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Si riprende a giocare ? Sì ma a quale gioco veramente ?

DI GABRIELE ADINOLFI
Noreporter

Sono giorni che ci riempiono il cranio con la zuffa mortale di Catania. I media lo fanno, come al solito, a modo loro. Un po’ per servilismo, un po’ per seguire il piano dei padroni delle proprietà, ma molto, moltissimo, per oscenità intrinseca, ci propinano lacrimucce da coccodrillo, sensazionalismi da bassa lega, allarmismi degni di ben altra causa, luoghi comuni ritriti ed angelizzazioni stonate e poco dignitose. E già solo questo dovrebbe darci la misura del putridume intellettuale che, quasi come una legge del contrappasso, si abbatte su coloro che, come noi, vivono in un’era di eccesso di informazione superficiale. Un’informazione pandemica e così priva tanto di profondità quanto di durata da sembrare un insieme frenetico di sveltine comunicative. Quel che preme, però, non è entrare nel delirio massmediatico bensì capire dove esso tende. E, al tempo stesso, comprendere le ragioni sociologiche, culturali e politiche che sono all’origine di tutto il baraccone grottesco ed umiliante che ci viene imposto dalle vestali dell’imbecillità.
Gli ultrà

Iniziamo dalla fine, ovvero dagli ultrà. Oggi, nella commedia massmediatica, essi sono i cattivi, i malati, i pericolosi dai quali guardarsi. Un po’ come era in passato (e non solo in passato!) per gli anarchici o i fascisti. Così i facinorosi del calcio si trovano a vestire i panni del diavoletto, quello sul quale – secondo la filosofia che in alcuni popoli mediorientali produsse l’idea di capro espiatorio – si concentrano tutte le attenzioni irose di una collettività disordinata e isterica che vi esorcizza il proprio disordine culturale e spirituale e la propria inconsistenza endemica.

Tribalismo urbano

Se tale è il ruolo oggettivo di vittima sacrificale assunto dagli ultrà, ciò non significa che questi ultimi siano angioletti o che rappresentino un modello sociale positivo. Sono a loro volta il frutto della società dis-sociata e spettacolare, rappresentano espressioni di tribalismo urbano che cercano di colmare il vuoto esistenziale moderno tramite surrogati clanistici e bellici. Ovvero provano a ritrovare il senso identitario e sociale smarrito e ad assumere la repressa bellicosità – che in stato naturale è cosa sana e creativa – in un senso di appartenenza che si vuole facinoroso, “antagonistico” e troppo spesso teppistico che fa leva sul calcio inteso come conflittualità. Non sto facendo il solito discorso paternalistico della sinistra d’antan; ovvero non pretendo di risolvere tutto dicendo: “sono vittime della società”, ma ritengo essenziale inquadrare il problema nella sua connotazione reale. Quando sento dire che “non si può morire per una partita di pallone o per una squadra di calcio” non posso che condividere questo buon senso qualunquistico, ma il problema è che esso non coglie affatto quello che significa per l’ultrà essere ultrà. Ovvero per un giovane lasciato colpevolmente senza riferimenti dalle sue élites sociali, trovare un branco, un capobranco, un’appartenenza e una bandiera.

Non c’è poi questa differenza

Sbagliato è quindi liquidare gli ultrà come semplici teppisti un po’ folli che vivono al margine del calcio e che devono essere neutralizzati al più presto. Essi sono un’espressione compensatoria della centrifuga socioculturale cui siamo soggetti. Non sono peggiori delle così esaltate pacifiche famigliole che si dedicano al calcio da spettatori satolli della domenica, fruitori passivi del gladiatorio talk show con cui le vestali dell’informazione/spettacolo imbottiscono settimanalmente i giochi circensi per plebi in pantofole. Potrebbero persino essere migliori di questi insetti/mammiferi se la cultura del teppismo non si sovrapponesse all’apparente vigoria, se la lealtà non si andasse spesso smarrendo nello stato di folla e se traffici illeciti di canne e cocaina non s’immischiassero nel groviglio di uomini e colori. Ma non c’è poi tanta diversità da altri agglomerati sociali e culturali, anche raffinati, della nostra società disarticolata, robotizzata e preda del crimine del capitale.

C’è polizia e polizia

Insomma la diabolizzazione degli ultrà è funzionale, superficiale e pretestuosa; questo non significa che sia corretto rovesciare l’assunto, ma che lo si debba rifiutare sì. Lo stesso vale per l’altra parte dello specchio. Se vogliamo fotografare quel che accade dall’altra parte dell’asfalto nello spettacolo circense domenicale, è francamente impossibile sostenere che la polizia sia quel guardiano della pace e della tranquillità che ci presentano i media. Chi, come me, frequenta gli stadi perché ama il calcio e lo fa con il medesimo spirito degli anni gioiosi di quando, pur divisi da profonde passioni politiche, eravamo un popolo e una società, ha assistito tante volte a provocazioni violente, a sopraffazioni, ad aggressioni senza ragione su ragazzi, donne, vecchi, bambini. A spari improvvisi e criminali di lacrimogeni su folle pacifiche (ho chiarissime le immagini di un Roma-Juventus del 1975), ad assalti vigliacchi, a sopraffazioni impunite, ad operazioni così incomprensibili che viene il sospetto siano teleguidate. E penso al famoso derby sospeso nel 2004 che solo per un miracolo non si tramutò in tragedia e che fece saltare il decreto salvacalcio previsto per l’indomani.

Le vere funzioni non sono quelle apparenti

Angelizzare la polizia è assurdo così come il diabolizzarla. E lo stesso vale per gli ultrà. La valutazione non può essere che variabile, dipende sempre dai singoli casi, dai comportamenti degli individui e da quello dei responsabili. Comprendo la logica di quelli che si dicono che la polizia è una necessità pubblica e gli ultrà non lo sono. In linea teorica avrebbero ragione, ma, una volta ancora, non si rendono conto di come le cose stanno veramente. Di come la società oligarchica e dis/sociata si fondi sul disordine organizzato e utilizzi le stesse istituzioni per mantenere in vita il conflitto, il disagio e tutte quelle forme di traffico lecito e illecito per fornire oppiacei e circo alle masse e agli innumerevoli individui/massa.

Come vorrebbero “risolvere”?

Per tutte queste ragioni, al di là della nausea dello spettacolo stucchevole fornitoci dai media, del disgusto delle sentenze qualunquiste e demagogicamente forcaiole dei Paolo Liguori, dello sgomento per i funerali in diretta per Raciti morto in una rissa e che invece nessun agente caduto per una propria diretta azione di difesa di un inerme avrà mai, non possiamo che chiederci cosa mai voglia fare il potere istituzionale (politico e sportivo) per “risolvere” un problema irrisolvibile.

Si gioca

Come possono mai trasformare il calcio se non iniziando con l’imbavagliare i giornalisti e gli opinionisti, restituendo le trasmissioni a vere emissioni tecniche anziché far perdurare questi vomitevoli, interminabili compiacimenti di agit pop e veline opinioniste che eccitano senza sosta tutti gli istinti peggiori dell’omuncolo? Come possono mai modificare il fenomeno se non sottraendolo alla dittatura degli sponsores e delle telecamere? Ma è chiarissimo che nessuno pensa di fare così, anzi è nella direzione opposta che si va, e volutamente. Altrettanto volutamente non si prenderanno decisioni efficaci ma solo chiassose e demagogiche. Come potrebbero altrimenti conservare l’effetto circense, sul quale si fonda l’intero Nuovo Ancien Régime oligarchico, impareggiabile sfruttatore delle perversioni della società/spettacolo, per mantenere il popolo diviso e suddito, ovvero privato di ogni dignità cittadina? Come potrebbero altrimenti utilizzare il doppio collante psicologico sul quale, come giustamente aveva denunciato Wenner, si fonda la società oligarchica: ossia la guerra civile (nello specifico tra vari ultrà e tra questi e polizia) e il terrore diffuso che ci spinge a chiedere protezione agli stessi che ogni giorno ci spogliano e ci sfruttano? E che, forti della nostra reiterata sottomissione ci sfrutteranno e spoglieranno ovviamente di più.

Tutto questo è di primaria importanza per chi deve prendere le decisioni. Questa è la ragione per la quale le misure saranno decise effettivamente da incompetenti animali da cortile, da geni alla Melandri. Perché il problema non deve essere risolto ma dev’essere semplicemente enfatizzato. Così, cogliendo al volo l’occasione fornita dalla morte di Raciti, si farà in modo che qualche centinaio di migliaia di insetti/mammiferi rinunci ad andare allo stadio e si abboni alle reti private che fanno sempre capo alle medesime famiglie che comandano governo, sport e polizie. E ovviamente si capitalizzerà il reality show di questi giorni per far accettare senza alcuna reazione qualche ulteriore misura di controllo quotidiano delle vite di noi sudditi.

Palla al centro, si gioca! Con noi.

Gabriele Adinolfi
Fonte: http://www.noreporter.org/
Link: http://www.noreporter.org/dettaglioArticolo.asp?id=8203
07.02.2007

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