DI MARIO DEAGLIO
lastampa.it
Il bilancio dello Stato in pareggio, al quale siamo impegnati ad arrivare entro il 2013, non porta automaticamente alla ripresa economica; e le misure di aumento delle imposte e riduzione della spesa non portano automaticamente a un bilancio in pareggio, anzi, l’esperienza greca fa balenare il rischio che, a causa dei tagli eccessivi, il deficit si avviti su se stesso. Il mondo della finanza sta prendendo atto in concreto di queste amare verità e, per conseguenza, sposta il discorso dal deficit al debito: se riuscissimo ad abbattere il debito – come d’altronde ci impone, nell’arco di vent’anni, il «patto fiscale» sottoscritto in sede europea – si ridurrebbero molto gli interessi sul debito stesso e navigheremmo in acque più tranquille. Nascono di qui gli studi e le proposte rese note in questi giorni per ridurre sensibilmente il debito pubblico mediante la vendita di beni di proprietà dello Stato e di altri enti.Queste proposte vanno sicuramente nella direzione giusta, ma devono essere esaminate con molta cautela per non far sorgere aspettative che andrebbero troppo facilmente deluse. Prestano infatti il fianco a tre obiezioni molto serie che riguardano il prezzo di vendita, i tempi della vendita e l’opportunità stessa della vendita.
Per quanto riguarda il prezzo, è chiaro che i tempi di crisi non sono propizi per i venditori né sui mercati immobiliari né su quelli azionari. Ci si separa da un bene immobile a prezzi non ottimali, talora a prezzi stracciati; si vendono azioni a quotazioni non molto attraenti.
Sarebbe probabilmente più saggio, nell’ipotesi di una strategia di vendita, pensare a diluire questa politica in un arco di vent’anni, tanti quanti sono quelli del «patto fiscale».
Va inoltre considerato – ed è questa la seconda obiezione – che le vendite di beni pubblici non avvengono nello spazio di un mattino e neppure nell’arco di pochi mesi. Probabilmente occorrerebbe cambiare le leggi per accelerare le dismissioni di beni demaniali, mentre per molti immobili, a cominciare dalle ex-caserme, occorrerebbe prima modificare la destinazione d’uso e quindi i piani regolatori, per suscitare un vero interesse commerciale: tutte queste cose richiedono tempo e si inquadrano meglio in un discorso di lungo termine.
Infine, siamo proprio sicuri di voler vendere gran parte del patrimonio pubblico? Come dice un vecchio proverbio, «si vende una volta sola» e il depauperamento del patrimonio nazionale sarebbe un’altra spoliazione delle generazioni giovani, già chiamate a farsi carico del debito pensionistico. Occorre probabilmente decidere caso per caso: mentre è difficile trovare serie obiezioni alla vendita di una parte delle opere d’arte giacenti nei magazzini dei musei per finanziare il ministero dei Beni Culturali, sempre a corto di fondi, meno sicura sarebbe l’opportunità di disfarsi della quota pubblica dell’Eni, certamente molto appetibile sul mercato, in quanto si tratta dell’unica grande impresa italiana rimasta a carattere chiaramente globale e dal significato chiaramente strategico.
Probabilmente il bene patrimoniale più rapidamente disponibile è l’oro delle nostre riserve. Gli accordi internazionali ci permettono di metterne sul mercato solo piccole quantità ogni anno (pari all’incirca a uno-due miliardi di euro), ma il resto potrebbe essere dato in garanzia di una linea di credito con un ente internazionale per un pronto intervento in caso di spread troppo elevato, oppure per ricomprare una parte dei titoli di debito dagli interessi più costosi.
«Toccare l’oro» suscita forti reazioni emotive da parte dei molti che considerano quest’azione equivalente a disfarsi dei gioielli di famiglia, ma non è forse questo il momento giusto per un’operazione che valorizzi il metallo giallo, dal momento che nella classifica delle riserve ufficiali d’oro l’Italia occupa un posto anormalmente alto (il quarto)?
In definitiva, c’è spazio per una serie di operazioni non convenzionali che riducano il debito. Ma queste operazioni debbono essere effettuate in tempi lunghi e non costituiscono una bacchetta magica, bensì un importante coadiuvante di una strategia di risanamento finanziario. Occorrerebbe inoltre destinare una parte del ricavato a misure di rilancio per evitare di trovarsi con le finanze pubbliche avviate sulla strada del risanamento e l’economia reale avviata sulla strada del coma profondo.
Mario Deaglio
Fonte: www.lastampa.it
Link: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10415
9.08.2012
LEGGI ANCHE: CHE FINE HA FATTO L’ORO DI BANKITALIA ?
I DEBITORI EUROPEI DEVONO DARE IN PEGNO IL LORO ORO IN CAMBIO DEL SOCCORSO DEGLI EUROBOND
Titolo originale: “Per risanare i conti dello Stato meglio usare l’oro”