Claudio Paudice
Huffingtonpost.it
Altro che prestiti del Mes, c’è chi sta pensando di rinunciare pure a quelli stanziati dal tanto atteso Recovery Fund. È il caso della Spagna, ma una decisione simile è stata già presa dal Portogallo e anche in Francia si inizia a ragionare in questo senso. Fermo restando il vivo interesse per i contributi a fondo perduto (72 miliardi), per quanto riguarda il capitolo “prestiti” Madrid sta valutando di dire di No a poco meno di 70 miliardi in arrivo da Bruxelles. A darne notizia è stato il quotidiano El Pais che ha elencato le ragioni dietro alle ipotesi che circolano al ministero dell’Economia spagnolo. E riguardano, di riflesso, anche l’Italia dove la maggioranza del Governo Conte si accapiglia sul feticcio del Mes, il Fondo Salva Stati che da mesi offre credito a tassi agevolati senza che nessuno Paese si sia ancora fatto avanti per richiederlo.
Rinunciare a una settantina di miliardi di prestiti da parte di Madrid non è un segno di pazzia. La ragione principale è che i loans (e questo vale sia per il Mes sia per il Recovery Fund) concorrono all’incremento del debito pubblico, diversamente dai sussidi (grants) del RF. Debito che è già aumentato a dismisura nell’ultimo anno a causa delle misure adottate dai governi nazionali per far fronte all’epidemia e ai lockdown. Per questo l’attenzione degli Stati è tutta rivolta alle sovvenzioni che verranno ripagate solo a partire dal 2028 con nuovi contributi al bilancio Ue e/o nuove tasse comunitarie. Con un impatto quindi limitato e diluito nel tempo (fino al 2058) sui saldi di finanza pubblica.
Per i prestiti insomma non c’è tutta questa fretta. Grazie al massiccio acquisto di titoli di Stato della Bce attraverso il suo programma PEPP da 1350 miliardi, i tassi dell’Eurozona hanno infatti toccato il minimo nonostante si sia nel mezzo della più grave crisi economica in tempo di pace. Questo vale per la Spagna, che ha un debito pubblico pari al 100% del Pil, come pure per l’Italia, con un debito/Pil che viaggia verso il 160% ma con uno spread saldamente sotto controllo. Secondo una stima riportata dallo storico dell’economia Adam Tooze, mai l’Italia o autorità statale italiana precedente all’Unità ha mai preso a prestito a tassi convenienti come oggi dal lontano 1300.
Come ricorda El Pais, la scorsa settimana sia Madrid che Roma hanno emesso titoli pluriennali a tassi negativi. A partire da marzo (cioè da quando la Bce è scesa in campo contro l’epidemia) i mercati hanno mostrato un interesse crescente per i titoli di Stato dell’eurozona, e in particolare dei paesi periferici più redditizi. La curva costantemente in discesa dei rendimenti ha quindi scoraggiato il ricorso ai prestiti Ue o del Mes. Anche perché questo credito a buon mercato è spesso accompagnato da una “nebbiosa condizionalità”. Per ottenere le risorse del Recovery Fund bisognerà seguire strettamente le raccomandazioni del Semestre europeo, e non si può eludere il sospetto che prima o poi Bruxelles chiederà di nuovo aggiustamenti ai Paesi oberati da un elevato debito pubblico (in tutto il Sud è superiore al 100% del Pil). Per non parlare del Mes, fondo intergovernativo lussemburghese con status di creditore privilegiato ed esterno alle istituzioni Ue, dove per la linea di credito pandemica le condizionalità statuarie sono state sospese solo da un atto politico, non certamente giuridico.
Grazie alla sospensione del Fiscal Compact e ad un apparente ammissione degli errori passati di Bruxelles nell’applicazione troppo rigida delle regole fiscali sul deficit e altri parametri, gli Stati più indebitati si muovono in un contesto finanziario più agevole e non sembrano perciò intenzionati a ricorrere ai prestiti europei, sebbene consentano risparmi relativi sul servizio del debito perché accompagnati quasi sempre da un trade-off sul piano politico. Del resto il Recovery Fund consente agli Stati membri di chiedere accesso ai prestiti fino al 2023, per cui al momento non c’è nessuna esigenza di chiederne una anticipazione se si gode di accesso al mercato coi tassi ai minimi storici. La Bce, da parte sua, ha più volte ribadito che non intende ridurre nel prossimo futuro la portata del suo intervento e anzi ha fatto intendere di volerlo ampliare chiedendo ai governi europei di fare lo stesso, attivando al più presto lo strumento di recupero e resilienza senza cedere il passo a ripensamenti o a ridimensionamenti.
Dato che gli appetiti sono rivolti alla propria fetta di sussidi – la parte gustosa del Recovery Fund – al momento non c’è una esigenza di accelerare sulla quota di prestiti. Pur essendo molto consistenti – per la Spagna una settantina, per l’Italia circa 120 miliardi, una decina per il Portogallo – in quanto prestiti andranno restituiti. Come ha rilevato giustamente El Pais, non è poi assolutamente scontato che tutti gli Stati membri abbiano la capacità amministrativa per poter spendere una tale mole di risorse. In altre parole c’è il rischio che una volta ottenuti non si riesca poi a spenderli tutti. E dato che al momento nessun paese, né Spagna né tantomeno il Portogallo, ha problemi di liquidità, ci si interroga sulla necessità o meno di attivarli subito.