DI TRUMAN BURBANK
La problematica ontologica emerse durante un’accesa discussione su un sito web, riguardo ad Iraq e terrorismo: “Tu vivi in un altro mondo” (intendendo fuori dal mondo reale) mi disse l’altro.
Se nei contenuti il mio disaccordo era globale, su questa frase in qualche modo concordavamo.
Effettivamente le differenze tra me e l’altro erano così grandi che la comunicazione sembrava quasi impossibile.
I due mondi che si contrapponevano in seguito li ho delineati meglio: uno è il mondo tracciato dai rapporti di potere e dalla lotta per la sopravvivenza. Il mondo di chi sa che chi vuole campare bene deve appoggiarsi ai potenti e tenersi alla larga dai pezzenti. (Salvo quando ha bisogno di sputare).
Il mondo crudo e realistico di chi sa che i compromessi sono necessari e nessuno è del tutto puro. Al di là delle belle parole, bisogna spesso prendere posizione e la posizione deve essere in un’area protetta dal potere.
L’altro è il mondo idealistico di chi cerca la verità ad ogni costo, indipendentemente dai rapporti di potere. Il mondo di chi si sente così forte (o così disperato) da non avere più paura di nessuno. Il mondo di chi libera la sua mente e la lascia spaziare in tutte le direzioni. Il mondo dei puri che cercano la verità. Il mondo a cui credo di appartenere.
E le due visioni del mondo riguardano anche i sogni, le aspirazioni, le necessità del vivere quotidiano. Chi vive nel primo mondo cura molto l’abbigliamento, perché l’abbigliamento indica la sua adesione ai giusti valori sociali.
In definitiva i due mondi rappresentano due ontologie, due rappresentazioni del mondo che sono anche due mondi diversi, spesso non comunicanti. Si può anche passare da un mondo all’altro, ma solo con esperienze traumatiche, oppure lunghe e dolorose. (Qui mi viene in mente “Sostiene Pereira” di Tabucchi). Sembra che nel tempo le distanze tra i due mondi stiano addirittura aumentando. Sono due visioni del mondo o sono realmente, ontologicamente, due mondi differenti?
Esiste prima la verità o il potere?
Ontologie scientifiche
La visione del tempo introdotta dalla teoria della relatività di Einstein cambia l’essenza del mondo. E’ anch’essa ontologica.
Ancor di più, nella meccanica quantistica l’osservato non è separabile dall’osservatore. La realtà non esiste indipendentemente dall’esperimento, ma è una nuvola di probabilità che si concretizza al momento della misura. Einstein aveva percepito l’aspetto ontologico della meccanica quantistica e lo rifiutava (“Dio non gioca a dadi con l’universo”).
Insomma le rivoluzioni scientifiche, ben descritte da Kuhn, potrebbero essere viste come rivoluzioni ontologiche più che epistemologiche. Esse riguardano l’essenza del mondo più che la nostra rappresentazione di esso.
Paul Feyerabend arriva all’ontologia (“Conquista dell’abbondanza”) dopo una vita di epistemologia.
Ma si ritorna all’enigma zen (al koan) dell’albero che precipita fragorosamente in una foresta dove non c’è nessuno. Fa davvero rumore l’albero che cade?
Per Philip K. Dick “La realtà è ciò che si rifiuta di sparire anche quando tu smetti di crederci”.
Secondo lui una realtà esterna esiste (indipendentemente dalla nostra rappresentazione del mondo, anche nonostante essa).
Ontologie politiche
Il perché delle domande forse è chiaro o forse no. Esso riguarda la possibilità di fare politica, di interpretare quindi la realtà, avendo una filosofia che dia una modalità di interpretazione, una lettura della realtà.
Credo che tale filosofia ci debba essere e debba essere un’ontologia, non una metodologia.
Vale la pena di ricordare Karl Marx, la cui dialettica è stato spesso presa come un metodo per l’interpretazione della realtà. Essa era prima di tutto un’ontologia (il materialismo storico).
Truman Burbank