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La Redazione

 

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NON VOTATELI

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A cura di Davide
Il 9 Aprile 2008
35 Views

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

DI MARINO BADIALE

1. Fine della politica.
Nel mondo del neoliberismo non c’è più nessuno spazio per la politica
intesa come sfera in cui si confrontano idee diverse sulla direzione da
imprimere allo sviluppo sociale. Lo sviluppo sociale è comandato, in ogni
ambito, dall’economia e dalle sue esigenze di profitto. A cosa si riduce
allora la politica, se si accetta questo mondo? A pura e semplice
amministrazione dell’esistente, a competizione fra cordate di
amministratori, il cui unico ruolo, ben pagato, è quello di gestire il
consenso sociale alle politiche neoliberiste. Poiché tali politiche
comportano la perdita di diritti e redditi, il peggioramento lento e
costante della qualità della vita, tale consenso può essere ottenuto solo
con la distruzione di ogni discussione pubblica razionale. Di qui la
distruzione della scuola e dell’Università, e la riduzione
dell’informazione a gossip.

Poiché le contrapposizioni interne al ceto politico non hanno più nessuno
spessore politico o ideologico, e sono semplici scontri sulla
distribuzione di posti e prebende fra gang contrapposte, è corretta la
caratterizzazione del ceto politico come Casta.

A seguito, “La farsa elettorale” (Marco Cedolin); “Elezioni politiche, cittadinanza e scelta personale di non andare a votare” (Carlo Gambescia);
La Casta è al servizio della dinamica distruttiva del capitalismo
attuale, e va combattuta come nemica della civiltà e della società. Il
fatto che essa non decida nulla (perché tutto è deciso dall’economia) non
significa che essa sia irrilevante: è un’articolazione fondamentale del
capitalismo neoliberista, è l’ingranaggio che deve conquistare il consenso
di masse sempre più impoverite sia sul piano materiale sia su quello
culturale

Poiché le contrapposizioni fra destra e sinistra non hanno nessun valore
rispetto ai problemi esaminati, destra e sinistra vanno combattute assieme
come espressione dello stesso male. In particolare vanno combattuti non
solo i due principali raggruppamenti (PD e PdL) ma anche i loro
comprimari, come i gruppi che oggi formano la Sinistra Arcobaleno. Durante
i governi di centrosinistra questi ultimi hanno mostrato, oltre ogni
ragionevole dubbio, il loro essere totalmente funzionali (come “copertura
a sinistra”) ai progetti neoliberisti e imperialisti.

2. Esiste uno spazio sociale nel quale agire questa lotta contro la Casta?
Esso esiste, a nostro avviso, e si manifesta oggi come rifiuto
generalizzato della Casta, che la Casta stessa denomina “antipolitica”
(denominazione ovviamente menzognera come tutto quanto proviene dalla
Casta: è la Casta a negare la politica, a rappresentare la vera
antipolitica). Lo spazio in cui agire questa lotta non però è quello del
“popolo di sinistra”: chi crede questo ritiene che il fatto che il popolo
di sinistra si richiama a ideali di giustizia e uguaglianza ne faccia una
base per la lotta contro le linee di tendenza della società attuale. Ma è
un errrore: il richiamo ai valori storici della sinistra non ha nessun
significato concreto, per il popolo di sinistra, che infatti ha
concretamente dimostrato di accettare qualsiasi violazione di tali valori,
da parte dei governi di centrosinistra. Il popolo di sinistra reagisce in
base a meccanismi identitari che lo portano ad accettare qualsiasi cosa,
purchè la faccia un governo di sinistra, e ad aggirare con sofismi di
vario tipo le contraddizioni. E’ solo da una netta rottura con il popolo
di sinistra che può nascere un’area sociale di opposizione alla Casta e al
capitalismo neoliberista.

3. La scelta di non votare significa per prima cosa questo: la rottura con
il popolo di sinistra e la sua ossessione per il “pericolo Berlusconi”, la
riconquista di uno spazio di libertà e dignità intellettuale.

4. Esistono piccoli raggruppamenti, come il PCL o il movimento di Fernando
Rossi, che appaiono esprimere istanze esterne alla Casta. Non ci sembra
però utile votarli (a livello nazionale: diverso è il dicorso per liste
locali). Da una parte personalità interessanti, appunto come Fernando
Rossi o Giulietto Chiesa, non sembrano avere rotto il cordone ombelicale
con il “popolo di sinistra”, per cui si può dubitare che riescano ad
esprimere quella netta rottura con la Casta che a noi sembra necessaria.
Dall’altra, ogni riproposizione di partiti comunisti è destinata a vivere
una vita ultraminoritaria: e la cosa è talmente evidente e ovvia che
sembra necessario dedurre che chi ripropone oggi un partito comunista (che
finalmente sarà quello giusto, quello buono, quello vero) vuole appunto
essere una minuscola minoranza chiusa in se stessa.

5. Al solito, che fare (in questo caso, dopo le elezioni)?
Poiché da almeno trent’anni ci stiamo ritirando e il nemico sta avanzando,
e non si vedono elelementi che possano far pensare ad un mutamento di
questo stato di cose, l’unica prospettiva è quella della resistenza. Per
capire quali possono essere le linee di resistenza, occorre capire quali
saranno le linee di attacco.

Un primo punto è ovvio: il progetto di dominio globale USA, la “guerra
infinita e permanente” continuerà ad essere perseguito e continuerà a
suscitare resistenze. L’appoggio alle resistenze dei popoli aggrediti
dall’imperialismo è la linea di resistenza più facile da individuare.
Un secondo punto è quello della difesa dei territori da progetti invasivi,
e quindi il sostegno a tutti quei movimenti (NO TAV, NO ponte sullo
stretto, NO rigassificatori ecc.) che nascono in opposizione a progetti
economici invasivi e devastanti per gli equilibri del territorio stesso.
Queste lotte vanno nella direzione della critica dello sviluppo, anche se
i suoi attori possono non averne coscienza. Con questo intendiamo dire che
la prospettiva della critica dello sviluppo è l’unica che renda coerenti
queste lotte, dando ad esse un valore e una prospettiva generali. Al di
fuori di questa prospettiva, esse possono essere facilmente criticate e
isolate indicandole come espressione di egoismi locali che devono cedere
il passo all’interesse generale. La risposta a questa critica sta appunto
nell’indicare il rifiuto dello sviluppo, cioè la decrescita, come
interesse generale del paese.

Un terzo punto si collega al primo: il progetto di dominio globale USA
comporta la messa in mora, nei paesi occidentali, della rete di diritti e
garanzie che la civiltà borghese aveva elaborato come diritti del
cittadino: l’habeas corpus, il diritto ad un giusto processo,
l’indipendenza della magistratura. Sono tutti aspetti della civiltà
giuridica borghese che la misure legislative adottate negli USA dopo l’11
settembre (dal “patriot act” in poi) hanno cominciato ad attaccare e
indebolire. Analoghi fenomeni stanno avanzando negli altri paesi
occidentali (si pensi al fenomeno delle “extraordinary renditions”). Non
si tratta di una tendenza momentanea destinata a rientrare, ma di un
aspetto profondo e fondamentale del capitalismo e dell’imperialismo
contemporanei. Se è così, allora una linea di resistenza è rappresentata
dalla difesa dello Stato di diritto.

Un altro aspetto decisivo del capitalismo contemporaneo è l’ossessiva
ricerca del profitto senza limiti e a breve e brevissimo termine. Questo
non è possibile rimanendo nell’ambito della legge (della stessa legge
borghese!): di qui il carattere criminale di una parte sempre più grande
dell’economia capitalistica contemporanea. Criminale nel senso di essere
legata a pratiche di truffa e di corruzione, e nel senso di lasciare
sempre più spazio all’economia delle grandi organizzazioni criminali, che
si confonde in misura crescente con quella “legale”. Ciò implica che il
capitalismo ha bisogno di disattivare il controllo di legalità sui grandi
crimini economici. Anche in questo caso, dunque, la richiesta di difendere
lo Stato di diritto ha un carattere di resistenza e ostacolo al
dispiegamento della logica del capitalismo contemporaneo.

Più in generale, come abbiamo detto, l’odierno capitalismo neoliberista e
globalizzato deve abbattere tutte le garanzie e i diritti conquistati nel
corso dela fase riformista-socialdemocratica. In Italia quelle conquiste
hanno trovato un inquadramento nell’ambito legale e istituzionale
disegnato dalla Costituzione, che è nata come compromesso di alto livello
fra le tradizioni liberale, cattolica e socialista-comunista. Per il pieno
dispiegamento della logica distruttiva del capitalismo contemporaneo è
quindi necessario abbattere o eludere i vincoli rappresentati dal dettato
costituzionale. E’ quanto è stato fatto finora in maniera informale (per
l’impossibilità di trovare un accordo per una nuova Costituzione fra le
diverse sottocaste), è quanto farà dopo le elezioni il nuovo Parlamento.
Non sappiamo se ci saranno grandi riforme istituzionali o proseguirà lo
svuotamento della Costituzione lasciandone formalmente vigente il dettato.
In ogni caso, la difesa della Costituzione ci sembra la migliore linea di
resistenza possibile: essa compendia infatti in sé la difesa dello Stato
di diritto e la difesa di alcuni fondamentali conquiste della fase
riformista-socialdemocratica.

Marino Badiale, Genova, aprile 08.

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