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PAROLE, COMPORTAMENTI, LEGGI. UN ALTRO SCHIAFFO MORALE ARRIVA DAL SUDAMERICA. QUESTA VOLTA DALLA BOLIVIA

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A cura di Davide
Il 12 Marzo 2013
97 Views

DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI
Libero pensiero

“Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili”
Pier Paolo Pasolini. 1965

I sistemi politici vengono modificati da nuove leggi, che cambiano l’assetto istituzionale e fondano una nuova società. E’ così dal lontano giorno in cui Mosè scese dal monte Sinai con i dieci comandamenti scritti sulla pietra.

Ma le leggi –a meno che non si tratti di imposizioni dittatoriali di una ristretta oligarchia- vengono cambiate quando le istituzioni riconoscono e accettano il principio della necessità del nuovo giuridico perché una rivoluzione si è già consumata in ambito psico-sociale. Le condizioni, cioè, sono già cambiate perché è avvenuto uno “scatto mentale” in quella etnia, popolo, nazione, Stato che sia.Si è verificato un mutamento dei parametri, è nato un nuovo status symbol, si è già esteso un totale diverso comportamento da parte della popolazione. Questa diversità si manifesta dapprima in cerchie e circoli molto ristretti, poi si diffonde in maniera capillare, e se riesce a dilagare diventa di massa, permeando l’intero tessuto sociale, attraverso la formulazione e la coniugazione di nuove parole, la fondazione di un Senso e di un Significato originale.

La Legge, che certifica e sanziona la costituzione di una società, può essere quindi il primo gradino della nuova società, ma anche l’ultimo atto di un lento e complesso lavorio sotterraneo che produce un nuovo humus, vero e proprio magma sociale che alla fine erutta dalla bocca del vulcano sociale che annuncia la nascita di un Nuovo Sistema di Valori.
La Legge arriva quando già sono cambiati i comportamenti, le parole consuete sono già state sostituite da parole altre, e l’intera società è pronta ad accogliere sia i cambiamenti che le modificazioni esistenziali. Infine arriva l’Istituzione che organizza e gestisce la necessità del nuovo corso.

Le rivoluzioni e i grandi stravolgimenti nascono sempre prima come “evento esistenziale individuale” che poi diventa collettivo e si trasforma in una poderosa onda di rinnovamento.

La differenza tra le dittature e le democrazie evolute consiste nel fatto che nelle dittature una ristretta pattuglia di individui stabilisce le leggi e le impone attraverso la violenza, la sopraffazione, la negazione di ogni forma di libertà: o si accettano le decisioni dall’alto oppure si viene eliminati dal consorzio civile.
Nelle democrazie evolute, invece, le Leggi sanzionano e codificano ciò che dalla società nasce come esigenza collettiva di un patrimonio comune, condiviso, riconosciuto.
Se nel 1890, durante il regno della regina Vittoria, in Gran Bretagna avessero varato una legge che consentiva il matrimonio tra gay, sarebbe scoppiata la guerra civile e l’impero inglese sarebbe crollato. Quando invece la legge è stata promulgata non è accaduto nulla se non la presa d’atto che veniva codificato ciò che la società aveva già acquisito e promosso prima. Stessa cosa per ciò che riguarda il voto alle donne, l’abolizione della schiavitù, in Usa il diritto dei neri all’equiparazione, e via dicendo.

L’Europa è stata, negli ultimi secoli, teatro e protagonista di un quadro di evoluzione sociale, passando attraverso diversi rivolgimenti che hanno portato infine a nuove leggi, nuovi assetti e a un progresso collettivo.

Fino al 2001.

Le popolazioni, le singole nazioni hanno impiegato almeno dieci anni per rendersi conto in Europa di ciò che era accaduto. Non era facile capirlo. Perché è avvenuto secondo una manovra dittatoriale subdola e clandestina, oltre al fatto che, all’inizio, i dittatori sono proprio come il diavolo: tentano gli individui mascherati da angeli. Nessun dittatore mai nella Storia ha preso il potere presentandosi come un efferato dittatore, ma sempre come un bonificatore.

La gigantesca crisi epocale che stiamo vivendo oggi, in Europa, non è altro che la presa d’atto collettiva, a livello continentale, che un manipolo di persone, impiegate da giganteschi colossi internazionali della finanza, quindici anni fa ha “inventato” e imposto dall’alto una serie di regole economiche e di nuove specifiche leggi in forma dittatoriale: nessuno ha mai chiesto l’opinione dei popoli e  aggiungo, le nuove disposizioni legali non erano il prodotto di una esigenza che si stava manifestando in ambito sociale collettivo bensì un’idea unilaterale calata dall’alto da una oligarchia aristocratica. Nessuno ha chiesto il Fiscal Compact, nessuno ha chiesto l’austerità come forma di scambio economico, nessun ceto, gruppo sociale, nazione o popolo ha chiesto ciò che invece è stato imposto provocando, in Italia,  la più grave recessione e crisi economica degli ultimi 70 anni.

Queste decisioni sono state prese, in Italia, secondo un’alleanza consociativa tra i rappresentanti della destra e i rappresentanti della sinistra. Romano Prodi e Silvio Berlusconi sono stati i due padri nazionali che hanno varato, gestito e imposto una idea del mondo, della società e quindi delle esistenze individuali, il cui risultato è sotto gli occhi di tutti. Ma negli ultimi tre anni è accaduto un fatto per loro imprevisto, se pur prevedibile. Il nuovo sistema di comunicazione ha consentito lo scambio di notizie a una gigantesca moltitudine di persone che hanno cominciato a dibattere, discutere, confrontarsi, finchè si è arrivati a un punto nodale: le persone hanno incorporato l’idea –nel senso che l’hanno davvero capito- che quella legiferazione era una forma blanda di dittatura oligarchica e hanno iniziato a ribellarsi. E poiché le dittature vivono di consenso e di ideologia, quando il consenso cade e la gente capisce che quei simboli, quei feticci, quei collanti, non sono altro che una “finizione rituale”, allora il sistema s’inceppa e il meccanismo automatico si blocca.

Al di là delle zuffe quotidiane tra Berlusconi e i magistrati, tra il movimento a 5 stelle e il PD, tra fautori dell’uscita dell’euro e suoi antagonisti, l’unica vera notizia (che anche i più riottosi cominciano a comprendere) è che ci troviamo davvero all’inizio della fine di un sistema. Non a caso, salta proprio nel suo ganglio istituzionalmente più debole: la Repubblica Italiana, ovvero la democrazia più fragile di tutta l’Europa occidentale, la più ipocrita e corrotta, la più medioevale, la più inattendibile; e quindi quella che presta maggiormente il fianco alla esplosione delle contraddizioni di un meccanismo che non funziona più.

Questa era una premessa. E finisce qui.

Tutto ciò che ho scritto finora è una sintesi piatta e banale, piena di considerazioni che, per la maggior parte dei lettori, sono ormai ovvietà ben digerite.

Appunto.

Le cose sono davvero cambiate, perché è cambiato il quadro di riferimento.

Soltanto due anni fa sarebbe stato impensabile che la Corte Costituzionale tedesca dichiarasse il fiscal compact non legittimo.
Così come un anno fa sarebbe stato impensabile il fatto che la Francia -come annunciato un mese fa- rivedrà l’accordo perché non ha nessuna intenzione di rispettare i termini entro il 2014.
Così come sei mesi fa sarebbe stato impensabile –direi inconcepibile- l’idea che il M5s sarebbe diventato il primo partito votato dagli italiani, con il PD a inseguirlo nella atroce e suicida strategia di convincerlo a sottoscrivere un patto di governo.
Così come dieci giorni fa sarebbe stato impossibile da credere che potesse essere autentica la dichiarazione di Sposetti, nota figura politica italiana di persona per bene, tesoriere dei DS dentro al PD, un cittadino che vanta 40 anni di militanza politica attiva, prima nel Pci poi nei DS e infine nel PD, il quale ha dichiarato che se lui avesse adesso 20 anni “molto probabilmente, per non dire quasi certo, avrei votato per Grillo, anche se, nella mia posizione, non lo dovrei dire, però è così”.

Cambiano i parametri di riferimento.
E noi ancora non siamo in grado di rendercene conto perché siamo dentro alla Storia mentre si sta manifestando, ed essendone parte integrante non ci accorgiamo di ciò che davvero accade.

Questo è il post-Maya, di cui stiamo assaggiando i primi vagiti.

Quello annunciato da Evo Morales, il presidente della Bolivia, in una sua dichiarazione all’Onu lo scorso ottobre, soltanto 6 mesi fa, quando dichiarò che “il 21 dicembre del 2012 noi celebreremo la fine del capitalismo così come lo abbiamo sempre visto manifestarsi, ed entreremo in una nuova fase della Storia in cui si esprimerà la volontà collettiva di essere cittadini e non più sudditi, di cominciare a distanziarsi dalla avidità, dal danaro come centro dell’esistenza, per andare a costruire un’idea di comunità che si occupi dei beni comuni nell’interesse generale di tutti”. In Europa gli risero appresso e il suo intervento all’Onu non venne neppure diffuso come notizia. Si pensava che si trattasse di una idea balzana, a metà tra un singulto New Age e un delirio demagogico populista. Non c’è da stupirsi, quindi, che nessun media italiano –che io sappia- abbia dato la notizia di ciò che Evo Morales ha fatto il 9 marzo 2013, non appena rientrato in patria da Caracas dove era andato per il funerale di Hugo Chavez.

E’ un atto importante perché segna la cifra di ciò che sta accadendo nel continente sudamericano, ormai dichiaratamente lanciato in uno scontro aperto contro le politiche di sfruttamento del Fondo Monetario Internazionale, per condurre una battaglia politica e civile a nome di tutti. Anche di noi europei.

L’8 marzo, due giorni fa, in Italia, in occasione della festa della donna, tutte le reti televisive hanno trasmesso per tutto il giorno notizie, documentari, interviste, intrise di una piatta retorica, inutile quanto obsoleta, nel tentativo di presentare l’Italia come una nazione all’avanguardia sul piano dei diritti civili e dell’equa opportunità di genere.
Le stesse reti hanno scelto di non diffondere né la notizia né il discorso di Evo Morales alla nazione boliviana. Il presidente boliviano ha annunciato di aver varato una legge dello Stato che “riconosce il reato di femminicidio come attentato contro l’umanità” punendolo con la pena di 30 anni senza attenuanti. Non solo. Ha istituito anche –per la prima volta nella Storia e primo paese al mondo- il reato di “delitto mediatico contro la donna”. Nella promulgazione della nuova legge sul feminicidio (composta di ben 100 articoli) si legge “la violencia feminicida es una acción de extrema agresión, que viola el derecho fundamental a la vida y causa la muerte de la mujer, por el hecho de serlo, y en este sentido tiene que ser reconocido como un delito contra la humanidad” (trad.: la violenza femminicida è un’azione di aggressione estrema, che viola il diritto fondamentale alla vita e provoca la morte della donna per il solo fatto di essere tale, e quindi deve ascriversi come delitto contro l’umanità).

La legge comprende la punizione dell’atto fisico, ma anche quello psicologico, il danno simbolico, sessuale, patrimoniale, e per la prima volta viene introdotto il concetto di “delito mediatico” laddove, la nuova terminologia indica con accurata precisione “la perdurante e costante visione di un’idea della femminilità abbrutita che offre una immagine della donna come merce sessuale di scambio degradando la sua umanità di cittadina, che ha il diritto legale di essere considerata alla pari del maschio perché va identificata prima di ogni altro aspetto come persona”.

Alla presentazione pubblica della nuova legge hanno partecipato centinaia di rappresentanti di organizzazioni femminili e femministe di tutto il continente americano (circa una decina proveniente dagli Usa) e i rappresentanti dell’osservatorio sui diritti civili dell’Onu che ha definito la Bolivia “insieme all’Argentina, Uruguay, Chile, Ecuador e Brasile, il gruppo di nazioni al mondo che più di ogni altra in assoluto hanno accelerato il processo legislativo in materia di diritti civili”.

Mancavano soltanto le rappresentanti delle organizzazioni europee.

Laggiù, in Sudamerica, le nazioni, gli stati e i popoli, già da molto tempo si sono gettati nel post-Maya dichiarando guerra al concetto di sudditanza, varando una serie di leggi che riconoscono sempre di più il rispetto dei diritti civili a una fetta sempre più ampia di umanità. Per i sudamericani le nuove severe leggi contro la violenza ai danni delle donne sono un momento della più vasta lotta contro le politiche di austerità e di schiavizzazione volute e varate dal Fondo Monetario Internazionale in connubio con la BCE.

La Storia cambia pagina.

L’impatto, a breve, comincerà ad arrivare anche da noi.
Il nostro paese, così come il resto d’Europa, è pronto ormai per una stagione esaltante di nuove leggi.
E’ ciò di cui abbiamo bisogno.
Prima fra tutte la revisione del Fiscal Compact, la ben congegnata truffa che è all’origine del disagio collettivo sociale nel nostro continente alla deriva.

Sergio Di Cori Modigliani
Fonte: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it
Link: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/03/parole-comportamenti-leggi-un-altro.html
10.03.2013

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