O TARANTO O MORTE

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LA CINA, L’ ACCIAIO E IL PORTO DI TARANTO

ALESSANDRO LEOGRANDE
corrieredelmezzogiorno.corriere.it

Taranto vista dalla Cina, la Cina vista da Taranto. Mentre le soluzioni ipotizzate per coniugare salute e lavoro sono ancora tutte in fase di definizione, proviamo ad allargare un po’ il discorso su scala globale. I due esempi che proporrò portano entrambi alla Cina.

Ecco il primo. Mi sono chiesto in queste settimane: quanti film hanno raccontato l’Itasilder e l’Ilva dopo la sua privatizzazione?

Non genericamente la fabbrica o il lavoro operaio, non un centrale nucleare o l’inquinamento industriale in senso lato, ma proprio l’Italsider, le città-Italsider, le famiglie-Italsider, il lavoro-Italsider, come si è venuto a determinare – in Italia – nel corso del Novecento? Ho chiesto a un po’ di amici registi e critici cinematografici. Se si escludono il recentissimo “Acciaio” di Stefano Mordini e alcuni documentari più che altro televisivi, la risposta è: nessuno. E ciò la dice lunga sull’assenza di un ricostruzione artistica e di una riflessione culturale su una parte così importante della storia nazionale, che ha messo insieme i destini di Genova, Napoli, Taranto… L’unico film che in qualche modo parla di Italsider è “La stella che non c’è” di Gianni Amelio. Il film, che prende spunto dal romanzo di Ermanno Rea “La dismissione”, inizia proprio laddove il romanzo dello scrittore napoletano finisce. Il protagonista (Vincenzo Buonocore nel romanzo, Vincenzo Buonavolontà nel film) è sostanzialmente il medesimo: un operaio che conosce la fabbrica a menadito, simbolo di quell’orgoglio operaio meridionale che a Bagnoli come a Taranto ha avuto la sua importanza, e oggi si tende a dimenticare, se non addirittura a denigrare. Ma mentre il romanzo parla del travaglio umano e collettivo davanti alla chiusura di Bagnoli, e alla fine della Napoli operaia, il film di Amelio sposta lo sguardo sulla Cina, sul nuovo gigante dell’acciaio, in cui la fabbrica di Napoli (gemella di quella di Taranto) viene ricostruita pezzo per pezzo.

Il film di Amelio è del 2006. A tutt’oggi le sue proiezioni sono vietate in Cina per un unico semplice motivo: “La stella che non c’è” è innanzitutto un viaggio inquietante in un paese distrutto dal connubio tra turbocapitalismo e dittatura politica. Un paese in cui la vita degli operai dei grandi indotti industriali non conta nulla (o comunque conta molto meno che in Europa) e l’inquinamento è schizzato alla stelle, producendo veri e propri ecocidi.

Proprio perché abbiamo toccato con mano il disastro di Taranto, dovremmo poter concludere che, dal punto di vista dell’inquinamento globale, chiudere un’acciaieria in Europa e riaprirla in Cina produce una devastazione ancora maggiore. E poiché l’ecologismo o è universalista o non è, di questo aspetto globale bisognerebbe tener conto quando si parla dell’Ilva. Chi vuol chiudere l’area a caldo a Taranto per far fare “il lavoro sporco” in Cina, in India o in Tunisia, si rende effettivamente conto di ciò che dice? Da tempo credo che l’ecologismo classico sia morto e sia stato ormai sostituito da un ambientalismo da sindrome “nimby”, localistico, autoreferenziale, incapace di riflettere sul nesso tra questioni ambientali, questioni sociali e ricadute globali, e quindi in buona parte reazionario. La fabbrica va cambiata qui, dall’interno, grazie a normative europee, nazionali e regionali da integrare, insieme alle indicazioni della procura, in una nuova Aia stringente; tali misure vanno fatte applicare seriamente a una azienda che finora non le ha applicate, nel rispetto innanzitutto della salute dei lavoratori e dei cittadini. La risposta non sta nello spazzare la polvere sotto il tappeto cinese, né sta nel rinunciare alla acciaio (partendo dal presupposto che la fabbrica sia irriformabile: assunto, questo, su cui paradossalmente convergono sia l’industrialismo più esasperato che l’ambientalismo fondamentalista e il qualunquismo ambiguo di coloro i quali vogliono strappare le tessere elettorali perché non si sentono rappresentati da niente e da nessuno).

Il secondo stimolo di riflessione viene da un editoriale scritto da un commentatore cinese, Lao Xi, e ripreso in Italia su www.ilsussidiario.net. Lao Xi è uno pseudonimo, l’autore lavora in un importante think thank cinese, ma le sue posizioni divergono spesso e volentieri dalla linea ufficiale di Pechino. Lao Xi scrive senza mezze parole che il futuro dell’Europa si gioca a Taranto. Ma non parla tanto della crisi dell’Ilva quanto della possibilità che la città jonica – dopo aver stipulato l’accordo di cooperazione con il porto di Rotterdam – diventi il principale porto del Mediterraneo per le merci provenienti dall’Asia; l’unica via, a suo dire, per riequilibrare il divario tra Sud e Nord del vecchio continente. I cinesi vorrebbero puntare su Taranto anziché sul Pireo, ma le infrastrutture adeguate ancora non ci sono. Lao dice: “La politica italiana non è stata finora in grado di concentrarsi sul potenziale di Taranto, ma dopo tutto, quella politica ha fallito per 20 anni nell’opera di migliorare i conti pubblici e ha sempre rinviato decisioni forti anche dopo che la crisi economica del 2008 le è esplosa in faccia. In teoria, uno sforzo europeo potrebbe riavviare l’Europa da Taranto, posto con potenziali enormi, in cui una grande azienda di Taiwan (la Evergreen) e una di Hong Kong (Hutchison Whampoa) hanno già investito lì e sono speranzose. Ma la città è ora in bilico, sull’orlo di un precipizio a causa di un eccesso di inquinamento per un’acciaieria, simbolo del degrado di tutta Italia.” Ciononostante, “il porto commerciale di Taranto sarebbe la nuova speranza, un nuovo piano, proprio per l’Unione europea. (…) Succederà? Il piano c’è, tocca ai politici italiani ed europei e ai loro calcoli capire se vogliono imboccare una via d’uscita rispetto alla piccola contabilità aziendal-nazionale, quanto gli convenga e quanto riescano a comprendere e abbracciare il forte e tenue filo europeo fra Taranto e la Cina. Così, per l’Europa, osiamo dirlo?, è o Taranto o morte.”

Alessandro Leogrande
Fonte: www.minimaetmoralia.it
Link: http://www.minimaetmoralia.it/?p=9375#more-9375
8.09.2012

Articolo publicato sul «Corriere del Mezzogiorno».

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