(FRA IL TRAMONTO DI BERLUSCONI E LA DISSOLUZIONE DELL’ITALIA)
DI MARIMO BADIALE E MASSIMO BONTEMPELLI
megachip.info
Il colpo di Stato di Berlusconi è già iniziato. Berlusconi si è trovato in questi mesi nella stessa situazione in cui si trovava Mussolini nel 1924, all’indomani dell’omicidio Matteotti, con lo scandalo e l’inizio di erosione del suo potere che ne seguì: nella situazione, cioè, di dover scegliere fra la rovina politica e personale e l’abbattimento delle regole della democrazia per l’instaurazione di un potere dispotico. Berlusconi, come Mussolini nel ’24, ha scelto questa seconda strada.
Le analogie ovviamente finiscono qui. L’esito di un colpo di Stato di Berlusconi sarebbe molto diverso da quello di Mussolini.
Per capire questo punto, occorre riprendere ciò che abbiamo scritto in “ Un tramonto pericoloso” sulla natura del blocco sociale che sostiene Berlusconi.Si tratta di un arcipelago di feudi di potere economico, politico e criminale: per dirla con una parola divenuta corrente, di cricche. Da un simile blocco sociale non può nascere un totalitarismo di Stato, ma soltanto un illegalismo dell’arbitrio, volta a volta condizionato e necessitato dai rapporti di potere tra le cricche (il totale arbitrio, infatti, non è affatto libertà, ma, come è dimostrato dalla logica hegeliana, coincide con la totale necessità). In questa situazione si manifestano due linee di forza, una a favore di Berlusconi e una contraria.
A favore di Berlusconi giocano elementi noti a tutti: il suo potere mediatico in un’epoca in cui modelli mentali e comportamentali sono sempre più di origine televisiva, e la sua capacità comunicativa nei confronti di una sempre più estesa opinione pubblica involgarita. Oltre a questo, si può notare che il suo impero economico è esso stesso una delle cricche, anzi la principale delle cricche. Si tratta di una grossa realtà che genera essa stessa affari e profitti non solo per Berlusconi, ma anche per un’ampia parte del variegato mondo affaristico che lo sostiene. Ognuno dei feudi di questo arcipelago sa che il proprio destino, se Berlusconi dovesse cadere, è di cadere insieme a lui, e questo fatto induce tutti ad una certa compattezza nel sostenerlo.
Contro Berlusconi c’è il fatto che questo stesso arcipelago, che ha in lui l’unico collante, è messo oggi in difficoltà in primo luogo dall’impossibilità di una crescita continua della spesa clientelare-affaristico-mafiosa quale sarebbe necessaria per alimentare l’insieme dei feudi economici che a lui fanno capo, sempre più numerosi e avidi, e in secondo luogo dalla mancanza al suo interno di qualsiasi tipo di unità o solidarietà di tipo ideologico o culturale. Il fatto che la spesa possibile è oggi inferiore a quanto necessario al sostentamento delle cricche, e il fatto che manchi una minima solidarietà, rende la compattezza del sostegno a Berlusconi meno forte di quanto possa sembrare. Di fronte alla crisi del suo potere, ciascuno calcola se sia più conveniente sostenerlo o riciclarsi con altri. Ma poiché non c’è spazio per tutti, il riciclaggio funzionerà solo per pochi, per quelli che riusciranno a cambiare casacca al momento giusto: né troppo presto, come hanno fatto i finiani che stanno tornando alla casa madre, né troppo tardi, quando ormai non ci sarà più spazio per loro.
Per contrastare la tendenza, a lui sfavorevole, allo smottamento della sua base di sostegno, Berlusconi non ha altra scelta che quella di un colpo di Stato. Non si deve però pensare ai carri armati che presidiano il parlamento e la televisione. Il colpo di Stato berlusconiano consiste nell’uso della maggioranza parlamentare per stravolgere ogni regola costituzionale.
Questo colpo di Stato, come si è detto, è già in corso. Il suo primo atto è avvenuto quando Berlusconi, nell’autunno scorso, non si è più limitato a difendersi dai processi che lo riguardano evitandoli con tutti gli espedienti possibili, ma ha dichiarato passibili di punizione i magistrati che osano indagarlo. Partendo da qui ha rifiutato tutte le regole di controllo che la Costituzione prevede. Ha richiesto un voto del Parlamento per sancire che la procura di Milano non è competente a giudicare il tipo di reato da lui commesso. In questo modo ha attribuito alla Camera una decisione sulla natura giuridica di un reato commesso, che la Costituzione esclude che possa spettare all’organo legislativo. Un simile voto del Parlamento ha mirato quindi all’abolizione della divisione costituzionale dei poteri, e di conseguenza alla creazione di un potere arbitrario.
I passaggi successivi a cui Berlusconi mira per completare il colpo di Stato sono: elezioni politiche che gli assicurino una larga maggioranza, poi l’uso di questa maggioranza per farsi eleggere Presidente della Repubblica, infine la nomina da Presidente della Repubblica di giudici della Corte Costituzionale a lui obbedienti. In questo modo Berlusconi potrebbe far passare qualsiasi legge, anche la più anticostituzionale, senza nemmeno bisogno di un cambiamento formale della Costituzione (in parziale analogia con la Germania nazista, che come è noto non abolì mai la Costituzione di Weimar).
In questa situazione gli scenari possibili sono tre: la continuazione del governo Berlusconi attraverso il successo del suo colpo di Stato; elezioni anticipate come esito di una situazione di stallo, attraverso le quali venga deciso il successo o la sconfitta del colpo di Stato; infine, la caduta di Berlusconi attraverso la sfiducia della maggioranza del parlamento, con conseguente formazione di un governo di transizione.
Il primo scenario è secondo noi il meno probabile, perché crediamo che il blocco politico e parlamentare che sostiene il governo Berlusconi, sia meno solido di quanto appaia nel momento in cui scriviamo queste righe (inizio marzo 2011). La crisi economica renderà infatti necessarie scelte sempre più drastiche di riduzione della spesa pubblica anche a svantaggio del sistema delle cricche, e ciò esaspererà le loro competizioni, con effetti di sfaldamento dell’unità delle loro espressioni politiche.
Anche il secondo scenario è secondo noi poco probabile, perché le elezioni anticipate creerebbero una prolungata situazione di instabilità che i ceti dominanti non vogliono. Gli stessi deputati, inoltre, rifuggono dall’idea di dovere di nuovo contendersi i loro comodi seggi.
Rimane il terzo scenario, che è secondo noi il più probabile, per le ragioni stesse che rendono meno probabili gli altri due.
La questione fondamentale che questi scenari pongono è molto semplice: le forze che intendono contrastare il sistema che ha portato l’Italia alla rovina, devono, al fine di evitare che il baratro del paese sia allarghi ancora, per prima cosa impegnarsi a far fallire il piano golpista di Berlusconi, alleandosi con chiunque lo possa contrastare, e rimandando al dopo Berlusconi ogni altra questione, oppure devono sviluppare la propria opposizione politica e sociale contro l’intero complesso dei ceti dominanti? Se si risponde che è prioritaria la caduta di Berlusconi, la conseguenza sul piano politico è quella dell’alleanza con tutte le forze non berlusconiane: il centro-sinistra, il centro-centro di Casini e Rutelli, i finiani; sul piano sociale quella di soprassedere per il momento al conflitto sociale con quella parte dei ceti dominanti che osteggia Berlusconi.
Noi consideriamo questa strategia radicalmente sbagliata, non per amore di estremismo, perché, anzi, riterremmo positivo qualsiasi compromesso che riducesse il terreno da cui è germinato il berlusconismo, ma perché siamo convinti che le attuali forze parlamentari di opposizione a Berlusconi, e i loro referenti economici e sociali, non facciano che allargare questo terreno.
Non si riflette mai abbastanza sul fatto che negli ultimi venti anni tutte le volte che la sinistra ha governato o condizionato il governo del paese, le elezioni successive sono state vinte da Berlusconi.
Ci fanno perciò disperare i segnali che cominciano a venire dalle forze migliori del paese di fronte alla prospettiva di elezioni anticipate: Paolo Flores D’Arcais che si converte alla necessità di una grande coalizione antiberlusconiana, Marco Travaglio che elogia Nichi Vendola per avere proposto Rosy Bindi come candidata alternativa a Berlusconi, Barbara Spinelli che trova qualche aspetto positivo nella figura di Romano Prodi.
Vorremmo poter ragionare su queste cose in maniera sobriamente razionale. Berlusconi è emerso come dominatore della scena politica italiana dalla melma sociale e culturale di un paese senza più speranza, senza più cultura, senza più memoria, involgarito nelle sue idee e nei suoi comportamenti. La questione fondamentale è se un governo diverso da quello di Berlusconi cominci a prosciugare questa melma, o, invece, mantenga in vita i processi degenerativi che la allargano. In questo secondo caso, anche personaggi privi della rozzezza e della cialtroneria di Berlusconi, non farebbero che preparare il terreno al successo, con un altro protagonista, dello stesso colpo di Stato non riuscito a Berlusconi.
Ragioniamo, per capirci, su quali siano i problemi irrisolti che generano la melma sociale e culturale di cui si è detto.
C’è il terribile problema del lavoro senza valore. Lavoro senza valore vuol dire che la sua remunerazione è stata ridotta a vantaggio dei profitti, delle rendite, e di fasce ristrette e privilegiate del lavoro stesso (si pensi agli scandalosi compensi di manager, divi della televisione e del cinema, calciatori di successo, professionisti di spicco). Vuol dire che è stato privato di diritti al punto da tollerare che esso produca giornalmente morti e feriti, in mancanza di serie forme di controllo e di punizione dei responsabili di queste stragi. Vuol dire che l’occupazione non è più un obiettivo della politica economica degli Stati, vuol dire persino che i lavoratori sono indifesi rispetto a vere e proprie truffe dei datori di lavoro. Se il lavoro non ha più valore e le competenze lavorative non generano più considerazione sociale, non rimane che il denaro come regolatore di rapporti e ruoli sociali: ecco una melma da cui è germinato il Berlusconismo.
C’è il problema di una corruzione generalizzata che ha distrutto ogni etica collettiva. È venuto meno in tal modo il senso di un’appartenenza comunitaria che definisca in termini passabilmente oggettivi diritti e doveri: ecco un’altra melma da cui è germinato il berlusconismo.
Il lavoro senza valore, la corruzione, la riduzione del personale pubblico in tutti i settori, anche i più utili, e la nuova economia globalizzata e speculativa, hanno chiuso ogni prospettiva alla gioventù italiana. O, meglio, l’hanno divisa in due settori: una minoranza di raccomandati e di figli di papà, che trova senza difficoltà posti e redditi anche in mancanza di qualsiasi competenza e merito, e una maggioranza per la quale qualunque formazione culturale e professionale non serve ad un inserimento stabile nella società lavorativa.
Questi giovani passano da un contratto precario ad un altro, non vedono mai valorizzati i loro talenti, sono illusi con stage usati per ottenere da loro lavori temporanei non pagati, sono indirizzati a tirocini non pagati che in otto casi su dieci non sfociano in un lavoro regolare. Una gioventù lasciata in questo vuoto degradante è un’altra melma da cui è germinato il berlusconismo.
C’è poi il terribile problema dell’ambiente senza tutele: si tratta dei rifiuti che ormai lo sommergono e ne minacciano la vita, si tratta degli agenti della produzione che ne inquinano l’aria, le acque e i suoli, si tratta del consumo del territorio che ne ha prodotto il dissesto idrogeologico. Questa rovina ambientale trasmette, persino fisicamente, l’immagine di uno spazio pubblico svalutato e degradato, e dello spazio privato come ambito da difendere con qualunque mezzo per potere sviluppare la propria esistenza. Ecco un’altra melma da cui è germinato il berlusconismo.
Ci sono poi problemi altrettanto drammatici della povertà che ormai coinvolge milioni di persone, dell’immigrazione gestita in maniera demenziale, del controllo di ampi territori da parte della criminalità organizzata, di una giustizia messa nelle condizioni di non funzionare.
Analizzando questi problemi, si potrebbe dimostrare facilmente come le forze parlamentari di opposizione a Berlusconi siano strutturalmente inadatte non diciamo a risolverli, ma neanche a cominciare ad affrontarli.
Prima di elogiare la candidatura di Rosy Bindi ci si dovrebbe porre razionalmente il seguente quesito: un governo di centro-sinistra guidato da Rosy Bindi, ed esteso magari fino a tutta la sinistra cosiddetta radicale, riuscirebbe ad affrontare qualcuno di questi problemi? A restituire sul serio valore e dignità al lavoro? A restituire un futuro ai giovani? A tutelare l’ambiente e a ribonificarlo? E via dicendo.
Siamo pronti a dimostrare analiticamente che questo non è possibile. Del resto in passato nessun governo di centro-sinistra ha affrontato questi problemi, e questo dovrebbe pure mettere qualche pulce nell’orecchio a coloro che invocano una coalizione parlamentare antiberlusconiana.
Tutti i trend negativi degli ultimi venti anni (durata sempre più lunga dei processi, allargamento delle differenze di reddito, progressione del degrado ambientale, e così via) hanno mantenuto la stessa linea evolutiva indipendentemente dal colore dei governi del paese. La stessa sconcertante inefficacia dell’opposizione fatta a Berlusconi da parte del centrosinistra è un indice del fatto che gli oppositori affondano le loro radici nello stesso terreno in cui le affonda Berlusconi.
La coalizione di forze che rovescerà Berlusconi è del tutto interna alla realtà stessa che ha consentito il successo di Berlusconi. Non c’è quindi nessuna speranza che da essa possa venire un contrasto ai processi di dissoluzione del paese. I problemi che attanagliano l’Italia non verranno neppure affrontati, i feudi criminali non verranno contrastati, e questo porterà dopo poco tempo al potere qualche altro personaggio, magari personalmente molto diverso da Berlusconi, ma a lui del tutto analogo nella funzione di protettore e collante degli interessi delle cricche. E fra questi interessi c’è in sostanza il colpo di Stato che Berlusconi sta in questi giorni tentando. Colpo di Stato, ripetiamolo, che non consiste nei carri armati per le strade o nell’invasione manu militari del Parlamento, ma nella sospensione, ad uso dei potenti, di ogni controllo di legalità e di ogni regola istituzionale, cioè nell’instaurazione dell’arbitrio dei potenti come principio fondamentale della “Costituzione materiale” del paese. Poiché il mondo delle cricche di questo ha bisogno, se non viene contrastato e sconfitto riprodurrà qualche altro personaggio che di questo bisogno si farà carico.
Il limite principale che impedisce di cogliere il nocciolo della questione è l’incapacità di vedere come certe scelte che presentano indubbi vantaggi immediati siano però cariche di pericoli nel medio e lungo periodo.
Così, quando i dirigenti della socialdemocrazia tedesca nel 1914 appoggiano la scelta della guerra lo fanno in risposta a ben precise considerazioni: da un parte una loro opposizione alla guerra avrebbe comportato una dura repressione alla quale sapevano che il partito non era pronto, dall’altra si poteva pensare che l’appoggiare la guerra avrebbe potuto portare ad una sostanziale legittimazione del movimento socialista. Si trattava di considerazioni di corto respiro, spazzate via dall’imprevisto di una guerra rivelatasi enormemente più distruttiva, di vite umane e di ricchezze, di quanto potesse essere immaginato.
Allo stesso modo, la scelta della dirigenza del PCI nella seconda metà degli anni Venti di schierarsi senza riserve con l’Unione Sovietica e la sua direzione staliniana aveva ovviamente delle buone ragioni nell’immediato: il PCI era un partito piccolo e perseguitato in patria, l’appoggiarsi all’URSS poteva essere visto come l’unico modo di sopravvivere. Ma se questa impostazione ha pagato sul breve periodo, sul medio e lungo si è rivelata fallimentare, perché ha impedito al PCI di poter seriamente competere per il governo del paese nel periodo della guerra fredda, e ha trascinato il PCI verso la dissoluzione con la fine dell’URSS.
Allo stesso modo, la scelta di appoggiare una eventuale “grande coalizione” antiberlusconiana avrebbe certo, per le deboli forze antisistemiche, dei vantaggi immediati: in primo luogo la cacciata di Berlusconi, che sarebbe certo una cosa positiva, in secondo luogo, forse, una momentanea possibilità di accesso ai media antiberlusconiani, che in una fase di scontro acuto, sarebbero portati a valorizzare ogni voce che fosse possibile reclutare. Ma questi vantaggi immediati sarebbero ben presto surclassati dagli effetti negativi di una simile scelta. Appiattendosi sulla “grande coalizione” antiberlusconiana le forze antisistemiche perderebbero in realtà ogni possibilità di far vivere la propria diversità, e di far generare da questa diversità, in futuro, qualche effetto politico rilevante.
L’unica speranza di impedire il degrado sociale e civile del nostro paese sta nell’intransigente opposizione a tutta intera la casta politica (di destra, centro e sinistra), che tutta intera è responsabile del degrado dell’Italia, tutta intera è corrotta, tutta intera viola la Costituzione (a partire dall’appoggio comune alla partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan).
Una tale opposizione deve avere come punti di riferimento fondamentali la Costituzione della Repubblica Italiana, la difesa dei diritti e dei redditi dei lavoratori e dei ceti subalterni, un modello di economia che esca dal vincolo della crescita (una crescita che ormai è solo radicalmente distruttiva di natura e società), il rifiuto delle guerre di aggressione.
La proposta politica da fare a tutte le forze estranee alla casta politica e che si riconoscono in questi principi, è secondo noi quella di creare un fronte unitario che sappia condurre azioni comuni e partecipare alle competizioni elettorali per portare l’opposizione dentro le istituzioni.
Marino Badiale, Massimo Bontempelli
Fonte: www.megachip.info
Link: http://www.megachip.info/tematiche/beni-comuni/5744-per-una-politica-di-opposizione-tramonto.html
4.03.2011