DI ROBERTA MARINO
Liberazione
Sono decine i casi in cui cavalli, cani e persino buoi rischiano la vita in queste manifestazioni
Il Palio di Siena non è l’unico nell’occhio del ciclone per le accuse di maltrattamento. Solo due anni fa un’altra analoga corsa a Ferrara si è trasformata in una gara insanguinata con due cavalli morti e uno ferito a causa del terreno inadatto per la competizione. Proprio il 2006 è stato sicuramente l’annus horribilis per corse e palii: un cavallo morto al Palio di Floridia (Siracusa) durante la gara su asfalto; al Palio di Belpasso (Catania) è morto un cavallo schiantatosi contro un’auto in sosta, ferendo anche alcuni spettatori; in quello di Piazza Armerina (Enna) un cavallo è morto e un altro è rimasto ferito; nella corsa per la Giostra del Saracino al Palio di Fucecchio (Firenze) un cavallo morto così come a quello di Servigliano (Ascoli Piceno); due, infine i cavalli che hanno fatto una pessima fine al Palio di Feltre (Belluno).
In attesa del palio del 17 agosto, in quello del 2 luglio a Siena, tutto è filato liscio. Solo una caduta ma nessun cavallo, nessun fantino feriti. In passato (senza andare nemmeno troppo in là nel tempo) non è andata però sempre così: dal 1970 al 2007, sono 48 i cavalli rimasti uccisi (durante la gara o abbattuti subito dopo, lontano dalle telecamere) e molti altri sono rimasti feriti. In media tre cavalli morti ogni anno: ecco perchè, quella che da sempre è considerata una manifestazione di grande rilievo storico-culturale è diventata oggetto di critiche e forti polemiche. Dietro una parvenza di festa si cela infatti una gara rischiosa, fatta di cavalli veloci ma troppo fragili e delicati (i mezzosangue e non più i robusti toscani usati nelle prime edizioni) e per questo dopati e “drogati” da farmaci, di curve strette e spigolose che solo dopo innumerevoli proteste sono state rese – in parte – meno pericolose, di tempi di percorrenza sempre più rapidi (da tre a un minuto) per rendere la corsa spettacolare. Il risultato è, ogni anno, un terno al lotto per la sorte degli animali.
Da competizioni spettacolari le corse si trasformano quindi in gare all’ultimo sangue: al Sud, poi, il fenomeno è aggravato dalla presenza della criminalità organizzata e da scommesse clandestine. Non sono però solo i cavalli gli sfortunati protagonisti di questo fenomeno: soprattutto nei piccoli paesi, altri animali come asini e buoi (assolutamente inadatti) sono costretti a cimentarsi in corse su terreni impervi, con percorsi lunghi e faticosi, trasportando pesi ingenti e non di rado pungolati o picchiati dal pubblico in visibilio. Sono manifestazioni quasi sempre legate a sagre dedicate a patroni e santi: è il caso, ad esempio, della tristemente famosa corsa di Chieuti (in provincia di Foggia) ad aprile. In occasione dei festeggiamenti per San Giorgio Martire, coppie di buoi sono costrette a correre (contrariamente alla loro natura mite e lenta) per un percorso di cinque chilometri trainando un carro del peso di oltre 200 chili, pungolati ripetutamente con lunghi bastoni. Per i buoi di Mirabella Eclano (in Provincia di Avellino) c’è stata invece la svolta: per anni nel giorno della Festa del Carro (il terzo sabato di settembre, in onore della Madonna Addolorata) sei coppie di bovini hanno trascinato carri stracolmi di fieno e paglia con il tempo sostituiti da un gigantesco obelisco del peso di 100 quintali. Dopo innumerevoli proteste, al posto degli animali (destinati sempre al macello perchè dopo la corsa perdevano circa cinquanta chili a causa dello sforzo) adesso ci sono i trattori.
Cavalli, asini, buoi: nemmeno il migliore amico dell’uomo, però, si salva dalla follia scatenata da sagre che ricordano l’epoca medioevale. Solo lo scorso 22 giugno, infatti, a Riva di Chieri in provincia di Torino, in occasione della festa di S. Albano, due pastori tedeschi sono stati costretti a trascinare un carro su un percorso lungo più di due chilometri.
Un’altra polemica ormai decennale è quella che riguarda la Festa della Palombella di Orvieto. Si tratta di una rievocazione antichissima: da secoli il giorno della Pentecoste a mezzogiorno nella Piazza del Duomo di Orvieto una colomba bianca viva viene fissata in una raggiera metallica circondata da fumogeni. Al segnale del vescovo la colomba viene fatta scorrere a forte velocità per 300 metri dal campanile della Chiesa di San Francesco fino al sagrato del Duomo: al suo arrivo, migliaia di petardi vengono fatti esplodere terrorizzando l’animale che per natura è particolarmente sensibile.
Anche in questo caso, come per Mirabella Eclano, le proteste hanno sortito qualche piccolo risultato: la colomba nelle ultime edizioni non è più legata ad ali aperte ma è inserita in un tubo di plexiglass trasparente. Fumogeni e petardi però restano, così come il frastuono e la paura cui è sottoposto l’animale.
In certe occasioni, poi, l’animale viene ucciso appositamente per la sagra: come nella Giostra Medioevale di Tonco, in provincia di Asti, nella quale alcuni uomini a cavallo muniti di bastoni cercano di colpire un tacchino morto appeso a una fune cercando di staccarne la testa, il “trofeo” della gara. Il vincitore che riesce a decapitarlo per primo potrà poi ulteriormente infierire sul cadavere.
Solo pochi anni fa il tacchino era vivo e moriva dopo le sofferenze e lo strazio dei colpi inferti mentre adesso si “preferisce” ucciderlo pochi muniti prima dell’inizio della Giostra. Il fatto che l’animale sia già morto fa sì che – anche in questo caso – non valgano più le disposizioni sui maltrattamenti previste dalla legge 189 del 2004. In base alla normativa infatti è punito con la reclusione (da tre a diciotto mesi) chi causa la morte di un animale per crudeltà o senza necessità, con una multa (da 3mila a 15mila euro) o la reclusione (da tre mesi a un anno) chi causa una lesione o lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili o ancora somministra sostanze stupefacenti o sostanze vietate; e, infine, chi organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3mila a 15mila euro.
In realtà però (come accade spesso), “fatta la legge, si è trovato l’inganno”. Adducendo la scusa dell’importanza storico-culturale, le amministrazioni comunali riescono a bypassare qualsiasi divieto normativo e continuano a inferire sugli animali con anacronistici riti sacri e pagani. E quindi non resta che sperare che si accorgano di non essere più nel Medioevo…
Roberta Marino
Fonte: http://www.liberazione.it/
02.08.2008