OPERAZIONE VALCHIRIA: IN CHE MODO HOLLYWOOD ATTENTA ALLA STORIA

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A CURA DI GREGOIRE LALIEU
michelcollon.info

“Stauffenberg era una persona eccezionale” esclama Tom Cruise in pieno tour promozionale del film “Operazione Valchiria”. La produzione hollywoodiana riporta il complotto del 20 luglio 1944, nel quale un gruppo di soldati tedeschi cercò di assassinare Hitler. Ma non si dilunga sul profilo né sulle motivazioni di quei resistenti. Annie Lacroix-Riz, docente di storia contemporanea all’Università Paris-VII, spiega il contesto del mancato attentato e distrugge la visione idilliaca del divo hollywoodiano.

Quali erano le motivazioni di Stauffenberg e della sua squadra: lavare l’onore della Germania dalle atrocità hitleriane o salvare il salvabile in una guerra che stava ormai per essere persa?

La seconda è ovviamente quella corretta. I resistenti del complotto agiscono troppo tardi e non criticano nessuno degli elementi fondamentali della politica tedesca d’occupazione, sterminio e saccheggio. Stauffenberg e i suoi compagni hanno sempre sostenuto il regime. Tutti gli studi seri su questo colonnello lo affermano e ci sono numerose citazioni sulla sua approvazione a tutta la politica hitleriana così come sul suo contributo militare, già prima della guerra generale. Questi uomini hanno accompagnato il regime nazista in tutti i suoi eccessi. Vengono da un ambiente dove fiorisce l’odio per la democrazia, per la filosofia progressista dei Lumi e per gli ebrei.


Lo scopo dei resistenti del 20 luglio era di giungere a un accordo con Inglesi e Americani. Una negoziazione di questo tipo era davvero possibile?

A partire dalla sconfitta tedesca di Stalingrado nel 1943, si cominciò a negoziare con gli Inglesi e gli Americani un rimedio a Hitler senza Hitler. Degli abbozzi di negoziazione erano stati fatti alla fine degli anni trenta e all’inizio dei quaranta. Si trattava di discussioni formali, che riguardavano tanto il piano governativo che quello della classe dirigente: una spartizione del continente e in particolare l’espansione dell’Unione Sovietica. All’epoca, le negoziazioni non andarono a buon fine, perché la Germania chiedeva più di quanto Inglesi e Americani fossero disposti a concedere.
Bisogna però sapere che questa politica di compromesso, messa in atto inizialmente con il nome di “Politica d’appeasement” (politica di accomodamento, NdT), ha tenuto le orecchie ben aperte negli anni successivi ed è stata minata solo dalla congiuntura militare. Infatti, l’alto padronato tedesco era legato ai Britannici e ancor più alla classe dirigente americana. Così, poco tempo dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti in seguito al bombardamento di Pearl Harbour nel 1941, alcuni grandi dell’industria petrolifera americana si sono riuniti a Ginevra con i colleghi di IG Farben, impero industriale tedesco della chimica. Il messaggio di questi ultimi era: “Voi ci lasciate l’Unione Sovietica e poi ci si accorderà per il resto”. Ma ovviamente non c’era più granché da negoziare da quando la guerra lampo era in agonia. La proposta tedesca, quindi, non sembrava più verosimile.
Tra alcuni militari tedeschi, alcune discussioni diplomatiche andavano nello stessa direzione e esploravano le possibilità di una soluzione senza Hitler. Questa soluzione trovava una risposta favorevole tra i dirigenti e la classe padronale angloamericana, che cercavano di dimostrare che alla fine, era solo una manciata di uomini facilmente sostituibili a impedire la riconciliazione con la Germania. Quest’aspetto importante è un tratto caratteristico della politica statunitense verso i nemici ufficiali dell’epoca come l’Italia o la Francia. In quest’ultimo caso, che ho studiato molto (1), gli Stati Uniti cercavano di stabilire quello che chiamo “un rimedio a Vichy senza Vichy”, volevano cioè mantenere il regime presente e sostituirne solo alcuni rappresentanti.

Perché mantenere queste strutture?

Il grande padronato dei paesi occupati ha mantenuto le sue posizioni dell’anteguerra: legami molto forti con la Germania e una politica di collaborazione. Questa politica è andata lontano, dalla consegna massiccia di prodotti all’associazione di capitali da cui, ovviamente, si aveva avuto cura di togliere gli apporti ebrei. Continuando, a livello del padronato, le politiche che avevano caratterizzato il primo dopoguerra, sono state rinnovate le politiche dei cartelli, gli accordi sui prezzi, l’estensione dei mercati… è evidente che il grande padronato ha sostenuto la Germania occupante e, diversamente da quanto sostengono certe leggende, non abbiamo trovato nessun resistente in questi ambienti. Ne ho studiato il caso per la Francia e dei lavori dello stesso tipo sono stati realizzati per altri paesi.
Gli stessi Stati Uniti hanno condotto una politica molto attiva di collaborazione con il Reich. Ufficialmente, questa politica è stata interrotta dalle rivalità inter-imperialistiche inasprite dalla Crisi, soprattutto dal 1934. Ufficiosamente, le relazioni con il padronato furono mantenute clandestinamente, anche in tempo di guerra. Anche durante il conflitto, quindi, non tutti i legami furono tagliati. Charles Hingham ci propone un’ottima sintesi del fenomeno (2). Quando alla fine della guerra si stabilì un compromesso in base alla sconfitta dei partner-rivali, si riprese ufficialmente la politica di collaborazione che non era mai stata veramente interrotta. Jacques Pauwels lo dimostra perfettamente nell’opera “Le Mythe de la bonne guerre” (3. “Il mito della guerra buona”): il mantenimento della collaborazione clandestina ha impedito qualunque denazificazione o epurazione delle classi dirigenti in qualsiasi paese.

C’erano altri movimenti di resistenza tedeschi?

Si è parlato molto dei movimenti di resistenza cattolici come la Rosa Bianca e i fratelli Scholl. Vorrei ricordare che questi movimenti si sono dispiegati nelle stesse condizioni che quella dello stato maggiore: alla fine dei dieci anni di regime hitleriano e in quegli ambienti che non avevano mai resistito al nazismo. Certo, è vero, ci fu un’incontestabile resistenza social-democratica, di cui la parte principale si è ritrovata in esilio. Ma alla luce dei lavori storici, nessuno può negare che in materia di resistenza attiva contro il regime, l’SPD (Partito Socialdemocratico tedesco) ha giocato un ruolo modesto. Lo stesso vale per la Chiesa protestante, che non ha mai criticato le conquiste e le occupazioni tedesche né la distruzione sistematica, sul fronte orientale, di decine di milioni di uomini, donne e bambini. In compenso, il mio collega Ayçoberry, ottimo specialista della Germania, ha condotto uno studio della società tedesca dal 1933 al 1945 (4), nel quale, con grande onestà, riconosce che la sola resistenza attiva e immediata contro il regime hitleriano fu quella del KPD, il Partito comunista tedesco. Questa resistenza è stata l’oggetto di una repressione atroce e fu attiva in maniera notevole sia nel Reich sia in esilio, in particolar modo nelle Brigate internazionali. A parte questo, la resistenza attiva in Germania fu quasi inesistente.

Quali sarebbe stato il seguito dei fatti se l’operazione Valchiria fosse andata a buon fine?

È difficile rispondere, perché la soluzione di un’alleanza tra i Tedeschi e gli Angloamericani poteva difficilmente essere ancora presa in considerazione, se si considera l’avanzata dell’Armata rossa. Allo stesso modo era difficile presentare all’opinione pubblica l’idea che i portatori della civiltà occidentale (Americani, Inglesi e Tedeschi) si sarebbe uniti contro l’Unione sovietica.

Allora, chi era il nemico più pericoloso per l’alleanza americano-britannica: i nazisti o i comunisti?

Ci sono stati altri tentativi, dopo quello di Stauffenberg, che avevano tutti lo stesso obiettivo: un ribaltamento dei fronti, dato che il nemico fondamentale non era tedesco ma sovietico. Si voleva ritrovare ciò che era stato fatto dopo il 1917, ossia un’unione di tutte le grandi potenze contro la Russia. Sul piano ideologico si trattava di combattere i cattivi comunisti. Ma in realtà la questione era ben più profonda. Infatti, in quanto potenze imperialistiche, gli Stati Uniti e la Germania avevano delle idee precise sulle risorse della Russia, bolscevica o meno. Il grande storico William Appelman Williams ha tra l’altro dimostrato come le mire americane sulle ricchezze russe fossero anteriori al 1917. Per quanto riguarda le mire tedesche, sono riconosciute da tutti gli storici specialisti del Novecento.

In un primo tempo si è quindi cercato di mettere fine all’esperienza bolscevica con le armi, dal 1918 al 1920. Questo tentativo è in seguito passato per l’instaurazione del cordone sanitario (misure adottate per prevenire la diffusione di un’ideologia indesiderata o considerata pericolosa, NdT). Le potenze imperialiste come gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra e la Germania, volevano circondare l’Unione sovietica con una serie di stati la cui gestione avrebbe permesso di bloccare qualsiasi contagio. La maggior parte delle volte si trattava di dittature così feroci verso le popolazioni, che queste ultime non sarebbe state tentate di imitare l’esperienza sovietica.

Il vero nemico era quindi comunista, e così, dal gennaio 1945, è cominciato un inseguimento che vedeva complici, da una parte, gli Americani e gli Inglesi, e dall’altra, i Tedeschi. Lo storico americano Gabriel Kolko spiega nel suo “Politics of war” (5) che in questo periodo e fino alla fine della guerra, non ci sono praticamente più truppe tedesche sul fronte occidentale. Restano solo 27 divisioni, 26 delle quali sono incaricate di organizzare l’evacuazione della Wehrmacht verso i paesi occidentali. Quest’evacuazione da una ha parte ha permesso a numerosi criminali di guerra di scappare alla punizione e dall’altra era accompagnata dalla consegna di materiali che la Germania non avrebbe mai recuperato se fossero caduti nelle mani dei Sovietici. Sul fronte orientale, invece, rimanevano 260 divisioni completamente destinate al combattimento. Mentre gli Americani entrano senza problemi nella zona che occuperanno e che deve essere la più grande possibile, i Sovietici si scontrano con un’offensiva sempre molto forte. A tal punto che Praga cade il 9 maggio, oltre quindi, la data ufficiale della capitolazione.

Perché il ruolo dell’URSS è solitamente minimalizzato nei libri di Storia?

Era noto nel 1945 e lo è tuttora a qualsiasi storico serio: è l’Unione Sovietica ad aver vinto la guerra in termini militari. Ma è uscita segnata dal conflitto. Oggi le sue perdite sono calcolate come il doppio rispetto a ciò che aveva detto nel 1945. L’URSS avrebbe perso tra i 27 e i 30 milioni di persone, ossia il 60% delle perdite totali della guerra. Da parte loro, gli Stati Uniti hanno portato un contributo militare ridicolo: si parla oggi di meno di 300.000 morti tra il fronte giapponese e quello europeo. Inoltre, si tratta solo di perdite militari, mentre più della metà delle perdite sovietiche sono civili. Le ultime due settimane del conflitto, che si concludono con la presa di Berlino, mostrano perfettamente quest’asimmetria: durante questi pochi giorni l’Unione Sovietica ha perso più uomini di quanti gli Stati Uniti ne abbiano persi in tutta la guerra sui fronti giapponese e europeo!

Eppure, sono gli Americani che sono usciti vincitori sul piano economico, finanziario e politico. E lo stato misero nel quale si trova l’URSS all’uscita dal conflitto contribuirà al suo crollo e quindi a una vittoria totale degli Stati Uniti. Nell’immediato dopoguerra, gli accordi prevedevano che l’Unione Sovietica recuperasse le frontiere del 1941 e organizzasse una zona di influenza nel territorio che tempo prima era stata la zona del cordone sanitario. Gli Americani, considerando l’estrema debolezza dei suoi interlocutori, pensavano di poter rifiutare di cedere questa zona. Harriman, ambasciatore americano in URSS nel 1943 e 1944, sentiva che il paese era confrontato a tali difficoltà nel dopoguerra che confidò a Roosevelt che probabilmente l’Unione Sovietica avrebbe rinunciato a questa zona di influenza se gli Stati Uniti fossero stati pronti a prestarle un miliardo di dollari. Faccio notare che la Germania aveva inflitto all’URSS perdite per un totale di 200 miliardi! Alla fine gli Stati Uniti non riuscirono a impedire l’instaurazione di questa zona di influenza, ma si affrettarono a limitarne l’estensione e la durata. Lasciate che attiri la vostra attenzione su un fatto importante che la maggior parte delle popolazioni ignorano perché glielo si lascia ignorare: da quindici anni si sono moltiplicati gli studi e questi ci hanno mostrato che il progetto americano di “Rollback”, che consisteva nel respingere la zona d’influenza sovietica verso l’Est a favore della zona d’influenza americana, non risale al 1953 con la gestione di Eisenhower. É il progetto dell’amministrazione democratica, che da subito ha voluto trarre vantaggio dallo stato di debolezza in cui la guerra aveva lasciato l’Unione Sovietica. Quest’ultima crollerà definitivamente nel 1989 e è la concezione americana della Storia che alla fine si è imposta: non rispetta affatto le realtà storiche, ma mostra soltanto la legge del più forte. Ecco perché oggi ci troviamo in una situazione d’ignoranza più grande di quella delle popolazioni del 1945, quando nessuno dubitava del grande contributo dell’URSS alla vittoria degli Alleati.

Non è la prima volta che Hollywood interpreta la Storia a modo suo. Quali possono essere le ragioni di un procedimento di questo tipo?

A causa della visione hollywoodiana abbiamo sempre l’impressione che le cose accadano all’improvviso. Tutto a un tratto, alcune persone dal grande senso morale si interrogherebbero sulle gravi mancanze d’etica del regime nazista. Però! Undici anni dopo la presa di potere di Hitler! È una visione abbastanza caricaturale che purtroppo è prevalsa nella storiografia dominante. Da quando i paesi sovietici sono entrati nel mercato, la zona d’influenza americana è cresciuta notevolmente. L’idea che i democratici americani abbiano liberato l’Europa si è imposta ed era necessario che la Germania vi figurasse in maniera degna. Di conseguenza, si cerca di far passare l’idea che, a differenza dei nazisti, la Wehrmacht non sarebbe stata poi così cattiva. L’esercito tedesco non avrebbe partecipato ai massacri, compresi quelli del fronte orientale. Ora, sulla base di seri studi, tra i quali anche lavori di ottimi storici tedeschi, si sa che la Wehrmacht ha partecipato ai massacri di slavi e ebrei. Era un aiuto insostituibile degli assassini delle SS.
Le realtà economiche e politiche hanno minato la serietà dello studio storico e han fatto trionfare una visione molto fantasista come quella che prevale nei film hollywoodiani. Immaginate quale sarebbe stata la concezione della Storia se la Germania avesse vinto la guerra! Ora abbiamo una concezione che viene dalla vittoria per KO degli Stati Uniti ma quando i rapporti di forza internazionali saranno cambiati, torneremo sicuramente a una visione popolare più vicina alla realtà storica. Si può contare sulle conseguenze al termine della crisi per portare a una visione più realista della Storia e più rispettosa delle conoscenze acquisite dalla ricerca storica.

Gregoire Lalieu
Fonte: www.michelcollon.info
Link: http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2009-02-27%2008:50:36&log=lautrehistoire
25.03.2009

Traduzione per comedonchisciotte.org a cura di MARINA GERENZANI

NOTE:

(1) Annie Lacroix-Riz “Industriel et banquiers français sous l’Occupation”, Armand Collin, 1999 (Industriali e banchieri francesi durante l’Occupazione) e Annie Lacroix-Riz “Quand les Américains voulaient gouverner la France” ne Le Monde Diplomatique, maggio 2003 (Quando gli Americani volevano governare la Francia)
(2) Charles Higham, “Trading with the Enemy, an exposé of the Nazi-American Money Plot, 1933-1949”, New York, Delacorte Press, 1983.
(3) Jacques Pauwels, “Le mythe de la bonne guerre”, EPO, 2005 (Il mito della guerra buona). Un articolo dedicato a quest’opera anche sul sito: http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2004-06-01%2013:11:24&log=lautrehistoire
(4) Pierre Ayçobery, “La société allemande sous le IIIe Reich, 1933-1945”, Points, 1998
(5) Gabriel Kolko, “The Politics of War. The World and the United States Foreign Policy, 1943-1945”, New York, Random House, 1969, rééd. 1990

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