezze patrimoniali e finanziarie, degna dell’Ancien Régime, che sposta tutto il peso della contribuzione sul Terzo Stato del lavoro (dipendente e autonomo), e che induce chi può ad evaderla, applicando finalmente l’articolo 53 della nostra Cosrtituzione, che stabilisce il concorso alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. Bisogna rendere una buona volta effettivi l’articolo 36 della nostra Costituzione, che sancisce il diritto di ogni lavoratore ad avere assicurata dal suo lavoro un’esistenza libera e dignitosa per sé e per la sua famiglia, e l’articolo 38, che sancisce il diritto di chi è licenziato o reso invalido dal lavoro, e di chi non lavora perché ammalato o anziano, ad avere assicurati mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita. Per rendere effettivi gli articoli 36 e 38 della Costituzione occorre una legislazione che proibisca la stipulazione di contratti di lavoro di puro sfruttamento, e che predisponga un più efficiente ed esteso spettro di servizi pubblici gratuiti, e un sistema di previdenza sociale che non lasci nessun ammalato e nessun anziano nella miseria.

Le risorse per una politica di questo tipo devono venire dalla tassazione dei grandi patrimoni e delle rendite finanziarie (ricordiamo che le aliquote sulle rendite finanziarie sono oggi in Italia le più basse d’Europa), dall’espropriazione delle ricchezze della varie mafie, dalla lotta all’evasione contributiva (il lavoro in nero), dalla riduzione del ceto politico centrale e locale, dalla riduzione delle spese militari non giustificabili in chiave difensiva, dal rifiuto di dilapidare risorse per servire gli interessi geopolitici statunitensi.

Le nostre missioni militari all’estero, oltre a gravare sul bilancio dello Stato, sono una plateale violazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione, che esclude non solo la guerra offensiva, ma anche la guerra come mezzo per risolvere conflitti internazionali, ammettendo quindi soltanto la guerra per difendere il territorio nazionale invaso. L’espediente di chiamare missioni di pace gli interventi militari italiani di sostegno alle invasioni americane, per farli apparire conformi alla Costituzione ancora formalmente vigente, è tragicamente ridicolo, e mostra soltanto che gli organi principali dello Stato (Governo, Presidenza della Repubblica, della Camera, del Senato) e tutte le forze politiche presenti in Parlamento (destra, centro e sinistra) si sono posti di fatto al di fuori della legalità costituzionale.

I recenti inteventi militari italiani, oltre a violare la Costituzione, rappresentano una grave mortificazione della nostra dignità nazionale. Gli Stati Uniti stanno combattendo una loro guerra di accaparramento delle risorse mondiali mascherata da guerra al terrorismo e attuata con una sistematica violazione dei diritti umani. Anche essere loro alleati in questa guerra sarebbe, ad uno sguardo lungimirante, contrario ai nostri interessi. Ma noi non siamo neppure i loro alleati, siamo i loro servi. Mandiamo i nostri soldati là dove gli USA hanno bisogno che siano a prescindere dai nostri interessi nazionali. I nostri servizi segreti militari, che dovrebbero essere il più geloso presidio di indipendenza nazionale, sono in gran parte al laccio di servizi stranieri, al punto da prestarsi a cooperare al rapimento, sul nostro territorio e in violazione delle nostre leggi, di individui che gli statunitensi vogliono comodamente far torturare. Un agente che operi nel nostro interesse nazionale e a fin di bene, come Calipari, può esserci ammazzato come un cane dagli USA, in circostanze oscure che essi rifiutano poi arrogantemente di chiarirci, e un giudice italiano che doverosamente indaghi sui delitti USA nel nostro territorio, può essere chiamato mascalzone e minacciato sulla loro stampa senza alcuna reazione nel nostro paese.

Altri provvedimenti indispensabili sono quelli di porre fine al degrado della televisione pubblica, dovuta al controllo partitocratico e alla volgarità mercantile, di impostare una nuova politica dell’immigrazione con l’abolizione immediata dei CPT (rispettando così l’articolo 13 della Costituzione), di organizzare una seria tutela dell’ambiente naturale e del patrimonio storico ed archeologico del nostro paese, secondo quanto richiesto dall’articolo 9 della Costituzione.

Il governo Berlusconi è stato un governo nemico per tutti coloro che hanno a cuore la civiltà di questo paese, dato che non ha preso nessuno di questi provvedimenti, né ha mai avuto intenzione di prenderli. Su questo piano, che è l’unico essenziale, il governo Prodi non ha fatto nulla di diverso. Non c’è stato nessun provvedimento per abbreviare i processi, ridurne i costi, sottoporre al controllo di legalità i potenti dell’economia e della politica, ai quali il mantenimento delle leggi di Berlusconi e gli sciagurati congegni dell’indulto hanno assicurato l’immunità penale. Non c’è stato nessun provvedimento di più incisiva tassazione delle grandi ricchezze patrimoniali e finanziarie. Non c’è stata nessuna iniziativa per sottrarre alle mafie le ricchezze tramite le quali esercitano i loro poteri ed acquisiscono altre ricchezze. Non c’è stata nessuna interruzione della dipendenza servile dalla politica di guerra degli USA. Non c’è stato nessun serio tentativo di accertare la verità su Calipari. Riguardo ai rapimenti della CIA in territorio italiano, il ministro della giustizia di Prodi, Mastella, si è comportato nella stessa maniera del ministro della giustizia di Berlusconi, Castelli, opponendo il segreto di Stato all’accertamento giudiziario della verità. Gli agenti del SISMI che hanno cooperato alle violazioni dei diritti umani da parte degli USA sul nostro territorio, sono stati vergognosamente assunti dal governo dopo essere stati messi sotto accusa dalla magistratura e costretti a dimettersi dai servizi (Pollari è stato scelto come consulente da Prodi, e Pompa da Parisi).

Di fronte a questi fatti, appare del tutto illogica la difesa ad oltranza del governo Prodi, “perché se no torna Berlusconi”. Le persone sane non vogliono che torni la politica di Berlusconi, sapendo quali mali produrrà. Ma le persone sane si rendono conto che il problema non è l’individuo Silvio Belusconi, ma appunto la sua politica. Se la stessa politica, generatrice degli stessi mali, nessuno escluso, la fa Prodi, che senso ha considerare Prodi come uno scudo contro Berlusconi? Le forze politiche cosiddette “moderate di centrosinistra”, che rappresentano l’asse portante del governo Prodi, sono nemiche della civiltà di questo paese, esattamente come le forze politiche che sostengono Berlusconi.

Le recenti vicende politiche (bocciatura del governo sulla politica estera, crisi di governo e superamento della crisi) hanno mostrato, con tutta la chiarezza necessaria, che anche la sinistra cosiddetta radicale è totalmente interna al sistema di potere che produce quei mali. Accettando i “dodici punti” di Prodi la sinistra radicale ha rinunciato, in maniera plateale, a qualsiasi velleità di incidere sulla politica del governo. Essa ha dimostrato apertamente di essere disposta ad accettare qualsiasi cosa, pur di non essere emarginata dal governo. La radice ultima di queste scelte è assai semplice: la sinistra radicale è incapace di fare politica senza i mezzi e i finanziamenti che vengono forniti dai ruoli istituzionali. Senza questi, la sinistra radicale scomparirebbe, e, in una dialettica che meriterebbe un’analisi più approfondita, il mezzo si rovescia in fine: i posti e le prebende diventano, da mezzo per lottare per un mondo migliore, l’unico fine dell’esistenza di partiti come Rifondazione e i Comunisti Italiani, mentre la pace, la giustizia, il socialismo, da fini diventano mezzi, semplici trucchi ideologici con i quali tenere unito il proprio elettorato e conquistarsi posti e prebende.

La maggioranza del popolo di sinistra non sembra migliore del ceto politico per il quale vota. Essa è del tutto incapace di vedere la sostanziale indistinzione fra destra e sinistra, e di trarne le conseguenze. E’ disposta ad accettare qualsiasi cosa, purché la faccia un governo di sinistra, e reagisce con rabbia quando due senatori votano contro una politica estera di adesione ad una guerra che, a parole, è osteggiata dalla maggioranza del popolo di sinistra.

Vi è certo, dentro il popolo di sinistra, una minoranza che non ha ancora rinunciato ai propri ideali e alla propria razionalità. Essa non può però fare nulla finchè rimane all’interno della sinistra. La sinistra è oggi un collante che tiene assieme le persone ancora legate a ideali emancipativi con una maggioranza di persone che in nome dell’appartenenza ha rinunciato sia agli ideali sia alla ragione, e con una certa percentuale di clientes dei politici di sinistra, per i quali stare a sinistra significa semplicemente farsi i propri affari. Questo soffocante abbraccio impedisce alla minoranza (ancora) pensante di vedere la realtà e di fare qualcosa. L’illusione che la sinistra sia un valore in sé, a prescindere da quello che fa la sinistra reale, imprigiona le energie che ancora sarebbero disponibili per lottare contro il degrado italiano.

Ma come è possibile che l’intero spettro della sinistra sia diventato totalmente interno a un potere che tendenzialmente distrugge la nostra civiltà? Per capirlo, occorre riflettere sulla storia degli ultimi decenni.

A partire dagli anni Ottanta del Novecento, l’organizzazione sociale ed economica del mondo occidentale si è imposta all’intero pianeta come l’unica possibile. Ma questa organizzazione sociale, questo modo di produrre, consumare, vivere, per il quale usiamo l’espressione “capitalismo assoluto”, è insostenibile sul piano geopolitico, sociale, ecologico. Sul piano geopolitico, la realtà dominante è oggi l’impero statunitense, la cui politica di controllo globale porta instabilità e guerre in ogni angolo del pianeta. Sul piano sociale, il dominio assoluto dei principi di convenienza aziendale, l’idea che può e deve essere fatto solo ciò che rappresenta un profitto monetario privato, sta rapidamente portando all’aumento del disagio, dell’insicurezza, della difficoltà di vivere in larghi strati della popolazione, generando tensioni che minacciano la stabilità sociale e il legame fra gli individui. Sul piano ecologico, è evidente, a chiunque non abbia ancora rinunciato a pensare, che l’idea di uno sviluppo economico illimitato è incompatibile con la finitezza del nostro pianeta, delle risorse, dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo.

L’insostenibilità del nostro modello di produzione, di consumo, di vita, assieme alla crescita di conflitti dovuta alle aggressioni USA, sta portando a una profonda crisi di civiltà.

Rispetto a questi problemi non c’è nulla da sperare né da destra né da sinistra, perché destra e sinistra hanno accettato il capitalismo assoluto come unico orizzonte possibile, hanno introiettato l’idea che “non c’è alternativa”. In questo modo le scelte decisive, sul piano economico e sociale, sono sottratte alla politica. Ad essa resta l’unico compito di gestire le conseguenze sociali, più o meno sgradevoli, dei meccanismi economici autoreferenziali del capitalismo assoluto. Priva della possibilità di fare scelte significative, la politica si riduce ovviamente a puro gioco di potere, ad affare privato di una ceto che pensa solo ai propri privilegi. Questo implica la fine di ogni contrapposizione fra destra e sinistra che non sia mera lotta di spartizione del potere.

Tentare oggi di elaborare una politica che sappia opporsi alla rovina cui il capitalismo assoluto sta portando natura e società, implica l’abbandono di destra e sinistra.

Una politica di opposizione deve avere come propri cardini il rifiuto del dogma dello sviluppo, il rifiuto delle politiche economiche neoliberiste, il rifiuto delle guerre imperiali USA.

Ma quale potrà essere la leva su cui agire per inceppare i meccanismi distruttivi del capitalismo assoluto? Tali meccanismi creano sofferenza e disagio in molti modi diversi, ma difficilmente sofferenza e disagio si traducono in coscienza e lotta, perché vengono vissuti come drammi privati: gli incidenti sul lavoro, le difficoltà di una vita da precari, il lento impoverimento dei ceti medi e bassi, non hanno creato in questi anni un’opposizione sociale. Vi è invece un punto, altrettanto importante dei precedenti, rispetto al quale si sono viste forti mobilitazioni: quello della difesa del territorio. Dalla Val di Susa a Vicenza, le comunità locali hanno saputo mobilitarsi e combattere in difesa del proprio territorio. Non si tratta di un tema secondario o “puramente locale”: nella logica del capitalismo assoluto, che è la logica della crescita forsennata dell’economia del profitto, l’aggressione al territorio è necessaria esattamente come l’aggressione ai diritti dei lavoratori. Il capitalismo assoluto pretende di piegare ogni aspetto della realtà sociale e naturale all’esigenza del profitto. Arrivati al livello di sviluppo di un paese come l’Italia, questo implica una continua aggressione al territorio.

Le lotte in difesa del territorio sono quindi il punto di partenza più significativo, nell’attuale situazione. E’ chiaro che il passaggio fondamentale è quello di farle uscire dalla dimensione locale e dare ad esse una dimensione nazionale. Siamo arrivati al paradosso che la Val di Susa va alla manifestazione di Vicenza contro la nuova base, cioè al fatto che un territorio esprime solidarietà ad un altro territorio, senza che esista un riferimento politico nazionale per le lotte di entrambi.

E’ questo riferimento politico nazionale il “qualcosa di nuovo” di cui c’è estremo bisogno.

Questo “qualcosa di nuovo” non dovrà essere un partito di sinistra. E’ la dicotomia stessa di destra e sinistra che va rifiutata. Tantomento dovrà preoccuparsi dell’ “unità della sinistra”, che va anzi distrutta quanto prima per liberare le forze di autentica opposizione ancora imprigionate nel “popolo di sinistra”.

Questo “qualcosa di nuovo” non dovrà essere un partito comunista o rivoluzionario in senso marxista. Non c’è oggi nessuno spazio per una cosa di questo tipo, e non si tratta di sognare impossibili rivoluzioni proletarie, ma di salvare i valori di civiltà che il capitalismo assoluto mette in pericolo.

Ma quale può essere allora la base ideale di un nuovo partito? Non occorre inventare nulla di nuovo, essa esiste ed è, o dovrebbe essere, ben nota ad ogni italiano: si tratta della Costituzione della Repubblica Italiana. Questo splendido risultato della Resistenza antifascista, questa sintesi di alto livello delle tre grandi tradizioni di pensiero liberale, cattolica, social-comunista, contiene in sé, come abbiamo visto, quei germi di civiltà che costituiscono altrettante pietre d’inciampo per la progressione distruttiva del capitalismo assoluto.

Una nuova forza politica dovrebbe quindi avere la Costituzione come asse attorno al quale elaborare un programma, e le lotte in difesa del territorio come campo nel quale esercitare le proprie capacità e cercare adesioni e alleanze. Dovrebbe rifiutare la futile dicotomia di destra e sinistra e combattere senza tentennamenti contro il mito dello sviluppo illimitato, contro le politiche economiche neoliberiste, contro la partecipazione italiana alle guerre imperiali USA. Una tale forza politica sarà aperta alle persone delle più diverse provenienze culturali e politiche, che condividano questi punti essenziali.

Per difendere la civiltà di questo paese, perché la nostra società non si disgreghi sotto l’azione dissolvente delle sciagurate politiche economiche neoliberiste, del malaffare della politica, del potere delle mafie, il compito urgente, indifferibile, è oggi quello di mettere in movimento tutte le energie disponibili a far nascere questa nuova forza politica, il “Partito della Costituzione”.

Marino Badiale e Massimo Bontempelli
Fonte: http://www.ariannaeditrice.it
Link: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=9381
08.03.2007

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