Serbo di Novi Sad, è uno degli «istruttori» che ha allenato la piazza di Kiev contro il regime. Per idealità, dice, ma anche per soldi. I committenti? I governi Usa ed europei.
E’ il «consigliere speciale» per l’Ucraina dell’American Freedom House. Accrediti professionali, Milosevic in galera all’Aja, Shevardnadze deposto in Georgia, e ora Yanukovic rovesciato. Tante trasferte e tanti «seminari sulla non violenza» tenuti da un ex colonnello della Cia, per lui e gli altri «trainer». Chi paga?
DI ENNIO REMONDINO
Non deve essere stato particolarmente difficile per la polizia politica e i servizi segreti ucraini, eredi del mitico Kgb, stargli dietro. Stanko Lazendic non ha il fisico del cospiratore, dell’uomo anonimo che trama nell’ombra nascondendosi. Due metri e qualche centimetro di mancia, vestiti da 110 chili di muscoli, e si nota, soprattutto se a camminargli accanto è un giornalista per così dire, «concentrato». Abbiamo passeggiato e chiacchierato a lungo con Stanko, per le belle strade di Novi Sad, su in Voivodina, al nord della Serbia, quasi in Ungheria. Stanko è un giovane uomo di 31 anni che nella vita ne ha viste molte, a cominciare dalla galera, che ha iniziato a frequentare dall’imporsi del regime di Milosevic. Diciassette arresti non sono male per un semplice leader studentesco, se mai è stato vero che Stanko sia soltanto quello. Stanko non ha potuto essere presente ai festeggiamenti dell’opposizione filo occidentale ucraina sulla piazza di Kiev, che pure ha tanto contribuito a organizzare e a far vincere. Stanko Lazendic è stato uno degli «Istruttori», uno dei «Trainers», che ha allenato la piazza arancione ad opporsi e a rovesciare il regime. Un po’ per idealità, sostiene Stanko, ma certo anche per soldi, da buon professionista. Socio fondatore della Ong, l’organizzazione non governativa serba «Center of not violent resistence», registrata a Belgrado. Per contatti e contratti, vedi il sito Internet. Accrediti professionali, oltre a quello di Slobodan Milosevic che attende in galera la sentenza del Tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra, l’ex presidente georgiano Eduard Shevardnadze, e ora il premier ucraino filo russo Viktor Yanukovic. I committenti per queste singolari prestazioni professionali di destabilizzazione più o meno non violenta, sono altrettanto interessanti ma, contravvenendo a tutte le regole giornalistiche, le lasciamo al Gran Finale del Giallo.
Stanko Lazendic è stato uno dei fondatori del movimento studentesco serbo «Otpor», che vuol dire Resistenza, ed è da lì che parte tutto. Resistenza popolare e non violenta al regime di Milosevic in quel lontano 1998, quando il despota di Belgrado era ancora equivocamente corteggiato da molte cancellerie occidentali incerte fra l’adottarlo e il fargli guerra. Otpor nasce allora, ed è probabilmente l’unico erede del vasto movimento democratico di piazza che negli anni precedenti aveva quasi dato la spallata decisiva al potere della famiglia Milosevic. Poi i partiti tradizionali, anche quelli democratici, si erano ingoiate sia la «Rivoluzione dei fischietti» (Inverno `96, `97), sia le speranze di cambiamento.
Otpor rivoluziona la liturgia della politica, con i multicolori delle bandiere, nelle parole d’ordine, nella leadership collettiva, nella musica sparata in piazza a tutto volume, e nel costante sberleffo al potere. L’anima slava, sepolta sino allora nell’auto commiserazione, ne approfitta per ritirare fuori la prorompente carica d’ironia e auto ironia, dell’amara irriverenza. Ce l’avrebbero fatta da soli e prima e meglio, quelli di Otpor, con tutto il popolo serbo, se qualche stratega di Washington non avesse già deciso, in quella metà del 1998, che Milosevic serviva per collaudare la forza militare della Nato come guardiano del fronte Est dell’Impero. Quando, il 24 marzo del 1999, sulla Jugoslavia iniziano a piovere le bombe, Otpor si arruola, assieme a tutta la Serbia, non accanto a Milosevic, ma contro la Nato. Per loro quelle bombe sono insensate. Puntano al despota ma colpiscono innanzitutto le sue vittime, primo fra queste, il popolo serbo e quello kosovaro. A quasi sei anni di distanza dai bombardamenti, non c’è persona in Serbia, per «americana» e filo occidentale che sia, a non chiamare l’evento «Aggressione». Sono gli stessi giovani – molti dei quali poi diventeranno Otpor – a portare sui ponti sulla Sava e sul Danubio la popolazione a fare da scudo umano, a sbeffeggiare l’Iper potenza Nato.
E’ la loro ironia che ci fa indossare, tutti allora a Belgrado, le magliette con la scritta «Target». Tutti bersagli, salvo chiedere scusa quando la scalcinata contraerea serba riesce per sbaglio ad abbattere un cacciabombardiere F117: «Scusate, non sapevamo fosse Invisibile».
Occorrono tre mesi al Golia-Nato per stendere – con tanti «effetti collaterali» civili – il nano militare di Belgrado. Tantini, viene da dire. Dopo di che Otpor riprende ad attaccare il suo storico bersaglio, il despota Slobodan Milosevic. Ricordo come allora fu possibile notare i segni di un’insospettata abbondanza. Sempre la fantasia al potere della protesta, ma anche qualche soldino in più per manifesti, striscioni, apparato legale di difesa, bandiere, radio libere e Internet pirata. Molti di quegli studenti ormai abbondantemente fuori corso sembrava avessero studiato molto durante il duro inverno della guerra, lezioni sul come scardinare un trucido apparato di potere per seppellirlo sotto il ridicolo della sua sostanziale impotenza. Anche Stanko Lazendic aveva studiato. In trasferta a Budapest, nella vicina Ungheria che ancora non chiedeva il visto per i serbi; altri suoi amici nel protettorato Nato della Bosnia o in quello statunitense del Montenegro. «Seminari» li chiamavano gli organizzatori, sulla «Resistenza non violenta».
Due le cose interessanti che riesco ad ottenere dalla memoria di Stanko: il nome di almeno un «docente» e le molte sigle di chi pagava i conti di quelle trasferte di «studio». Nel marzo del 2000, uno dei docenti di Stanko all’Hilton di Budapest, fu un certo Robert Helvi, già colonnello della Cia, operativo a Rangoon e Burma. L’Ex colonnello Cia (esiste un «ex» in qualsiasi Servizio segreto?), aveva illustrato i 500 modi «non violenti» per destabilizzare un regime autoritario. In pratica una rilettura del libro di Gin Sharp, «Dalla dittatura alla democrazia», che resta dal lontano 1970 il testo base per ogni movimento anticomunista che si rispetti, tecnica del Colpo di Stato col Guanto di Velluto.
«Che il conferenziere fosse uno della Cia», insiste Stanko, «nessuno di noi allora lo sospettava». Ma chi pagava quel seminario a Budapest? Chiedo. «Quel seminario fu promosso, mi sembra, dalla Us Aid». Lo sguardo che riceve in cambio, induce Stanko ad una giustificazione non richiesta. «Noi non siamo della Cia, né lavoriamo per la Cia. Se così fosse, guadagneremmo molto, molto di più dei pochi soldi che riceviamo. Una miseria per i rischi che corriamo».
Quanti siano «pochi» i soldi che pagano le loro originali prestazioni professionali, Stanko Lazerdic non ce lo dice. In compenso ci racconta dei suoi committenti: ovviamente le organizzazioni giovanili dei diversi paesi coinvolti. Tutto indipendente e tutto trasparente, secondo lui. Ma chi paga il conto dei vostri «pochi soldi»? «A volte le organizzazioni studentesche, a volte direttamente i loro finanziatori». Risalendo lungo la catena della solidarietà anti despota ex comunista e anti occidentale, arriviamo finalmente ai nomi. La generosità democratica in Serbia, Ucraina, Georgia eccetera, ci dice Stanko Lazendic, esce dai conti correnti di Us Aid, l’organizzazione governativa statunitense, o dall’Iri, l’Istituto Internazionale Repubblicano (il partito di Bush), o dal suo gemello Democratico (Ndi), o dalla fondazione Soros, o dalla Freedom House, o dalle tedesche «Friedrich Ebert» e «Konrad Adenauer», o dalla britannica «Westminster».
Le trasferte di Stanko in Ucraina, da agosto a settembre, per esempio, è stata pagata prima dalla Westminster britannica e poi dall’American Freedom House di cui è «consigliere speciale» per l’Ucraina. In Georgia, contro Shevarndnadze, pagava Soros. La serba Otpor in formato esportazione partorisce così «Kmara» (Basta) a Tbilisi, e «Pora» (E’ ora) a Kiev.
Prossimi impegni professionali, Stanko? «Vedremo. Dopo gli ottimi risultati ottenuti in Serbia, Georgia e Ucraina, spero che avremo altri contratti. Stiamo già lavorando un po’ in Bielorussia e siamo in corrispondenza con l’Azerbaijan. Vedremo». Già. Anche noi sicuramente vedremo.
Ennio Remondino
Fonte:www.ilmanifesto.it
30.12.04