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La Redazione

 

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Obiettivo Cina – La debole influenza delle elezioni statunitensi sulla politica estera strategica di Washington

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Il 10 Novembre 2024
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Obiettivo Cina

Di Alessandro Fanetti, cese-m.eu

Le elezioni statunitensi tengono col fiato sospeso una larga fetta della popolazione globale almeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e la conseguente nascita del bipolarismo. Decenni di dibattiti, anche a decine di migliaia di km di distanza da Washington, fra chi tifa un candidato e chi un altro.

Anche il 2024, con la sfida fra la democratica Kamala Harris e il Repubblicano Donald J. Trump, non ha fatto eccezione. Migliaia di ore di dirette da mesi prima della “fatidica” data del 5 novembre, fiumi di parole e di articoli su cosa avrebbe fatto l’uno o l’altro in caso di vittoria e divisioni fra persone “comuni” che raramente si ravvisano anche per questioni molto più (a dire il vero) significative.

Se infatti per la popolazione che vive e lavora negli USA (o per chi ha relazioni commerciali vitali con Washington, a partire dalle aziende italiane a “vocazione – export”) tali momenti col “fiato sospeso” possono essere assolutamente giustificati (almeno prendendo in considerazione il breve periodo), è invece meno comprensibile il tifo da stadio per i diversi candidati sulla loro eventuale gestione della politica estera riguardante la linea strategica “primaria” USA: la difesa del ruolo statunitense nel mondo (a partire dal “suo” dollaro). E dunque, in primo luogo, sulla questione della strenua difesa dell’unipolarismo (in contrasto con l’ascesa del mondo multipolare) repubblicani e democratici non si discostano dalla “retta via” univoca e condivisa.

È ovvio e chiaro che lo “show”, al quale siamo sottoposti per mesi ad ogni elezione, è ormai divenuto tale che (in un modo o nell’altro) tutti noi siamo tentati dal cadere nel pozzo del circo mediatico creatoci attorno. Ma è altrettanto vero che, tolto il velo della propaganda, la politica estera USA (nelle sue linee strategiche) si muove su chiare direttrici che trascendono il Presidente di turno.

E questo non da ora, bensì sostanzialmente almeno dalla Dottrina Monroe del 1823.1

Dottrina che non è mai stata rinnegata e ha fatto da base alla “presa” di Washington sul Continente americano, nonché alla sua successiva capacità di espansione della propria influenza nel mondo.

Aldilà dei Presidenti che si alternavano (e si alternano), siano essi democratici o repubblicani. Dunque con un chiaro ruolo di “facciata” della persona spesso definita dal mainstream come quella “più potente del mondo”, mentre invece il vero “Potere” si annidava (e si annida) nei meandri del Deep State e nella “vera” élite.

Continuità rimasta dunque intatta anche nel periodo della Guerra Fredda, con l’URSS come nemico numero uno e potenza da abbattere per l’élite USA nel suo complesso.

Ne sono la prova, ad esempio, queste due dichiarazioni:

  • Il repubblicano Ronald Reagan nel 1983: “Vi esorto a stare attenti alla tentazione dell’orgoglio, alla tentazione di dichiararvi allegramente al di sopra di tutto e di (dare la colpa ad entrambe le parti) […], di ignorare i fatti della storia e gli impulsi aggressivi di un impero del male (l’URSS), di chiamare semplicemente la corsa agli armamenti un gigantesco malinteso e quindi allontanarsi dalla lotta tra il bene e il male […]. Vi chiedo di resistere ai tentativi di coloro che vorrebbero che negaste il vostro sostegno ai nostri sforzi, agli sforzi di questa amministrazione […]. Credo che raccoglieremo la sfida e credo che il comunismo sia un altro triste e bizzarro capitolo della storia umana le cui ultime pagine sono ancora in fase di scrittura.”2
  • Quasi quattro decenni prima, nel 1947 (poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, dove USA e URSS erano alleate, e agli albori della Guerra Fredda con la calata della Cortina di Ferro), il democratico Truman enunciò la sua dottrina (passata alla storia come quella del “contenimento”) prendendo spunto dalla questione “Grecia – Turchia”. In sostanza egli impegnava gli Stati Uniti ad intervenire preventivamente con vari mezzi per “salvare” qualsiasi Paese minacciato dal totalitarismo (leggasi, nella visione USA, dall’URSS):

 

“Signor Presidente, membri del Congresso degli Stati Uniti:

la gravità della situazione che si presenta oggi al mondo richiede la mia presenza davanti a una sessione congiunta del Congresso. Sono in gioco la politica estera e la sicurezza nazionale di questo Paese. Un aspetto della situazione attuale, che desidero sottoporre alla vostra attenzione e decisione, riguarda la Grecia e la Turchia. Gli Stati Uniti hanno ricevuto dal Governo greco un appello urgente di assistenza economica e finanziaria. I rapporti preliminari della Missione Economica Americana che si trova ora in Grecia e i rapporti dell’Ambasciatore americano in Grecia confermano la dichiarazione del Governo greco secondo cui l’assistenza è imperativa se la Grecia vuole sopravvivere come nazione libera.

 

Non credo che il popolo americano e il Congresso vogliano rimanere sordi all’appello del Governo greco. La Grecia non è un Paese ricco.  La mancanza di risorse naturali sufficienti ha sempre costretto il popolo greco a lavorare duramente per far quadrare i conti. Dal 1940, questo Paese laborioso e amante della pace ha subito l’invasione, quattro anni di crudele occupazione nemica e aspre lotte interne. Quando le forze di liberazione entrarono in Grecia, scoprirono che i tedeschi in ritirata avevano distrutto praticamente tutte le ferrovie, le strade, le strutture portuali, le comunicazioni e la marina mercantile. Più di mille villaggi erano stati bruciati. L’85% dei bambini era ammalato di tubercolosi. Il bestiame, il pollame e gli animali da tiro erano quasi scomparsi. L’inflazione aveva praticamente azzerato tutti i risparmi.

 

Come risultato di queste tragiche condizioni, una minoranza militante, sfruttando il bisogno e la miseria umana, è stata in grado di creare un caos politico che, fino ad oggi, ha reso impossibile la ripresa economica. Oggi la Grecia non dispone di fondi per finanziare l’importazione di quei beni che sono essenziali per la mera sussistenza. In queste circostanze, il popolo greco non può fare progressi nel risolvere i suoi problemi di ricostruzione. La Grecia ha un disperato bisogno di assistenza economica e finanziaria per poter tornare ad acquistare cibo, vestiti, carburante e sementi. Questi beni sono indispensabili per la sussistenza della popolazione e sono ottenibili soltanto dall’estero. La Grecia deve essere aiutata a importare i beni necessari per ripristinare l’ordine e la sicurezza interni, così essenziali per la ripresa economica e politica.

 

Il Governo greco ha anche chiesto l’assistenza di amministratori, economisti e tecnici americani esperti, per garantire che gli aiuti finanziari e di altro tipo forniti alla Grecia siano utilizzati in modo efficace per creare un’economia stabile e autosufficiente e per migliorare la sua amministrazione pubblica. L’esistenza stessa dello Stato greco è oggi minacciata dalle attività terroristiche di diverse migliaia di uomini armati, guidati da comunisti, che sfidano l’autorità del Governo in diverse aree del Paese, in particolare lungo i confini settentrionali. Una Commissione nominata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sta attualmente indagando sulle condizioni di disturbo nel nord della Grecia e sulle presunte violazioni dei confini lungo la frontiera tra la Grecia, da un lato, e l’Albania, la Bulgaria e la Jugoslavia, dall’altro. Nel frattempo, il Governo greco non è in grado di gestire la situazione.

 

L’esercito greco è piccolo e poco equipaggiato. Ha bisogno di rifornimenti e attrezzature se vuole ripristinare l’autorità del governo in tutto il territorio nazionale. La Grecia deve ricevere assistenza se vuole diventare una democrazia autosufficiente e rispettosa di sé. Gli Stati Uniti devono fornire questa assistenza. Abbiamo già esteso alla Grecia alcuni tipi di aiuti e di aiuti economici, ma sono inadeguati. Non c’è nessun altro Paese a cui la Grecia democratica possa rivolgersi. Nessun’altra nazione è disposta e in grado di fornire il sostegno necessario a un governo greco democratico. Il Governo britannico, che ha aiutato la Grecia, non può fornire ulteriori aiuti finanziari o economici dopo il 31 marzo.

 

La Gran Bretagna si trova nella necessità di ridurre o liquidare i suoi impegni in diverse parti del mondo, compresa la Grecia. Abbiamo considerato il modo in cui le Nazioni Unite potrebbero aiutare in questa crisi. Ma la situazione è urgente e richiede un’azione immediata, e le Nazioni Unite e le organizzazioni ad esse collegate non sono in grado di fornire un aiuto del tipo richiesto. È importante notare che il Governo greco ha chiesto il nostro aiuto per utilizzare in modo efficace l’assistenza finanziaria e di altro tipo che possiamo fornire alla Grecia e per migliorare la sua amministrazione pubblica. È della massima importanza supervisionare l’utilizzo di qualsiasi fondo messo a disposizione della Grecia; in modo tale che ogni dollaro speso contribuisca a rendere la Grecia autosufficiente e a costruire un’economia in cui possa fiorire una democrazia sana.

 

Nessun governo è perfetto. Una delle principali virtù di una democrazia, tuttavia, è che i suoi difetti sono sempre visibili e, grazie ai processi democratici, possono essere evidenziati e corretti. Il Governo della Grecia non è perfetto. Tuttavia, rappresenta l’ottantacinque per cento dei membri del Parlamento greco che sono stati scelti nelle elezioni dello scorso anno. Gli osservatori stranieri, tra cui 692 americani, hanno ritenuto che questa elezione fosse una giusta espressione delle opinioni del popolo greco. Il Governo greco ha operato in un’atmosfera di caos ed estremismo.

 

Ha commesso degli errori. L’estensione degli aiuti da parte di questo Paese non significa che gli Stati Uniti approvino tutto ciò che il Governo greco ha fatto o farà. Abbiamo condannato in passato, e condanniamo ora, le misure estremiste di destra o di sinistra. In passato abbiamo consigliato la tolleranza e la consigliamo anche adesso. Anche il vicino della Grecia, la Turchia, merita la nostra attenzione. Il futuro della Turchia come Stato indipendente ed economicamente solido è chiaramente non meno importante del futuro della Grecia per i popoli del mondo che amano la libertà. Le circostanze in cui si trova oggi la Turchia sono notevolmente diverse da quelle della Grecia.

 

La Turchia è stata risparmiata dai disastri che hanno colpito la Grecia. E durante la guerra, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno fornito alla Turchia aiuti materiali. Tuttavia, ora la Turchia ha bisogno del nostro sostegno. Dopo la guerra, la Turchia ha chiesto assistenza finanziaria alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti per realizzare la modernizzazione necessaria al mantenimento della sua integrità nazionale. Tale integrità è essenziale per il mantenimento dell’ordine in Medio Oriente. Il Governo britannico ci ha informato che, a causa delle sue difficoltà, non può più estendere gli aiuti finanziari o economici alla Turchia. Come nel caso della Grecia, se la Turchia vuole avere l’assistenza di cui ha bisogno, gli Stati Uniti devono fornirla. Siamo l’unico Paese in grado di fornire questo aiuto.

 

Sono pienamente consapevole delle ampie implicazioni che comporterebbe l’estensione dell’assistenza degli Stati Uniti alla Grecia e alla Turchia: uno degli obiettivi primari della politica estera degli Stati Uniti è la creazione di condizioni in cui noi e le altre nazioni saremo in grado di elaborare uno stile di vita libero dalla coercizione. Questa è stata una questione fondamentale nella guerra con la Germania e il Giappone. La nostra vittoria è stata ottenuta contro Paesi che cercavano di imporre la loro volontà e il loro stile di vita ad altre nazioni. Per garantire uno sviluppo pacifico delle nazioni, libero da coercizioni, gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo di primo piano nell’istituzione delle Nazioni Unite, il cui scopo è quello di rendere possibile una libertà e un’indipendenza durature per tutti i suoi membri.

 

Tuttavia, non realizzeremo i nostri obiettivi se non saremo disposti ad aiutare i popoli liberi a mantenere le loro istituzioni libere e la loro integrità nazionale contro i movimenti aggressivi che cercano di imporre loro regimi totalitari. Questo non è altro che un franco riconoscimento del fatto che i regimi totalitari imposti ai popoli liberi, tramite aggressioni dirette o indirette, minano le basi della pace internazionale e quindi la sicurezza degli Stati Uniti. I popoli di alcuni Paesi del mondo sono stati recentemente costretti a subire regimi totalitari contro la loro volontà. Il Governo degli Stati Uniti ha protestato spesso contro la coercizione e l’intimidazione, in violazione degli Accordi di Yalta, in Polonia, Romania e Bulgaria. Devo anche affermare che in un certo numero di altri Paesi si sono verificati sviluppi simili. In questo momento della storia mondiale, quasi tutte le nazioni devono scegliere tra modi di vita alternativi. Troppo spesso la scelta non è libera. Uno stile di vita si basa sulla volontà della maggioranza e si distingue per le istituzioni libere, il governo rappresentativo, le elezioni libere, le garanzie di libertà individuale, la libertà di parola e di religione e la libertà dall’oppressione politica. Il secondo stile di vita si basa sulla volontà di una minoranza imposta con la forza alla maggioranza.

 

Si basa sul terrore e sull’oppressione, su una stampa e una radio controllate, su elezioni truccate e sulla soppressione delle libertà personali. Credo che la politica degli Stati Uniti debba essere quella di sostenere i popoli liberi che resistono al tentativo di sottomissione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne. Credo che dobbiamo aiutare i popoli liberi a costruire il proprio destino a modo loro. Credo che il nostro aiuto debba avvenire principalmente attraverso aiuti economici e finanziari, che sono essenziali per la stabilità economica e per processi politici ordinati. Il mondo non è statico e lo status quo non è sacro. Ma non possiamo permettere cambiamenti nello status quo in violazione della Carta delle Nazioni Unite, con metodi come la coercizione o con sotterfugi come l’infiltrazione politica. Aiutando le nazioni libere e indipendenti a mantenere la loro libertà, gli Stati Uniti daranno attuazione ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Basta dare un’occhiata a una cartina geografica per rendersi conto che la sopravvivenza e l’integrità della nazione greca sono di grave importanza in una situazione molto più ampia. Se la Grecia dovesse cadere sotto il controllo di una minoranza armata, l’ impatto sul suo vicino, la Turchia, sarebbe immediato e grave.

 

La confusione e il disordine potrebbero diffondersi in tutto il Medio Oriente. Inoltre, la scomparsa della Grecia come Stato indipendente avrebbe un effetto profondo su quei Paesi europei i cui popoli stanno lottando contro grandi difficoltà per mantenere le loro libertà e la loro indipendenza mentre stanno superando i danni della guerra. Sarebbe una tragedia inenarrabile se questi Paesi, che hanno lottato così a lungo contro avversità schiaccianti, dovessero rinunciare a quella vittoria per la quale hanno sacrificato così tanto. Il crollo delle istituzioni libere e la perdita dell’indipendenza sarebbero disastrosi non solo per loro, ma anche per il mondo. Lo scoraggiamento e forse il fallimento sarebbero rapidamente la sorte dei popoli vicini che cercano di mantenere la loro libertà e indipendenza. Se non riuscissimo ad aiutare la Grecia e la Turchia in questo momento fatidico, l’effetto sarebbe di vasta portata sia per l’Occidente che per l’Oriente.

 

Dobbiamo agire immediatamente e con determinazione. Chiedo quindi al Congresso di autorizzare l’assistenza alla Grecia e alla Turchia per un importo di 400.000.000 di dollari per il periodo che terminerà il 30 giugno 1948. Nel richiedere questi fondi, ho preso in considerazione l’importo massimo di assistenza che verrebbe fornito alla Grecia dai 350.000.000 di dollari che ho recentemente richiesto al Congresso di autorizzare per la prevenzione della fame e delle sofferenze nei Paesi devastati dalla guerra. Oltre ai fondi, chiedo al Congresso di autorizzare l’invio di personale civile e militare americano in Grecia e in Turchia, su richiesta di questi Paesi, per assistere nei compiti di ricostruzione e per supervisionare l’uso dell’assistenza finanziaria e materiale che potrebbe essere fornita.

 

Raccomando che venga fornita anche l’ autorizzazione per l’istruzione e l’addestramento di personale greco e turco selezionato. Infine, chiedo che il Congresso fornisca un’ autorizzazione che consenta l’uso più rapido ed efficace, in termini di materie prime, forniture ed equipaggiamenti necessari, dei fondi che saranno autorizzati. Se dovessero essere necessari ulteriori fondi o ulteriori autorizzazioni per gli obiettivi indicati, non esiterò a sottoporre la situazione al Congresso. Su questo argomento i rami esecutivo e legislativo del Governo devono lavorare insieme. È un percorso serio quello che stiamo intraprendendo. Non lo consiglierei se non fosse che l’alternativa sarebbe molto più grave. Gli Stati Uniti hanno contribuito con 341.000.000.000 di dollari alla vittoria della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un investimento nella libertà e nella pace mondiale.

 

L’assistenza che sto raccomandando per la Grecia e la Turchia ammonta a poco più di un decimo dell’1 percento di questo investimento. È di buon senso salvaguardare questo investimento e assicurarsi che non sia stato vano. I semi dei regimi totalitari sono nutriti dalla miseria e dal bisogno. Si diffondono e si sviluppano nel terreno malvagio della povertà e della lotta. Raggiungono la loro piena crescita quando la speranza di un popolo per una vita migliore è morta. Dobbiamo mantenere viva questa speranza. I popoli liberi del mondo guardano a noi per avere un sostegno nel mantenimento delle loro libertà. Se vacilliamo nella nostra leadership, possiamo mettere in pericolo la pace del mondo – e sicuramente metteremo in pericolo il benessere della nostra nazione. Grandi responsabilità sono state poste su di noi dal rapido susseguirsi degli eventi. Sono fiducioso che il Congresso affronterà queste responsabilità in modo deciso.”3

 

La fine della Guerra Fredda, con la dissoluzione dell’URSS, ha portato il mondo nell’ “era unipolare” e gli USA ad essere l’unica Superpotenza. E questo “momentum” di Washington è stato ampiamente sostenuto e difeso (anzi si è sempre visto dei tentativi di rafforzarlo) sia dai repubblicani che dai democratici. Come viene difeso tutt’ora, anche se con maggiore difficoltà in quanto i Paesi che aspirano a un mondo multipolare si stanno rafforzando.4

Ne sono un chiaro esempio i conflitti sviluppatisi durante gli anni ’90 del ‘900 e nel nuovo millennio in giro per il mondo. Conflitti che hanno visto gli USA in prima fila per la difesa globale dei loro interessi e del loro ruolo di leader sul Pianeta: ad esempio la prima e la seconda guerra del golfo, lo smembramento della Jugoslavia, la guerra in Afghanistan, la guerra in Libia, etc.

Guerre e conflitti sviluppatisi sia con Presidenti democratici che repubblicani: Ronald Reagan, George H. W. Bush, Bill Clinton, George W. Bush, Barack Obama.

Momento unipolare che ha permesso questi “giri” per il mondo di Washington (sostanzialmente indisturbata), con una visione unitaria “democratici – repubblicani” (entrambi convinti della necessità di operare nel mondo con determinate identiche modalità).

Anche nei momenti di maggiore difficoltà, come ad esempio con la ritirata dall’Afghanistan dopo quasi 20 anni di intervento militare (2001 – 2021). Intervento effettuato dal repubblicano George W. Bush, mantenuto con il democratico Obama, gestito dal repubblicano Trump (con la decisione del ritiro) e conclusosi con il democratico Biden (il quale ha eseguito l’ordine del suo predecessore repubblicano Trump).

Giri per il mondo che si sono dunque rivelati più complicati, come accennato sopra, per il rafforzamento di altre Potenze sia globali che regionali aspiranti ad un mondo multipolare dove possano avere anche loro un “posto al sole”. Cercando dunque di ridimensionare il ruolo USA, in primis dal punto di vista dell’influenza generale di Washington nelle varie regioni del globo (in questo senso, una delle leve più significative è quella della “de – dollarizzazione” di una parte dell’economia globale, in quanto l’utilizzo quasi esclusivo della moneta statunitense garantisce a Washington un potere sostanziale e non paritario nelle relazioni globali). Situazione che ha dunque allarmato l’élite statunitense e l’ha portata ad operare verso tre direzioni strategiche, così da cercare di contrastare i suoi “concorrenti”:

  • Impegno rafforzato sull’America Latina e Caraibi (da sempre considerati come il “giardino di casa” dagli USA), ora “minacciati” dal tentativo di aumento dell’influenza da parte dell’ “asse del male” (nella visione di Washington) Russia – Cina – Iran.
  • Rafforzamento della presa sugli alleati, così da cercare di non rischiare di farli cadere in tentazioni “multipolari” (nonché provare ad “usarli” contro tale disegno, promosso in primis da Russia e Cina). È in questo contesto che si può leggere il tentativo di “decoupling” (nella sostanza riuscito, almeno nel breve periodo) Europa (almeno i Paesi più “forti”) – Russia. Nonché il sostegno sostanzialmente incondizionato a Israele, in primis in funzione anti – polo islamico mediorientale.
  • Emanazione del c.d. “Pivot to Asia” nel 2011 (sotto la Presidenza del democratico Obama e del Segretario di Stato Hillary Clinton, con quest’ultima che delineò approfonditamente e pubblicamente la decisione in un intervento sulla rivista “Foreign Policy” dell’11 ottobre 2011 dal titolo evocativo “America’s Pacific Century”)5, riassumibile nella sostanza con l’indicazione della Cina come maggiore minaccia per il ruolo di Washington nel mondo e i modi per contenerla6“Il Pivot to Asia è una delle principali iniziative di politica estera dell’amministrazione guidata da Barack Obama. Dalla sua proposizione, nel 2011, ad opera dell’ex segretario di Stato, Hillary Clinton, questa strategia ha caratterizzato l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del continente asiatico durante la presidenza obamiana e non solo. Il “perno” – questa la traduzione in italiano di pivot – rappresenta una sorta di riequilibrio strategico degli interessi americani dall’Europa e dal Medio Oriente verso l’Asia orientale. Complice l’ascesa della Cina, le attività missilistiche della Corea del Nord, le mille questioni irrisolte al largo del Mar Cinese Meridionale, compresa l’indipendenza di Taiwan, Washington ha pensato bene di focalizzare la propria attenzione sull’area Indo-Pacifica. […] A detta di molti studiosi, attraverso il Pivot to Asia gli Stati Uniti hanno tentato di fare chiarezza in merito al proprio ruolo nel mondo. Il risultato è chiaro: per continuare a essere sulla cresta dell’onda, Washington (ha dato) priorità strategica alla regione indo-pacifica.”7

 

Come sottolineato anche dal Presidente democratico Obama durante un intervento al Parlamento australiano nel 2011:  I nostri interessi durevoli nella regione richiedono una presenza permanente nella regione. Gli Stati Uniti sono una potenza del Pacifico e siamo qui per restare. […] Quindi non ci sono dubbi: nell’Asia-Pacifico del XXI secolo, gli Stati Uniti d’America sono tutti impegnati..”8

Pivot to Asia”, dunque, come linea di politica estera di primaria importanza, decisiva nel breve – medio e lungo termine, che trova fermamente d’accordo sia i repubblicani che i democratici, come ampiamente dimostrato dai fatti e dalle seguenti dichiarazioni:

  • Presidente Barak Obama (Partito Democratico), 2011:Abbiamo chiarito che l’America è una potenza del Pacifico… L’America è tornata. Chiunque vi dica il contrario, chiunque vi dica che l’America è in declino o che la nostra influenza è diminuita, non sa di cosa sta parlando”.9
  • Presidente Biden (Partito Democratico), 2023: “Gli investimenti degli Stati Uniti nelle sue alleanze, nelle forze armate e nelle tecnologie avanzate hanno fatto sì che l’America si trovasse nella posizione più forte da decenni a questa parte per competere con la Cina e difendere i suoi interessi.”10
  • Vicepresidente Kamala Harris (Partito Democratico), 2024: (Sono) sicura che l’America, non la Cina, vincerà la competizione per il 21° secolo.
  • Presidente Trump (Partito Repubblicano), 2024: La Cina (è) la più grande minaccia per gli Stati Uniti”.11

 

Se questa linea strategica di politica estera statunitense è dunque sostanzialmente bipartisan e ampiamente sostenuta dall’élite, è comunque ovvio che discrepanze “secondarie” sono presenti. Se ad esempio il “sogno finale” sulla Russia è da decenni quello di provare a dividerla (sulla scia di ciò che è accaduto all’URSS, come predetto negli anni ’60 dal geopolitico polacco naturalizzato statunitense Zbigniew Brzezinski) rispettando la visione sempreverde del “Divide et Impera”, per contrastare la Potenza cinese c’è chi vede meglio (ovviamente solo per il tempo strettamente necessario) la Russia come “alleato” (in generale i repubblicani) e chi invece vorrebbe prima sconfiggere Mosca e poi passare a Pechino (in generale i democratici).

Ma queste discrepanze non intaccano la “grande strategia globale” di Washington che mira a mantenere la sua influenza nel mondo e la sua capacità di difendere e rafforzare i propri interessi ovunque lo ritenga opportuno. Con la Cina che in questo contesto è la “nemica finale”.

Senza scandalizzarci o meravigliarsi, come degli “occhi geopolitici” dovrebbero fare per leggere il mondo e provare a dare anche qualche buon suggerimento, si può dunque dire che gli Stati Uniti d’America fanno gli interessi loro e delle élite che rappresentano. Aldilà di repubblicani e democratici (nonché degli alleati o presunti tali).

E questo è bene ricordarcelo sempre….TUTTI.

Di Alessandro Fanetti, cese-m.eu

08.11.2024

Il Centro Studi Eurasia Mediterraneo (CeSEM) si propone di formulare interpretazioni obiettive delle vicende della nostra contemporaneità e di fornire chiavi di lettura con le quali orientarsi e promuovere momenti culturali e sociali in grado di accompagnare la transizione dal mondo unipolare al mondo multipolare. A tal fine si avvale di un gruppo di lavoro interdisciplinare – che consente un’analisi di ogni contesto sotto più prospettive di studio- volto ad approfondire tematiche o progetti internazionali, regionali e/o di ogni singola realtà governativa nonché locali.

NOTE 

1 Nella sostanza “L’America agli americani. Dove per americani si intendevano gli USA.”

2Ronald Reagan: “un impero del male” (1983).

3 https://avalon.law.yale.edu/20th_century/trudoc.asp.

4 Vedasi, a tal proposito, il vertice BRICS di Kazan di Ottobre 2024.

5 https://foreignpolicy.com/2011/10/11/americas-pacific-century/.

6 In sostanza con l’implementazione di sei linee d’azione nell’area dell’Indo – Pacifico: “strengthening bilateral security alliances; deepening America’s relationships with rising powers […]; engaging with regional multilateral institutions; expanding trade and investment; forging a broad-based military presence; and advancing democracy and human rights.” https://web.archive.org/web/20130614114825/http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/10/11/americas_pacific_century.

7 https://it.insideover.com/schede/politica/che-cose-il-pivot-to-asia-e-perche-e-importante.html.

8 Long promised and often delayed, the ‘pivot to Asia’ takes shape under Biden: NPR.

9 https://www.bbc.com/news/world-asia-16727625.

10 https://edition.cnn.com/2023/02/08/politics/china-biden-state-of-the-union/index.html.

11 https://time.com/7020042/trump-harris-china-explainer-trade-tariffs-taiwan-war-human-rights/.

FONTE: https://www.cese-m.eu/cesem/2024/11/usa-obiettivo-cina-aldila-del-presidente-del-momento-la-debole-influenza-delle-elezioni-statunitensi-sulla-politica-estera-strategica-di-washington/

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Alessandro Fanetti, analista geopolitico e autore di due libri: - 1) Russia: alla ricerca della Potenza perduta (Edizioni Eiffel, 2021). - 2) America Latina & Caraibi: "Alba e Cuore" del Nuovo Mondo multipolare (Edizioni Eiffel, 2024).
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