DI GIANLUCA FREDA
blogghete!!!
Fra tante brutte notizie, la guerra in Libia ci porta, di tanto in tanto, anche qualche piccola soddisfazione. Quest’oggi, tra le buone notizie reperite sul web che appendo in bella vista sulla mia bacheca nell’incessante ricerca di eventi gaudiosi per cui valga ancora la pena di vivere, c’è questo articolo del Daily Mail . In esso veniamo informati come tra le prime vittime della guerra di Libia e delle pantegane che l’hanno organizzata nei minimi dettagli e poi scatenata, vi siano proprio i coglioni che l’hanno appoggiata con gioia, accogliendo i ratti di fogna con gran sventolìo di bandierine stellate e strisciate. Cito dal testo dell’articolo:
“Sei abitanti di un villaggio libico sono stati ricoverati in ospedale dopo essere stati colpiti con armi da fuoco da alcuni soldati americani intervenuti in soccorso di piloti americani il cui aereo si era schiantato in un campo vicino.
L’elicottero di soccorso ha iniziato a sparare subito dopo essere atterrato in un campo a poca distanza da Bengasi, accanto all’aereo F-15E Eagle della US Air Force che aveva avuto problemi durante i bombardamenti della scorsa notte. Un manipolo di abitanti del luogo, venuto a congratularsi con i piloti, è stato colpito dalle raffiche. Tra essi, un bambino cui dovranno probabilmente essere amputate le gambe a causa delle ferite provocate dai proiettili. Si tratta delle prime vittime accertate dell’operazione alleata. L’editore internazionale di Channel Four, Lindsey Hilsum, ha confermato le vittime civili.
L’equipaggio dell’aereo da combattimento era riuscito a salvarsi miracolosamente dopo un sospetto guasto meccanico verificatosi durante la terza notte di bombardamenti sulle postazioni militari del Col. Gheddafi. Secondo l’Evening Standard, uno dei piloti, vistosi circondato dai locali, ha sollevato le braccia gridando “okay, okay”. Ma i libici, colmi di gratitudine, si sono messi in fila per ringraziarlo e offrirgli da bere. Younis Amruni racconta al giornale: “L’ho abbracciato e gli ho detto: ‘Non aver paura. Noi siamo grati a questi uomini che proteggono il cielo”. L’aereo, con base a Lakenheath nel Suffolk, era decollato da Aviano, in Italia, ma era poi precipitato mentre sorvolava Bu Mariem, circa 24 miglia a est di Bengasi.
I rottami dell’aereo verranno recuperati o distrutti dagli americani, per impedire che cadano nelle mani di Gheddafi, mentre i piloti sono stati visitati da un medico nella roccaforte ribelle, prima di essere trasportati su una nave americana. L’esercito americano ha confermato lo schianto di un Air Force F-15 Strike Eagle in Libia, ma afferma che esso non è stato abbattuto [no, no, e chi ha mai detto una cosa simile, NdT], mentre Vince Crawley, portavoce dell’Africa Command, ha detto che i piloti sono riusciti ad espellersi prima dello schianto, riportando solo ferite lievi. Dopo aver valutato le reazioni degli abitanti della zona, la Hilsum ha dichiarato: “I libici non sembrano risentiti, vogliono ancora che le forze della coalizione proseguano con le operazioni”.
Non so dire quanto di quest’ultima dichiarazione corrisponda ai reali sentimenti dei bifolchi del luogo e quanto di essa sia invece propaganda delle forze armate. Non mi meraviglierei se si trattasse della pura verità. E’ noto – e io lo ripeto spesso – che non c’è verso di far rinsavire una collettività di idioti. Più l’ideologia d’accatto che ottenebra le loro menti li prende a cazzotti nel muso, più implorano nuove e più possenti batoste. Torna alla memoria un film di Tim Burton di qualche anno fa, cinico e meravigliosamente educativo, Mars Attacks. In esso, i marziani invadono la Terra e i terrestri, anziché lanciargli addosso un centinaio di bombe atomiche, come la prudenza e la ragione consiglierebbero, li accolgono a braccia aperte facendo sfoggio di tutta la retorica, tutto il buonismo, tutta l’ideologia zuccherosa e melensa, tutta la vanvera sulla “democrazia” e sulla “fratellanza dei popoli” di cui la specie umana è capace quando gli dà davvero di volta il cervello. I marziani, ovviamente, sghignazzano in faccia ai terrestri e li massacrano a grappoli, sbigottiti ed esilarati dinanzi a cotanta decerebrazione parolaia. Alla fine, l’unica cosa in grado di distruggere gli extraterrestri sarà quella stessa melassa buonista portata ai suoi livelli più letali e insostenibili, sotto forma delle insopportabili canzonette d’amore di Slim Whitman.
L’Italia intera avrebbe molte cose da imparare dal film di Tim Burton. Ad esempio, tra poco più di un mese saremo costretti a celebrare il 66° anniversario di quella che chiamiamo la nostra “liberazione”. Ora, a me vengono in mente molte nazioni che sono state sconfitte, distrutte e qualche volta umiliate dagli Stati Uniti d’America. Ma non riesco a ricordarne nessuna ridotta a tali livelli di sguatteraggio da essere costretta addirittura a celebrare, con apposita festività nazionale, la propria sconfitta, rovinosa e umiliante; e a chiamarla pure “liberazione”, tra gli sghignazzi dei roditori alieni da cui è stata conquistata. La reazione dei bifolchi di Bengasi di fronte ai “liberatori” che li prendono a mitragliate, in qualche modo mi conforta: è probabile che ben presto non saremo più soli in questa manifestazione grottesca di vergogna terminale. Oppure: mi vengono in mente molte nazioni che, nel corso della storia, si sono avventurate in guerre rischiose, inseguendo litanìe ideologiche e slogan propagandistici di diversa imbecillità. Ma non avevo mai visto una nazione avviarsi, intonando i peana ideologici della “libertà” e della “democrazia”, in un conflitto il cui scopo dichiarato è quello di ledere i suoi interessi nazionali. La fanteria italica della logorrea libertaria marcia spedita, sotto la frusta dei suoi capi, verso la devastazione dei suoi interessi energetici, verso l’ignominia diplomatica internazionale, verso la rinuncia alla sua area naturale d’interesse geostrategico. E non – si badi bene – nell’interesse dei suoi despoti, verso i quali, com’è comprensibile, la resistenza potrebbe costare cara; bensì nell’interesse dei suoi concorrenti di zona, di altri sguatteri di pari livello che hanno avuto l’intelligenza di calare meno le brache, conquistandosi così, se non il rispetto, almeno la prima fila nelle razzie banditesche che seguiranno alla battaglia. I capi puniscono severamente le ribellioni dei servi, ma disprezzano con altrettanta forza la loro mancanza di dignità.
Eppure le fanfare ideologiche dell’armata di lavapiatti risuonano squillanti, tra blàtere di “autodeterminazione dei popoli” e sputazzi di “dittatori da rovesciare”. Il morale della truppaglia è alto. Forse perché essa si muove sulle note dell’aria che le è più congeniale, quella della pugnalata alle spalle ai danni di un vicino che le aveva garantito, nel tempo, appalti energetici vantaggiosi, commesse milionarie per le sue aziende piccole e grandi, contributi al pattugliamento delle sue coste contro l’immigrazione incontrollata. Si fa fatica a comprendere il tripudio con cui quest’armata di lemming si dirige verso l’abisso che scruta esultante dinanzi a sé. Solo l’antico apologo esopico dello scorpione e della rana riesce a fornirci qualche illuminazione in merito.
Ricordo di aver letto da qualche parte che, durante il periodo della tratta degli schiavi, i negrieri statunitensi erano soliti tagliare i piedi ai prigionieri che tentavano di fuggire. Ma non avevo mai sentito parlare di negri che si tagliassero i piedi da soli per poi dividerne i resti, con pavida imparzialità, tra gli aguzzini e i compagni di deportazione. Per quanto mi sforzi, non rammento culture sulla faccia di questo pianeta che abbiano mai praticato costumanze di simile, delirante squallore. Gli italiani non appatengono a questo mondo: sono extraterrestri. Ed è rincuorante apprendere, grazie alla dabbenaggine suicida dei bifolchi di Bengasi, che non siamo soli in questo universo.
Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.altervista.org/
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23.03.2011