DI CARLO BERTANI
Cara Lea, cara figlia mai nata,
questa mia vorrebbe essere una lettera ma già so che sconfinerà inevitabilmente nel diario, perché è trascorso tanto tempo dalla tua nascita mai avvenuta, e abbiamo un sacco di cose da dirci.
Anzitutto, vorrei rassicurarti: stiamo tutti bene, come tranquillizzava tutti noi Marcello Mastroianni – in un celebre, quasi omonimo film – recandosi in visita ai figli.
Quelli che sarebbero stati tuo fratello e tua sorella “grandi” già lavorano, dopo essersi diplomati e laureati. Lavorano…cioè…ci provano ma tu, dal Regno del Mai Nato, queste cose le sai in un battito d’ali di farfalla: anche il loro lavoro è fragile e impalpabile come la vita delle farfalle. Chissà se ci sono le farfalle là, dove sei tu, ma tanto tu sai cosa sono.
Quelli che sarebbero stati tuo fratello e tua sorella “piccoli”, invece, studiano e tentano di credere che al termine delle loro fatiche qualcuno avrà bisogno di loro, di quello che hanno imparato, di quello che sono, semplicemente, come esseri umani. Ci provano, ma aspettano con timore il momento della verità.
Noi due – ovvero quelli che sarebbero stati il tuo papà e la tua mamma – cerchiamo di tirare avanti e d’aiutare, come possiamo, i ragazzi a credere ancora in qualcosa perché siamo coscienti che, anche se tutto sembra contraddirci, se viene a mancare anche la fiducia in se stessi il crollo è sicuro. Facciamo – o forse, meglio, recitiamo – semplicemente la nostra parte.
Quelli che sarebbero stati i tuoi nonni so che li conosci oramai quasi tutti, perché sono tornati lì da te, e avrai senz’altro avuto modo di chiacchierare con loro: hai visto che bravi nonni avresti avuto? Erano persone semplici, che ci avevano insegnato il valore della rettitudine e della solidarietà con l’esempio: ti avranno raccontato della loro vita nelle fabbriche e nei campi, delle loro speranze per un mondo che non dovesse rifiutare un piatto di minestra e un letto d’ospedale, alla bisogna, a nessuno.
Probabilmente, stanno meglio lì da te, perché quello che è toccato loro d’osservare negli ultimi anni so che li amareggiava: non riuscivano a capire perché – loro che erano vissuti pensandosi quasi ricchi in un mondo con meno cose – dovevano sentirsi poveri in un altro, quello dove le cose sono tante, vorticano, cambiano, si sostituiscono con altre cose sempre diverse, ma non si riesce ad essere sereni, figuriamoci felici. Ho qualche difficoltà a spiegarti i loro dubbi, perché nemmeno io riesco a capire la cosa nei particolari: spero che lì, da voi, sia tutto più chiaro.
Forse, quello che faceva soffrire i tuoi mai nonni, era osservare come gli anziani fossero tenuti in così poco conto. Erano abituati a riconoscere nel nonno, nella vecchia zia, nel lontano cugino che viveva con loro nelle grandi case di un tempo, un valore di saggezza e d’amore familiare: quando la famiglia era qualcosa di un poco diverso dal microcosmo (scusami la parola difficile) al quale siamo abituati. Se non c’era la mamma t’aiutava la zia, e il nonno ti portava a passeggio raccontandoti mille storie, dalle quali imparavi un sacco di cose.
Soffrivano poi nel vedersi soli – sapendo d’attendere solo la morte – nei loro minuscoli appartamenti di periferia: inorridivano certo – ma non lo facevano mai capire – quando il giornale scriveva che un anziano era stato ritrovato, morto, dopo mesi.
La loro unica compagna era, da tempo, la televisione, dalla quale ricevevano soltanto la copertina patinata di un mondo che non comprendevano più. Risi, lazzi, maleducazione, ostentazione: l’opposto rispetto a quanto avevano ricevuto dalla loro educazione.
Osservavano anche, passando per strada, i volti dei nuovi emigranti: gente che giunge da terre lontane, che nemmeno loro sapevano con precisione dove fossero, perché a quei tempi non c’erano i soldi per comprare l’atlante. Ci s’accontentava dei racconti di qualche zio che aveva fatto la guerra lontano, oppure quando tornavano in visita ai parenti quelli che erano andati in America tanto tempo prima, che non sapevano più parlare l’italiano ed utilizzavano solo il dialetto.
Eppure, guardando quelle famiglie numerose che si recavano – tutti insieme – al mercato e poi tornavano carichi di sporte della spesa, penso che non potessero fare a meno di tornare indietro nel tempo, quando anche noi eravamo tanti, e per comprare un paio di scarpe s’andava tutti insieme al mercato. Perché un paio di scarpe era un paio di scarpe, mica la pubblicità di un marchio.
Dalla televisione, però, tuonavano che quelle non erano vere “famiglie” perché consideravano “familiari” anche i lontani parenti: no…la famiglia è solo quella cosa con il papà e la mamma, al massimo due figli, che paga il mutuo per la casa, le rate della macchina, compra cibo-schifezza nei supermercati-plastica e butta tutto in strada, per alimentare gli inceneritori-energia e gli assessori-banditi. Senza discutere.
Loro, però, ricordavano famiglie numerose dove il cappotto passava da un fratello all’altro, dove la vecchia nonna rammendava, dove non si buttava nemmeno lo zerbino. Si fermavano, in strada, per osservare l’albero di ciliegie di un giardino e stimavano quanti giorni mancavano alla maturazione: raramente sbagliavano.
Non capivano, però, perché ci si dovesse interrogare su quanti anni mancavano all’esaurimento del petrolio: sapevano, dalla loro saggezza, che tutto ciò che la natura non rigenera è destinato inevitabilmente ad estinguersi. Allora, perché crucciarsi? Meglio tagliare il bosco, che quello ricresce – pensavano loro – miseri, poco acculturati tapini.
Non so – Lea – come siamo giunti a questo punto: qualcuno sostiene che dopo vent’anni di TV spazzatura noi stessi siamo diventati spazzatura, altri che tutto sia deciso da poche persone che comandano l’intero pianeta, altri ancora che sia tutta colpa della Cina, degli USA, d’altri ancora…
Forse tu, che hai il privilegio d’osservare i millenni in un battito d’ali, avrai senz’altro una risposta: io non ce l’ho.
I giovani guardano meno Tv degli anziani, eppure non sono meno maleducati, quando comandava la nobiltà erano sempre in pochi a decidere, ma non c’era il senso di perdita d’identità che oggi viviamo. L’Oriente già c’era e, fino al 1500, superava l’Europa per quantità di cose che riuscivano a fabbricare. Gli USA sono stati anche gli USA di Roosevelt, il quale predicava che “anziani e disabili dovevano essere a carico della collettività”. Sai com’è andata a finire.
No, non riesco a trovare una sola risposta, e nemmeno credo che una sola risposta ci sia, ma un dubbio, sempre più, m’assale.
Sai quanto ti avremmo desiderata – Lea – e non sei venuta, ma oggi non è più un cruccio: pensarti giovane, sottoposta a questo mare in tempesta di pessime emozioni che giungono da tutti i quadranti, mi fa paura. Cosa ti potrei raccontare? Cosa ti potrei assicurare?
Se i tuoi mai nonni sono lì da te, parla con loro – cara, tenera Lea – e fatti raccontare da loro qualcosa di meglio di quanto potrei narrarti io. Chissà, forse un giorno ci conosceremo, e potrò abbracciarti.
Il tuo mai papà
Carlo Bertani
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www.carlobertani.it
http://carlobertani.blogspot.com/
19.05.08