DI FULVIO GRIMALDI
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Amnesty, amnistie e amnesie
C’è gente tanto candida quanto in buonafede e quanto bisognosa di consolazione che resta sbigottita, se non irritata, quando metto in dubbio le verità di Amnesty International. Invece l’organizzazione umanitaria dai quartieri generali anglosassoni, fatti salvi alcuni attivisti in luoghi non contaminati dalla pseudocultura democraticistica e dirittoumanista, quindi nord-centrica, è la più archetipica espressione del cerchiobottismo. Cerchiobottismo viziato dall’equivalenza lessicale dei due termini che compongono la parola – ed è già questo un sintomo della sua ontologica ipocrisia – ma che è la faccia della medaglia soft rispetto al rovescio hard del principio imperialista dei due pesi e due misure. Cerchiobottismo significa invariabilmente un colpetto al cerchio e una mazzata micidiale alla botte. Non per nulla i vertici di Amnesty sono infarciti di ebrei, il che invariabilmente significa qualcosa, come confermano i dati non spuri e mai squilibrati dell’associazione umanitaria israeliana B’tselem.
Ieri l’organizzazione umanitaria ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani in 157 paesi. Ti pareva che non mettesse nello stesso piatto le autentiche insurrezioni contro i satrapi arabi, fantocci politico-militar-economici del Pentagono, delle banche e multinazionali occidentali, con i colpi di Stato commissionati a mercenari , fanatici indottrinati e vaticinatori del marchionnico mercato libero per predatori esteri? Ti pareva. La Siria dei cecchini super armati giunti da Arabia Saudita, Giordania, l’Iraq dei tagliagole e Libano, che sparano su folle e su poliziotti e forze dell’ordine, insieme al Bahrein dove gli stessi sgherri sauditi, stavolta in uniforme e con una brigata di tagliateste, stanno massacrando chi protestava contro il gaglioffo d’oro che custodisce la V Flotta Usa e nega pane e dignità. La Libia aggredita da briganti e fuorusciti corrotti agli ordini della Cia, che vogliono consegnare agli avvoltoi occidentali il petrolio, l’acqua, la libertà, il benessere di quel popolo, insieme allo Yemen dove un tirannello assoldato 32 anni fa dalla Cia (e perciò mi espulse dal paese avendolo io descritto come l’ispiratore del golpe che costò la vita a un saggio presidente progressista e patriota) da tre mesi decima a fucilate la popolazione insorta. Con l’occasionale contributo di qualche Cruise sterminatore di villaggi e con la perenne presenza, qui come ovunque, degli squadroni della morte occidentali chiamati “forze speciali”.
Ma qui, come in Bahrein e in altri luoghi cari all’Occidente e insopportabili per la gente che ci vive, niente “intervento umanitario per salvare i civili massacrati dal loro presidente”. Invece “interventi umanitari”, sotto forma di sanzioni, embarghi, scatenamento di criminali di ventura (le “rivoluzioni colorate sono finite fuori moda per loro inefficienza) e, se non risolvono, carneficina bombarola, contro governi infinitamente più giusti, sostenuti dalla maggioranza della popolazione, che ha gioco facile a confrontare la propria condizione con quella abietta dei principati vicini, in rianimazione occidentale.
Amnesty non ha dubbi – come non li aveva il sorosiano (ebreo sionista) Human Rights Watch quando, confortato dal postribolo mediatico, sparava al terzo giorno del golpe di Bengasi i suoi “10mila morti” e le sue “fosse comuni” – nel suo andirivieni scilipotiano tra guerra no, ma anche sì,quando ce vo’ ce vo’, e nel sostegno a quell’arnese da sceriffo del West che è la Corte Penale Internazionale, dotata di escort come Del Ponte, Cassese e Ocampo. Una parodia di tribunale che non ha mai incriminato uno dei tanti macellai del Nord-Mordor, dalla Serbia all’Iraq, dall’Afghanistan alla Palestina, dal Darfur al Pakistan, dalla Somalia allo Yemen, dall’Honduras ad Haiti. I ”crimini di guerra sono tutti di Gheddafi “, “la guerra è una questione problematica” (anche quando si tratta di omicidi seriali extragiudiziari a forza di missili all’uranio). Ai briganti di Bengasi solo un buffetto un po’ accigliato. La pia Christine Weise, capa ebrea (il che può significare niente, o tutto) esprime in termini lirici: Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità. E intanto la candela di Amnesty brucia la vita dei giusti in Libia e la sua oscurità avvolge quanto di orribile i protetti degli umanitari alla bomba commettono sul terreno. Mussa Ibrahim, portavoce del governo legittimo di Tripoli, mi aveva mostrato i documenti che rivelavano quante volte, dall’inizio della ribellione, aveva chiesto ad Amnesty e a Human Rights Watch (per la quale non sono le stragi da droni e F16 che ammazzano più civili in Afgh-Pak, bensì i talebani, e “il manifesto” concorda) di recarsi nei territori controllati dal governo e di accertarsi direttamente di cosa succeda sotto l’ordine di servizio Nato “Gheddafi ammazza i civili”. Neanche hanno risposto. Alla fine è arrivata una commissione di Ban Ki-Moon, quello che si era entusiasmato per la risoluzione stragista 1973, ad annusare un po’ in giro. E il pupo coreano del puparo imperiale ne è stato costretto a invocare un “immediato cessate il fuoco”. Lo invocava, flebile, davanti a una platea di assassini con il pugnale tra i denti, le ossa incrociate sul cilindro, le orecchie tappate dal dolce sibilo dei Cruise e dei Tomahawk da mezzo milione.
Avessero avuto, gli amnistiatori a tanto al chilo di Amnesty, sotto gli occhi i videodocumenti che ho visto io a Tripoli, quelli di Bengasi e di tanti luoghi occupati dagli ascari di Hillary e Frattini, quelli della caccia all’operaio nero rastrellato, torturato, ucciso, dei soldati e civili gheddafiani catturati, costretti a ingurgitare in ginocchio carne putrefatta di cane, insultati, picchiati, giustiziati con colpo alla nuca, sgozzati in pubblico tra urla di giubilo, impiccati sulla pubblica piazza, arrostiti e appesi a brandelli sui palazzi, i bambini-soldato (attribuiti a un Gheddafi che ha dietro di sé il 90% del popolo libico in armi) che pullulano, con armi più grosse di loro, sotto i vessilli del vecchio re, tiranno e pagliaccio dei britannici! Potevano. Bastava andare a Tripoli, dove sarebbero stati serviti e riveriti, per un minimo di fact-finding mission , di accertamento dei fatti, come, con minori strumenti, abbiamo fatto noi. Ma non l’eletta schiera dei pacifisti e giornali di sinistra che resta al calduccio, avvolta nel plaid tessuto giornalmente e, per la verità, con la rozzezza e ripetitività di altre loro carneficine e rapine, da Cia, MI6 e tutta la banda della criminalità organizzata imperialista.
Amnesty vedeva, era l’aprile del 2003, ciò che vedevamo io e tutti in Iraq: decine di migliaia di civili in armi, militanti del Baath, soldati scampati alla mattanza dei “volenterosi” e fattisi guerriglieri, tutta gente che per anni era stata formata alla resistenza armata al nemico (vedi il mio docufilm Un deserto chiamato pace). Vedeva un popolo che difendeva la sua sovranità, libertà, dignità, livello di vita, contro barbari che avrebbero fatto impallidire Gengis Khan. Ma Amnesty, per la gioia di un esercito pirata, fuori da ogni costituzione e legge internazionale, emetteva questo verdetto: “Chi non veste un’uniforme militare, è da considerarsi fuori dalla legalità e terrorista”. Confetti regalati allo sposalizio tra menzogna e morte. Quello che ha poi riempito di ospiti Abu Ghraib, Guantanamo, Bagram e le carceri segrete della tortura nei paesi sicari. Oltre ad aver ammazzato 2 milioni di iracheni, 1800 cittadini Usa in uniforme e migliaia di mercenari privati, senza legge e senza colpa, e, guarda un po’, in borghese.
Ora invitate Amnesty, magari la signora Weise, dove organizzate le vostre belle conferenze e marce contro la guerra. Sotto la parola d’ordine “la guerra è brutta, ma Gheddafi è più brutto” vi ritroverete tutti candidi e in letizia.
Palestinesi non solo
Per i filo palestinesi d’Italia, quelli della prossima Flottiglia per Gaza, appena bruciata senza grandi clamori ma con forti contenuti dal “Convoglio Restiamo Umani”, giunto ieri a Gaza attraverso il valico di Rafah (riaperto grazie alla pressione dei rivoluzionari egiziani), il concetto che monopolizza ogni visione del mondo è: “non confondiamo l’oro col piombo”. Intendono: Gaza è una cosa, la Libia tutt’un’altra. Anzi, di Gheddafi rimasticano la trippa tossica che, spurgata dalle centrali della guerra-su-menzogna, gli cola sulla coscienza foderata di solidarietà con Gaza, scendendo per le anchilosate e contorte sinapsi dei gazzettieri e notabili di sinistra. Non ho nulla contro le spedizioni per sostenere le vittime dell’Auschwitz di Gaza (magari anche di quella cisgiordana, compagni!). Anzi! Le ho fatte anch’io (vedi il docufilm “Araba Fenice, il tuo nome è Gaza”) e conosco la pura passione e pietà dei suoi partecipanti. Ben vengano. Qualcosa ho contro le spedizioni per sostenere l’ego e la visibilità di quei galli del pollai che, prima ancora di prendersela con la volpe, si beccano fra di loro per chi risulti più degno delle attenzioni dei polli.
Hanno fatto, e faranno il 14 maggio, grandi manifestazioni per celebrare la loro imminente impresa e, immediatamente, vi si parano il culo biascicando il rosario di falsità contro Gheddafi insegnatogli al catechismo di Obama, filtrato dal “manifesto” e da “Liberazione”. Comprensibile: con la Palestina si rischia poco, perfino l’Onu, oltre all’opinione pubblica maggioritaria, il papa, Rossanda, qualcuno sul Corriere, magari qualche padano, hanno stillato gocce di compassione per le vittime (buone finchè si acconciano a restar tali) e spremuto qualche critica agli “estremisti di Israele”. Con la Libia di Gheddafi, visto che si dice le si rivoltino contro le stesse masse rivoluzionarie e democratiche di Tunisia ed Egitto e vista la concordanza ecumenica sulla satanizzazione del “dittatore pazzo”, il rischio è più grosso. Ne va della reputazione politico-etica, ne va della credibilità presso pacifisti e nonviolenti, ma anche matamoros e razzisti ontologici, ma anche Ferrero, Ferrando, Vendola. Ne va anche dell’agibilità: hai visto mai che La Rutta ti incrimini per “collusione con il nemico” e non ti faccia più fare nemmeno il filopalestinese?
Ciò che i bravi attivisti per Gaza hanno infilato in soffitta è il dato che tutto il mondo arabo è Gaza, è Palestina. Che Gaza arriva fino a Tripoli e Damasco. Che Gaza e Palestina sono stati fino a ieri la punta avanzata della campagna maltusiana per far fuori la nazione araba, da secoli ambita dai suoi popoli, da secoli anatemizzata e temuta dal colonialismo. E che oggi la punta avanzata della distruzione di questo progetto della natura e della storia, come della resistenza, sono la Libia e la Siria, insieme all’Iraq e al Libano. E lo sono, da un lato, le masse antimperialiste e antineoliberiste in rivolta nei paesi dei despoti allevati dall’Occidente, e dall’altro i popoli che, con i propri governi, difendono la loro antica rivoluzione e il loro antimperialismo. Come si fa a vedere solo l’albero e a ignorare la foresta, magari tenendo il moccolo ai piromani che la stanno radendo al suolo? Che razza di analisi geopolitica fanno questi monotematici da Zeitgeist imperialista? Su quale trespolo morale inalberano il loro spappagallare le trite demonizzazioni e le inversioni della realtà operate dal sistema di guerra? Ma come, a Gaza gli stanno sul piloro gli islamici di Hamas, forza decisiva dell’opposizione all’occupante stragista, mentre in Libia sbianchettano il nero-fumo-di-vittime- bruciate e coprono di fango e feci il laico Gheddafi. Quanto confuso opportunismo! Quanta opportunistica confusione. Gli è mai passato per l’anticamera del cervellino a tinte rosso-bianco-verde-nero che, fatta fuori la Libia con Gheddafi, si toglie un altro pezzo di impalcatura all’edificio del mondo libero (quello vero) nel quale abita anche la speranza di Gaza? Si inserisce un altra tessera nel mosaico africano-mediorientale che i boss vanno componendo, prima di mettersi a tavola. E che, completato quel mosaico, non ce ne sarà più per nessuno? Nemmeno per Gaza e gli ammiragli e mozzi delle sue flottiglie.
Quando fra qualche settimana le flottiglie si muoveranno, lo sanno i nostri capigita che dovranno attraversare la cortina di ferro, prima ancora di quella delle motovedette israeliane, delle flotte Nato che con centinaia di navi, aerei e missili, barricano l’accesso di viveri, farmaci e tutto a ogni centimetro quadrato di costa libica e, oltre a tirare cannonate sulla gente da quella parte per “salvare civili”, lasciano affogare in mare le donne, i bambini, gli uomini, costretti a fuggire dal paese da loro devastato? Gli basta davvero che gli si dica che tutto questo serve a ”salvare civili” dalla furia omicida di un demente che, per far crescere il consenso, decima il proprio popolo? Guardate che è solo dalle nostre disperate parti che un governante ottiene consenso trucidando, vuoi gli esseri umani, vuoi intelligenza, verità, decenza.
Barack Osama
Ha ragione un commentatore del mio ultimo post che della commedia macabra “l’esecuzione extragiudiziale di Osama bin Laden”, messa in scena dal serial killer Obama, l’obiettivo principale è il Pakistan da incolpare di complicità con lo zar del terrorismo e, quindi, da irachizzare e privare del controllo sul suo arsenale nucleare. Un altro Stato cuscinetto tra i necrofagi globali e la Cina da rimuovere. Infatti, nell’immediato questo crimine di guerra “buono” serviva a seppellire senza troppo rumore il figlio di Gheddafi e i suoi tre nipotini, extragiudiziariamente assassinati insieme ogni giorno a decine di civili “da salvare”, grazie al benefico intervento dei droni collaudati nello sterminio di cafoni pakistani, nel medio termine a stringere il cappio intorno a Islamabad e, in ogni tempo, a rinfocolare la minaccia del terrorismo mai domo e ora pure con la bava della vendetta alla bocca. Fenomeno utile all’inevitabile regime di polizia interno nel tempo della crisi degli innocenti e dell’abbuffata dei potenti. E per confermare l’assunto subito sono scoppiate bombe Al Qaida nei luoghi affollati da civili qua e là nel Pakistan. E noi sappiamo bene chi è il mandante di quelle bombe che disintegrano la società pakistana e forniscono le prove del libero imperversare di Al Qaida e affini (sempre Cia e Mossad). E’ lo stanco ripetersi della formula 11 settembre, metrò di Londra, treni di Madrid, mercati di Casablanca, moschee di Bali, piazze di Baghdad.
Quello che lascia attoniti – solo noi – è la incredibile rozzezza e faciloneria con cui la stessa regia allestisce queste farse. Del resto, passata sulla conoscenza-coscienza del pubblico come uno slittino quella delle Torri Gemelle e del Pentagono, dalla versione ufficiale colabrodo, perché ingegnarsi a curare meglio qualche dettaglio dell’eliminazione di Osama. Ci possono tranquillamente rifilare cinque, sei versioni diverse dell’accaduto, tirar fuori parenti testimoni in età infantile, far sminuzzare il cadavere dai pesci, ignorare le cento prove della scomparsa nel 2001 del diabetico in dialisi, al quale a Dubai il capostazione Cia portava le arance, offrire il videogioco di un Osama canuto e rimbecillito che si bea alle immagini delle sue prodezze giovanili, ripreso di spalle e di trequarti dove non riconosceresti neanche tuo padre, affiancato a un Osama talmente contraffatto e con naso finto da doversi inventare che si tingeva la barba, potevano far questo e di più e tutti ci sono stati, alternativamente sbigottiti da tanta cretina impudenza, o confortati da tanta destrezza tecnologica.
Gli è che questi barbablù non sentono il minimo bisogno di allertare un po’ di neuroni per fare un lavoretto a prova di Giulietto Chiesa, o di altri osservatori non ringrulliti, o impermeabili agli sversamenti orgasmatici di vestali obamiane come Giovanna Botteri, o Massimo Teodori. Attraversano oceani di melma sospinti dai bulldozer mediatici a loro venduti, di regime, o appaltati, di “opposizione”. Per i dubbiosi o increduli ci sono le lame rotanti dei Mazinga di Fleet Street, Times Square, Via Solferino, Cologno Monzese e Via Mazzini, da tempo coscienziosi distributori dei videogiochi della cleptocrazia occidentale. Il guaio è che poi ci sono quelli che nelle slot- machines ci infilano la monetina. Tipo Rossana Rossanda.
Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2011/05/pacifinti.html
13.05.2011