OPERAZIONE 'PACE IN CAMBIO DI VIGNETI'

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DI GIDEON LEVY
Ha’aretz

Come si può definire la bocciatura di un piano di pace, che rischia di portare alla guerra? Che nome dare a una nazione che non si vuole neppure sedere al tavolo delle trattative con un capo di Stato che propone pubblicamente un esplicito piano di pace? L’unica angolatura che possa definire in termini positivi il rifiuto di Israele di considerare le proposte di pace del presidente della Siria è l’esposizione dell’amara verità: Israele non vuole la pace con la Siria, punto. Non ci sono giri di parole o contorsioni diplomatiche che possano negare questo fatto inequivocabile. Non saremo più in grado di dichiarare che stiamo cercando la pace coi nostri vicini; non ci stiamo rivolgendo a loro per la pace. Si è formato un asse dell’intransigenza in Medioriente: Israele e Stati Uniti, che dicono “no” e basta alla Siria. Non è solo l’Iran a compromettere la pace in Medioriente, c’è anche Israele. Sarebbe meglio per noi se lo ammettessimo.
È difficile comprendere col buon senso – né il cuore riesce ad accettare – come possa mai succedere che un importante Stato arabo si offra di delineare un piano di pace con noi e noi con arroganza lo respingiamo. “Non è il momento adatto” dicono gli uomini di stato a Gerusalemme. Con la Siria non è il momento adatto, i Palestinesi non sono gli interlocutori adatti. E quando sarà il momento adatto? Solo dopo la prossima guerra. Un rifiuto del genere, capace di condurre ad un altro ciclo di spargimenti di sangue, è delittuoso.

Dietro l’ultimo rifiuto di Israele c’è la codardia e dietro questa codardia c’è il primo ministro. Ehud Olmert sa molto bene che Israele alla fine si dovrà ritirare dalle alture del Golan, ma gli manca il coraggio di compiere questa mossa. Esattamente come il suo predecessore Ehud Barak, che era sul punto di raggiungere un accordo con la Siria, anche ad Olmert manca la più importante qualità richiesta ad un leader israeliano: il coraggio.

In particolare dopo il fiasco della guerra in Libano, e con una reputazione crollata ad un livello pressoché irrecuperabile, ci si potrebbe aspettare che Olmert cerchi di mettere a segno una mossa audace – e relativamente facile se paragonata alla pace con la Palestina. Ma Olmert HA PAURA. Forse teme i dimostranti israeliani fuori casa sua, o magari teme che l’America lo disprezzi. Non sono ragioni sufficienti per non mettere alla prova le intenzioni di Assad.

Sì, perché cosa abbiamo da perdere? Ammettiamo pure che Assad non sia pronto a mantenere la parola. Ammettiamo che non riesca a firmare un accordo con Israele. Perché non sfidarlo? Quale capello potrà mai cadere dalla testa di Israele se Olmert raccogliesse il guanto siriano e dicesse ad Assad: “Incontriamoci”. Invece Zhdanov-Olmert [1] proibisce ai suoi ministri di parlare a favore dei negoziati e addirittura minaccia di espellerli dal governo. Olmert è più vigliacco di Barak: non è neppure pronto a sedersi al tavolo dei negoziati. La Storia lo ricorderà dunque come colui che fece naufragare un possibile accordo di pace che avrebbe potuto far cambiare volto al Medioriente. Questo è un fallimento anche più grave dell’essersi imbarcato nell’inutile guerra in Libano. Quando l’imminente guerra con la Siria esploderà – una guerra che sarà incomparabilmente più difficile rispetto a quella col Libano – ricorderemo bene chi è il responsabile. Non ci sarà bisogno di una commissione d’inchiesta per appurarlo.

Le Alture del Golan sono desolate. Forse “la gente sostiene la causa del Golan”, ma la gente ha smesso di andare nelle Alture del Golan già da molto tempo. Durante il Rosh Hashanah[2] , i viandanti e gli escursionisti si sono tenuti alla larga da questo meraviglioso angolo di terra. Chiunque l’abbia visitato avrà visto strade senza presenze umane, distese eternamente rocciose e vecchi insediamenti che avevano il destino segnato già molto tempo fa. Perché dovremmo mantenere le Alture del Golan al prezzo di una guerra? È ammissibile che per libidine territoriale si porti avanti un’altra guerra, la guerra alla “Pace in cambio di vigneti”? Forse una azienda vinicola di successo ed un florido stabilimento di acque minerali bastano a tenerci attaccati ad una terra occupata, che non ha altro valore al di là delle sue vigne e delle sue acque? Dopotutto nell’era dei missili nessuno può continuare a parlare seriamente delle Alture del Golan come “aree strategiche”.

Le Alture del Golan sono una terra occupata, nonostante il decreto di annessione che abbiamo emanato, che nessun paese al mondo ha riconosciuto. E i suoi coloni israeliani sono come qualunque altro colono. Chi decide che un residente di Itamar sia “un colono estremista” mentre un residente di Merom Golan è un tipo differente di colono: uno di noi? Una mano oscura ha fatto sì che per la coscienza d’Israele le Alture del Golan non risultino come territori occupati e che i suoi residenti non violino come altri coloni le leggi internazionali. Ma questo è un gioco di parole ridicolo che usiamo con noi stessi. Così come i promotori della pace dovrebbero boicottare i prodotti provenienti dagli insediamenti della West Bank, lo stesso si dovrebbe applicare ai prodotti delle Alture del Golan. Provengono da una terra che non è nostra. Le questioni morali che ancora affiorano qua e là riguardo all’atto di occupazione della West Bank e della Striscia di Gaza non vengono neppure considerate quando si parla delle Alture del Golan. Chi si ricorda più delle centomila persone circa che vivevano nelle Alture del Golan e che furono costrette a lasciare le loro case nel 1967? Le rovine delle loro case sono ancora sulle Alture del Golan ed essi ora vivono nei campi profughi vicino Damasco. Anche loro agognano le loro terre, mentre i residenti che sono rimasti vivono sotto l’occupazione israeliana, nonostante sia una occupazione relativamente misurata.

In una situazione in cui il primo ministro è troppo codardo per dare una risposta alla proposta siriana, un grido di protesta dovrebbe salire da coloro i quali desiderano evitare la prossima guerra, specialmente dopo l’ultima. Se i riservisti dell’esercito israeliano ed il resto dei movimenti di protesta vogliono fare qualcosa anche per prevenire la prossima guerra oltre che rimuginare sulla precedente, dovrebbero levare una voce decisa e gridare: “SÌ” alla pace con la Siria. Le condizioni della Siria sono chiare e semplici, persino giuste – pace in cambio di terra – e l’impressione è che ci sia un partner a Damasco. Un incontro col ministro degli esteri dell’Oman è buono per far titoli da prima pagina ed un meeting segreto con un principe Saudita accende l’immaginazione, ma la pace va fatta con la Siria e con i Palestinesi. La Siria ha detto sì, Israele ha detto no. Per ragioni che sappiamo e che ricordiamo bene, non c’è giorno migliore dello Yom Kippur [3] per riflettere su ciò.

Gideon Levy
Fonte: http://www.haaretz.com/
Link: http://www.haaretz.com/hasen/spages/769339.html
01.10.2006

Traduzione a cura di PAOLO MACCIONI
(http://www.paolomaccioni.it/wp/)

Note del traduttore:

[1] Andrei A. Zhdanov : il responsabile della linea culturale del Pcus in epoca staliniana che liquidava con tragica intransigenza ogni fermento di libertà intellettuale.

[2] Rosh Hashanah è il capodanno ebraico che cade fra settembre e ottobre. Spesso si celebra con escursioni e camminate per pregare all’aria aperta o sui monti.

[3] Yom Kippur è il Giorno dell’Espiazione, importante ricorrenza religiosa ebraica che nell’anno in corso è caduta il 2 ottobre (all’indomani della pubblicazione del presente articolo). Ed è anche la ricorrenza dell’inizio della guerra del 1973, appunto “Guerra del Kippur”, della coalizione sirio-egiziana contro Israele.

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