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NORMALIZZARE L'IMPENSABILE: FALLUJA, LE ELEZIONI USA E L'11 SETTEMBRE

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A cura di Davide
Il 2 Dicembre 2004
46 Views

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DI JOHN PILGER

L’illuminante saggio di Edward S Herman, “La banalità del male”, non è mai sembrato più opportuno. “E’ possibile fare cose terribili in modo organizzato e sistematico basandosi sulla normalizzazione”, ha scritto Herman “C’è, di solito, una divisione del lavoro tra chi fa e chi razionalizza l’impensabile, con un insieme di individui che direttamente uccidono e brutalizzano… mentre altri lavorano allo sviluppo tecnologico (un gas migliore per la camera crematoria, un Napalm che brucia più a lungo e più adesivo, nuovi modelli di frammenti esplosivi che penetrino la carne e siano difficili da rintracciare). Normalizzare l’impensabile per il pubblico è il compito degli esperti e dei media del grande circuito d’informazione.”

Oggi (6 novembre) su Radio 4, un inviato della BBC riferiva di un imminente attacco sulla città di Fallujah definendola “pericolosa” e “molto pericolosa” per gli americani. Alla domanda sulla condizione dei civili, ha risposto con tono rassicurante che i marines “se ne stavano occupando, usando un altoparlante” per dire alla gente di andar via. Non ha parlato invece del fatto che decine di migliaia di persone siano state lasciate in città. Ha accennato en passant al “più intenso bombardamento” sulla città senza far accennare a cosa esso abbia significato per le persone sotto le bombe.

Riguardo ai difensori, quegli iracheni cioè che fanno resistenza in una città che ha eroicamente sfidato Saddam Hussein; sono stati definiti semplicemente “ribelli rintanati nella città” come se fossero un corpo estraneo, una forma di vita inferiore da “stanare” (The Guardian), una preda adatta per “cacciatori di topi”, che è poi l’espressione con cui un altro inviato della BBC ci ha spiegato l’azione del Black Watch. Secondo un alto funzionario inglese, gli americani vedono gli iracheni come untermenshen, un termine che Hitler usava in Mein Kampf per descrivere ebrei, rumeni e slavi come sub-umani. Allo stesso modo, l’esercito nazista pose sotto assedio le città russe, massacrando indifferentemente combattenti e non.

Normalizzare crimini coloniali come l’attacco su Fallujah richiede una dose di razzismo tale da mettere in collegamento la nostra immaginazione verso “l’altro”. Il senso che i mezzi d’informazione vogliono trasmettere è che i “ribelli” sono guidati da sinistri stranieri del tipo che decapita la gente: da uno come Musab al-Zarqawi, ad esempio, un giordano che si dice sia l’agente capo di al Qaeda in Iraq. Questo è ciò dicono gli americani; questa è anche l’ultima bugia di Blair al parlamento. Contiamo le volte in cui questo viene ripetuto a pappagallo a una telecamera, a noi. Non viene notata l’ironia del fatto che gli stranieri in Iraq sono per la maggior parte americani e, secondo tutti gli indicatori, odiati. Questi indicatori provengono da agenzie di sondaggi considerate affidabili, una delle quali ha calcolato che di 2.700 attacchi organizzati ogni mese dalla resistenza, 6 possono essere imputabili al famigerato al-Zarqawi.

In una lettera inviata il 14 ottobre a Kofi Annan, il Consiglio Shura di Fallujah che amministra la città, ha scritto: “A Fallujah, [gli americani] hanno creato un nuovo, vago, obiettivo: al-Zarqawi. E’ trascorso quasi un anno da quando è venuto fuori questo nuovo pretesto e ogni volta che distruggono case, moschee, ristoranti, ogni volta che uccidono uomini e bambini, dicono: “abbiamo lanciato una nuova operazione vincente contro Al Zarqawi”. La gente di Fallujah è pronta a giurare che “questa persona, se esiste, non è a Fallujah… e non esiste nessun collegamento tra noi e alcun gruppo che sostenga azioni così disumane. Ci appelliamo a lei per sollecitare l’ONU [affinché venga impedito] il nuovo massacro che gli americani ed il governo fantoccio hanno in programma di attuare a Fallujah, così come in molte altre zone del paese.” Neanche una sola parola di tutto questo è stata riportata nel grande circuito dell’informazione né in Gran Bretagna, né in America.

“Cosa potrebbe indignarli al punto tale da farli uscire dal loro sconcertante silenzio?”, fu la domanda del drammaturgo Ronan Bennett ad aprile, dopo che i marines, in un atto di vendetta collettiva per l’uccisione di 4 mercenari americani, avevano ucciso più di 600 persone a Fallujah, cifra che non è mai stata smentita. Allora, come adesso, usarono la feroce potenza esplosiva di elicotteri da combattimento AC-130, bombardieri F – 16 e bombe da 500 libre contro i quartieri poveri. Inceneriscono i bambini; i loro cecchini si vantano di uccidere chiunque, come facevano i cecchini di Sarajevo.

Bennett si riferiva alla schiera silenziosa dei parlamentari laburisti, con rispettabili eccezioni, e ai sottosegretari lobotomizzati (ricordate Chris Mullin?). Avrebbe potuto aggiungere quei giornalisti che fanno di tutto per proteggere la “nostra” parte, che normalizzano l’impensabile senza minimamente accennare all’immoralità e alla criminalità che sono documentabili. Naturalmente, essere indignati per ciò che “noi” facciamo è pericoloso, perché può portare a una più ampia comprensione innanzitutto del perché “noi” siamo lì e della sofferenza che “noi” portiamo non solo in Iraq, ma anche in molte altre zone del mondo: che il terrorismo di al Qaeda è cosa da poco se paragonato al nostro.

Non c’è nulla di illecito in questa dissimulazione; avviene alla luce del giorno. L’esempio recente più impressionante è avvenuto il 29 ottobre con l’annuncio della prestigiosa rivista scientifica, The Lancet, di uno studio in base al quale 100.000 iracheni sono morti a causa dell’invasione anglo-americana. L’84% dei decessi è stato causato dall’azione americana e inglese, e il 95%, costituito per la maggior parte da donne e bambini, è stato causato da attacchi aerei e fuochi di artiglieria.

I redattori dell’eccellente MediaLens hanno sottolineato l’impeto – anzi la foga – con cui queste scioccanti notizie vengono dissimulate tra “scetticismo” e silenzio (mediaLens.org). Hanno denunciato che, fino al 2 novembre, il rapporto del Lancet è stato ignorato dall’Observer, dal Telegraph, dal Sunday Telegraph, dal Financial Times, dallo Star, dal Sun e da molti altri. La BBC ha riformulato il rapporto alla luce dei “dubbi” del governo e Channel 4 News lo ha diffamato, basandosi sulle istruzioni di Downing Street. Fatta una sola eccezione, a nessuno degli scienziati che hanno redatto questo rapporto, rigorosamente approvato dai loro pari, è stato chiesto di comprovare il lavoro fino a dieci giorni dopo, quando l’Observer, favorevole alla guerra, ha pubblicato un’intervista al direttore del Lancet, talmente faziosa da far sembrare che egli “ribattesse alle sue critiche”. David Edwards, un redattore di MediaLens, ha chiesto agli studiosi di rispondere delle critiche ai media; la loro meticolosa demolizione si può visionare su medialens.org del 2 novembre. Niente di tutto questo è stato pubblicato sul grande circuito. Così, l’impensabile in cui “noi” ci siamo imbarcati con questo massacro è stato soppresso – normalizzato. Così come fu celata la morte di più di un milione di iracheni, di cui mezzo milione erano bambini sotto i 5 anni, causata dall’embargo guidato dagli anglo-americani.

Per contrasto, nessun media ha fatto indagini sul metodo di calcolo usato dalla Tribuna Speciale Irachena che ha annunciato che le fosse comuni contengono 300.000 vittime di Saddam Hussein. La Tribuna Speciale, un prodotto del regime collaborazionista a Baghdad, è gestita dagli americani. Nessuno domanda di quelle che la BBC chiama “le prime elezioni democratiche irachene”. Non c’è informazione su i due decreti approvati a giugno che, autorizzando una “commissione elettorale”, hanno permesso agli americani di assumere il controllo sul procedimento elettorale e, di fatto, di eliminare i gruppi sgraditi a Washington. Time magazine informa su come la CIA abbia comprato i suoi candidati preferiti, secondo un metodo che l’agenzia ha usato su e giù per il mondo per determinare l’esito delle elezioni. Quando e se le elezioni avranno luogo, ci riempiranno la testa di luoghi comuni sulla nobiltà di un voto, grazie al quale verranno “democraticamente” eletti dei burattini in mano agli americani.

Il modello di riferimento è stata la “copertura” delle elezioni presidenziali americane: una bufera di banalità atta a normalizzare l’impensabile, ciò che è accaduto il 3 novembre non è stato affatto democratico. Fatta una sola eccezione, nessuno nello stormo di sapientoni volati da Londra ha descritto il circo di Bush e Kerry come lo stratagemma messo su da meno dell’1% della popolazione, dai ricconi e dai potenti che controllano e dirigono l’economia della guerra permanente. Che a perdere non siano stati solo i Democratici, ma la vasta maggioranza degli americani, indipendentemente da chi essi abbiamo votato, era una verità innominabile.

Nessuno ha parlato del fatto che John Kerry, criticando la “guerra al terrorismo” e i disastrosi attacchi di Bush in Iraq, abbia semplicemente usato la diffusa sfiducia verso l’invasione per costruire un sostegno per il dominio americano nel mondo. “Non sto dicendo di lasciare [l’Iraq]”, diceva Kerry,“sto parlando di vincere!”. In questo modo, sia lui che Bush hanno spostato l’ordine del giorno addirittura più a destra, tanto che milioni di democratici contrari alla guerra si sono convinti che gli Stati Uniti avessero “la responsabilità di portare a termine il lavoro”, altrimenti ci sarebbe stato il “caos”. Il punto cruciale nella campagna presidenziale non è stato nè Bush nè Kerry, ma una guerra economica volta alla conquista, all’estero e alla divisione economica, in casa. Il silenzio su questo è stato totale, sia in America che qui.

Bush ha vinto invocando, più abilmente di Kerry, la paura verso una minaccia indefinita. Come è riuscito a normalizzare questa paranoia? Diamo un’occhiata al passato recente. Dopo la fine della guerra fredda, l’elite americana – repubblicana e democratica – aveva grossa difficoltà a convincere l’opinione pubblica che i miliardi di dollari spesi nella guerra economica non dovessero essere deviati nei “vantaggi portati dalla pace”. La maggioranza degli Americani si rifiutava di credere che esistesse ancora una “minaccia” potente come la minaccia rossa. Questo non impedì a Bill Clinton di presentare al Congresso la più grossa spesa della storia della “difesa”, destinata al sostegno della strategia del Pentagono chiamata “dominio su gamma completa”. L’11 settembre 2001 alla minaccia fu dato un nome: Islam.

In occasione di un recente viaggio a Philadelphia, ho scovato il rapporto Kean al Congresso sull’11 settembre in vendita in edicola. “Quanti se ne vendono?”, ho chiesto. “Uno o due”, è stata la risposta. “Spariranno presto dalla circolazione”. Eppure, questo libercolo con copertina blu è una rivelazione. Così come il rapporto Butler, che descriveva dettagliatamente tutte le prove incriminanti della falsificazione delle informazioni da parte di Blair prima dell’invasione dell’Iraq, e poi risparmiava i colpi e concludeva che nessuno era responsabile. La Commissione Kean ha reso incredibilmente chiaro ciò che era accaduto, ma poi non è arrivata a tracciare le ovvie conclusioni. Questo è un atto supremo di normalizzazione dell’impensabile. Non stupisce che le conseguenze siano vulcaniche.

La più importante prova per la Commissione giunse dal generale Ralph Eberhart, comandante del Comando di Difesa Aereospaziale del Nord America (Norad). “I caccia della Air force avrebbero potuto intercettare gli aerei di linea dirottati contro il World Trade Center e il Pentagono”, ha detto, “se solo i controllori del traffico aereo avessero chiesto soccorso 13 minuti prima… Avremmo potuto abbatterli tutti e tre…tutti e quattro.”

Perché non è successo?

Il rapporto Kean chiarisce che “la difesa aerospaziale statunitense l’9/11 non era condotta in base all’addestramento e ai protocolli preesistenti… Se un dirottamento era confermato, la procedura richiedeva che il coordinatore del dirottamento in servizio contattasse il Centro del Comando Militare Nazionale del Pentagono (NMCC)… Solo dopo, il NMCC poteva chiedere l’approvazione all’ufficio del segretario della Difesa per la fornitura di assistenza militare…” Eccezionalmente, questo non è accaduto. L’amministratore delegato dell’Autorità Federale per l’Aviazione ha detto alla commissione che non c’era un motivo preciso per cui la procedura non fosse operativa quella mattina. “Nei miei 30 anni di esperienza…”, ha detto Monte Belger, “il NMCC è sempre stato collegato e in ascolto in tempo reale… Si può dire che io abbia vissuto dozzine di dirottamenti … e loro erano sempre in ascolto, di nascosto, con qualcuno altro.” Ma in questa occasione, non c’erano. Il rapporto Kean dice che il NMCC non fu mai informato.
Perché? Di nuovo, fu detto alla commissione, eccezionalmente, che tutti i tentativi di comunicazione con gli alti ufficiali militari americani fallirono. Non si riuscì a raggiungere il segretario della difesa Donald Rumsfeld; e quando finalmente egli parlò a Bush un’ora e mezza dopo, ci fu, dice il rapporto Kean, “una breve chiamata in cui non si discusse la questione dell’abbattimento.” Di conseguenza, i comandanti NORAD “furono lasciati all’oscuro su quale fosse la loro missione.”

Il rapporto rivela che l’unica parte al lavoro di un sistema di comando prima di allora infallibile, era alla Casa Bianca dove il vice presidente Cheney aveva il controllo effettivo quel giorno, e era a stretto contatto con il NMCC. Perché non fece nulla per i primi due aerei dirottati? Perché il NMCC, l‘anello vitale, rimase in silenzio per la prima volta dalla sua creazione? Kean ostentatamente si rifiuta di affrontare questo argomento. Naturalmente, tutto ciò potrebbe essere stato dovuto alla più straordinaria delle coincidenze. Oppure no. Nel luglio 2001, in un’informativa top secret preparata per Bush si leggeva: “Noi [la CIA e l’FBI] riteniamo che OBL [Osama Bin Laden] voglia lanciare un grosso attacco terroristico contro gli Stati Uniti e/o Israele nelle prossime settimane. L’attacco sarà spettacolare; sarà un eccidio di massa ai danni degli interessi e delle strutture USA. I preparativi per l’attacco sono stati completati. L’attacco avverrà senza alcun avvertimento o quasi.”

Nel pomeriggio dell’11 settembre, Donald Rumsfeld, dopo aver fallito contro coloro che avevano appena attaccato gli Stati Uniti, disse ai suoi assistenti di mettere in piedi un piano di attacco contro l’Iraq – quando le prove non esistevano ancora. Diciotto mesi più tardi, l’invasione dell’Iraq, non provocata e basata su menzogne a quel punto documentate, ebbe luogo.

Questo crimine epico è il più grande scandalo politico dei nostri tempi, l’ultimo capitolo di una storia lunga tutto il XX secolo fatta di conquiste occidentali su altre terre e sulle loro risorse. Se noi permettiamo che questo sia “normalizzato”, se ci rifiutiamo di chiedere e di indagare le intenzioni nascoste e le inspiegabili strutture segrete del potere al cuore dei governi “democratici”; se noi permettiamo che la gente di Fallujah sia annientata nel nostro nome, noi rinunciamo alla democrazia e all’umanità.

Da: http://pilger.carlton.com/print
Traduzione di Tanina Zappone per Nuovi Mondi Media
Fonte:www.nuovimondimedia.it
2.12.04

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