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La Redazione

 

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NON PUO’ FINIRE CHE COSI’ (PRIMA PARTE)

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A cura di Davide
Il 13 Maggio 2009
28 Views

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DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com/

Sinceramente, una campagna elettorale così scipita, priva di contenuti e con un esito scontato non l’avevamo mai vista. E c’è ancora qualcuno che si scalda per sondaggi e proposte.
Pare che tutto l’interesse sia centrato sul fenomeno del “velinismo”, sul divorzio del Capo del Governo, sulle ministre diventate tali per meriti “sul campo”. A nostro avviso, sarebbe più interessante analizzare metodi, contenuti e prassi del Governo e della classe politica, per comprendere che fine faremo. Poiché, quando le “veline” saranno nonne, i nostri figli saranno grandi e si porteranno appresso i frutti di questa stagione disperata.
Preferiamo, quindi, gettare lo sguardo un poco più in là, dove ci troveremo in tristi ambasce fra qualche anno. Per farlo, però, dovremo prima analizzare attentamente cosa bolle in pentola oggi: ecco la ragione dell’articolo scisso in due parti.

Partiamo da un personaggio appena scomparso: Gianni Baget Bozzo, a ragione definito “l’ideologo di Forza Italia” e, oggi, del PdL.

Nella foto: Gianni Baget Bozzo


Spesso assegniamo al successo di Berlusconi la solita valenza mediatica, ossia d’aver conquistato l’Italia soltanto grazie alle sue televisioni. In parte è vero: i messaggi ed i valori propagati per anni non sono scivolati via come acqua sulla pietra, ma l’hanno scavata, al punto da modificare – e parecchio! – il costume e la cultura del popolo italiano. L’ho più volte ricordato in alcuni miei articoli[1], ma non è tutto qui.
Il movimento di Berlusconi non s’è nutrito soltanto di tette, culi e telequiz perché, in altre stanze, c’erano almeno due teste pensanti di quelle “fini”: il “diplomatico” Gianni Letta e l’ideologo, Gianni Baget Bozzo.
Il sacerdote, scomparso pochi giorni or sono, era un valente intellettuale conservatore – o, se preferite, reazionario – ma profondamente acculturato, acuto osservatore ed abile nel prevedere i frutti delle mosse politiche che suggeriva. A ragione, Berlusconi ha ammesso che per il suo partito s’è trattato di una grave perdita: lo crediamo bene, Baget Bozzo non era mica Schifani o Scajola!
Figlio della cultura conservatrice della Prima Repubblica – dalla destra DC al PSI di Craxi – può ben essere considerato il vero fondatore di Forza Italia. Ascoltiamolo in una sua dichiarazione[2] rilasciata non molto tempo fa:

“Il Popolo della Libertà sarà un partito nazional-popolare. Il movimento di Berlusconi è nato con un appello rivolto al popolo. Ma il popolo non colto. La sinistra ha il monopolio della cultura in Italia e il premier ha in mano il popolo povero contro quello grasso.”

La dichiarazione di Baget Bozzo è veritiera ad un tempo ma parzialmente errata per altri aspetti: non che l’astuto sacerdote savonese non lo sapesse, ma faceva parte del gioco farlo credere. Finezza democristiana.
E’ verissimo che la sinistra italiana è più radicata fra la popolazione colta, ma non è altrettanto vero che il PdL combatta il popolo “grasso”. E vediamo il perché.
Ci vengono in aiuto i molti rapporti che la Banca d’Italia redige[3] sulla distribuzione della ricchezza in Italia, dai quali si evince che la situazione nel Belpaese è fortemente squilibrata:

il 10% più ricco della popolazione possiede circa il 50% della ricchezza;
Il 50% più povero della popolazione possiede circa il 10% della ricchezza;
Il 40% mediano della popolazione possiede il restante 40%.

Il PIL italiano, per l’anno 2008[4], ammonta a 1535 miliardi di euro: ci rendiamo conto che il PIL non è che un indicatore – e non un parametro – ma, per ciò che andremo ad analizzare, basterà. Calcolando la ricchezza mediante il PIL, ed “incrociandola” con la precedente tabella, si giunge a questa situazione:

il 10% più ricco della popolazione possiede 767,5 miliardi di euro;
Il 50% più povero della popolazione possiede 153,5 miliardi di euro;
Il 40% mediano della popolazione possiede 614 miliardi di euro.

Da cui:

6 milioni d’italiani (ricchi) possiedono 767,5 miliardi di euro;
30 milioni d’italiani (poveri) possiedono 153,5 miliardi di euro;
24 milioni d’italiani (medi) possiedono 614 miliardi di euro.

Dunque:

Un italiano (ricco) ha a disposizione[5] 127.917 euro l’anno;
Un italiano (povero) ha a disposizione 5.117 euro l’anno;
Un italiano (medio) ha a disposizione 25.583 euro l’anno.

Considerando una famiglia media, composta da tre persone, nel 2008 la ricchezza (lorda) della quale hanno beneficiato è stata:

10% ricchi: 383.750 euro
50% poveri: 15.350 euro
40% medi: 76.750 euro

Per sperequazione della ricchezza, l’Italia occupa una delle prime posizioni: più “iniquo” di noi c’è soltanto il Messico, mentre siamo grosso modo al livello di Polonia e Stati Uniti, Paese che è noto per la forte concentrazione di reddito in poche mani. Le altre nazioni europee sono ben distanti da questi valori, come avevamo già chiarito in un precedente articolo[6].
Sarebbe stato più semplice proporre, da subito, il PIL pro capite, ma riteniamo che un’esposizione più dettagliata chiarifichi meglio ciò che andremo ad esporre.
Come si è giunti a questo scenario? E’ veritiero?

La concentrazione dei redditi è, per alcuni aspetti, strutturale del capitalismo: pensiamo alla transizione dal commercio “polverizzato” in tanti piccoli esercizi commerciali ai grandi ipermercati. E’ un fenomeno noto da decenni, chiamato da qualcuno (sinistra) “proletarizzazione dei ceti medi” oppure (destra) “crisi del ceto medio”: la sostanza non muta.
Riflettiamo che, questo scenario, è destinato nuovamente a modificarsi con il successivo passo: dal grande ipermercato reale a quello virtuale, ossia la vendita via Web, che potrà tornare a beneficiare il “piccolo”. Il “piccolo”, tramite E-bay, riuscirà ad insidiare il “grande”? Oppure il “grande” riuscirà, ancora una volta – con “apposite” leggi – a fregarlo? Staremo a vedere.
Nello scenario macroeconomico, la situazione è figlia delle “riforme” impostate da Reagan, poi dalla Thatcher ed applicate da tutti gli schieramenti, in Italia ed all’estero. Meditiamo su quanto di “sinistra” siano stati i governi Blair in Gran Bretagna ma, anche da noi, la cosiddetta “sinistra” non ha scherzato.

Prodi, partì con l’idea di spostare il prelievo fiscale dal lavoro alla rendita finanziaria, per poi non combinare nulla, perdere consensi per non aver indicato una soglia di tassazione e, infine, tassare maggiormente le auto più inquinanti (quelle vecchie, dei poveracci). “Riformò” poi la riforma Maroni sulle pensioni (61 anni d’età, 36 di contribuzione) con quella Damiano (62 anni d’età, 37 di contribuzione). Una serie di splendidi autogol alla propria base elettorale.
Il centro-destra, invece, si guarda bene dal colpire la propria base elettorale – che non è soltanto, come Baget Bozzo voleva far intendere, quella dei “non acculturati” – e lo mostra in tantissime occasioni.
Franceschini propone un prelievo fiscale per i redditi sopra i 100.000 euro da destinare alla ricostruzione dell’Abruzzo: il PdL risponde che “è sbagliato” perché saranno proprio le persone più abbienti, con i loro consumi, a trascinare il Paese fuori della crisi.
Si tratta, palesemente, di una balla colossale perché, chi ha a disposizione 100.000 euro l’anno – crisi o non crisi – non sta certo a speculare sul prezzo di una banana. Il pensionato al minimo sì, e non la compra.
Prova ne sia che, all’ultimo Salone della Nautica di Genova, il settore dei piccoli-medi natanti era in crisi, mentre quello delle “barche da sogno” correva a mille.

Respingendo la proposta di Franceschini, il PdL invia un messaggio chiaro: con noi, i vostri alti redditi non saranno toccati.
La serie continua con le “revisioni” degli studi di settore, sempre bonaria quando governa Berlusconi, con interventi a favore dell’edilizia (mai popolare) come i condoni o la recente legge, che è soltanto un condono ufficializzato e perenne.
Insomma, Berlusconi non bada a spese per proteggere i “suoi”, al punto che la ricostruzione dell’Abruzzo – con il fantastico decreto “Abracadabra”, nel quale i soldi saranno trovati con “nuove lotterie” – è destinata a durare fino al 2034. Quelli che “navigano” intorno ai sessant’anni, l’Aquila non la vedranno mai più.
E, attenzione, non batte ciglio sulla questione del Ponte sullo Stretto – da costruire in zona sismica, violentando
due città con quattro piloni che avranno una cubatura paragonabile a quella delle Twin Tower – poiché non può esimersi dal mantenere le promesse fatte a suo tempo in Sicilia, dove controlla l’elettorato dell’intera isola.
Berlusconi – al contrario di quanto affermava Baget Bozzo – è attentissimo a non scontentare i propri elettori (e referenti, a scelta), soprattutto se “grassi”. Altro che cultura.

All’opposto, è abile nello scovare settori della società italiana a lui meno vicini ed a colpirli: uno degli esempi è la famosa questione dei “fannulloni”, creata ad arte da Brunetta.
Non torneremo sulla vicenda mediatica che ha permesso al governo d’imporre una vera e propria “tassa sulla malattia”, perché lo abbiamo già fatto in altri articoli. Sono interessanti, invece, il metodo ed i risultati.
Il metodo è palesemente anti-costituzionale, poiché discrimina i lavoratori rispetto all’art. 3 della Costituzione:

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Se la privazione di parte del salario fosse stata sancita da un accordo sindacale, non ci sarebbe nulla da discutere. Invece, è giunta con un provvedimento legislativo (DM 122, poi convertito in legge) e quindi si tratta di una legge dello Stato che discrimina un lavoratore da un altro: qualsiasi legge, non può sancire una tale disparità fra simili, perché cozza contro i principi costituzionali. Il vero problema, però, è che tutti hanno fatto orecchie da mercante, “opposizione” compresa.
Possibile che nessuno si sia accorto che, introducendo il concetto che i soli lavoratori pubblici debbano essere colpiti se malati, s’infrangeva la loro “dignità sociale”? Come può, un ministro, additare all’opinione pubblica un’intera categoria come “fannulloni”? Oltretutto, un ministro che – quando fu eletto al Parlamento Europeo – fu il più assenteista dei parlamentari italiani?
Vorremmo che tutti, compresi coloro che magari non provano molta simpatia per i dipendenti pubblici, riflettessero sul vulnus giuridico che – in completo silenzio! – è stato consumato: perché?
Poiché Brunetta – che non gode di soverchie simpatie da parte del “capo” – offrì, in cambio della nomina a ministro, corposi “risparmi” nella Pubblica Amministrazione, i frutti del furto. Anche chi è d’accordo con il piccolo ministro veneziano, rifletta: domani, potrebbe toccare ad altri.
Ma veniamo ai frutti.

I dipendenti pubblici, in Italia, sono circa 3.600.000[7]. Quante sono, in media, le assenze per malattia per ciascun dipendente?
Sono 10,6 giorni l’anno, certificati dalla Ragioneria Generale dello Stato ed approvati dalla CISL, che non è certo un sindacato “bolscevico”.
Stiamo quindi parlando di circa 36.000.000 giorni/anno persi per malattia: quanto hanno fruttato al governo?
La decurtazione del salario avviene trattenendo, per ogni giornata di malattia, il salario accessorio: il quale, però, varia parecchio da un’amministrazione all’altra.
Basandomi sui dati che ho per la scuola e per alcune amministrazioni che conosco – e riducendo proprio al minimo il prelievo – potremmo ipotizzare una cifra intorno ai 10 euro/giorno, che è senz’altro errata per difetto.
Quanto fanno 36 milioni per 10? 360 milioni/anno, che in una legislatura “frutteranno” 1,8 miliardi di euro. Complimenti.
La boutade dei “fannulloni” fu soltanto un artifizio mediatico – sostenuto dai media del Presidente del Consiglio (e di Confindustria…) – che fu ottenuto sommando i giorni perduti per malattia con quelli di ferie!
E’ tutto nero su bianco nel documento in nota[8], redatto dalla CISL sui dati della Ragioneria Generale dello Stato.
E’ vero che non mettono le mani nelle tasche degli italiani: le mettono in quelle degli italiani malati, cioè, di una parte degli italiani malati.

Veniamo ora alla nuova pensata del veneziano: la famosa “valutazione” dei dipendenti pubblici mediante gli Smile, le tre faccine (verde, gialla e rossa) grazie alle quali ogni dipendente sarà valutato sul campo, immediatamente, dai fruitori del servizio.
Ciò che non funziona, in questa faccenda – e mi meraviglio che non sia saltato agli occhi a tanti – è che il fruitore del servizio non è parte terza nella questione, bensì parte in causa. Sarà la “scuola” del capo, che di questi imbrogli se n’intende. Spieghiamo meglio.
Uno dei dilemmi della pubblica amministrazione è la valutazione dei dipendenti: perché? Poiché chi dovrebbe valutarli – alti papaveri, portaborse in parcheggio, ecc – se ne frega altamente di farlo, anche perché loro stessi hanno occupato quel posto, al 90%, grazie ad un “calcio”.
Siccome la faccenda è complessa, allora si minimizza tutto e si decide che sarà il cittadino a giudicare. Ma, il cittadino, è in grado di farlo?

Già immaginiamo cosa potrebbe succedere nella scuola: «Guardi, suo figlio più di quattro non riesce a prendere, le ho provate tutte, però…» Faccina Rossa. Dopo qualche faccina rossa, tutti sei. E vai col tango, mentre la scuola va a bagno.
Alla Posta: «Può tornare fra un’ora? Perché, qui, il sistema è andato in tilt…» Faccina Rossa. Nota: la “faccina rossa” la “becca” il poveraccio allo sportello, mica quello che non riesce a far funzionare il sistema informatico.
Al Pronto Soccorso: «Basta! Non si può rimanere ad attendere per ore una visita!» Faccina Rossa. Magari c’è stato un grave incidente, ed il personale è tutto impegnato. L’utente ha ragione, ma il “bersaglio” della faccina rossa dovrebbe essere il capoccione (di nomina politica) che non sa affrontare le emergenze. Il quale – accertata la mancanza per il numero delle faccine rosse – darà una bella lavata di capo al personale e tornerà a fumare il sigaro, tranquillo come un papa.
Il vulnus più grave di un simile provvedimento, però, è di natura giuridica: introduce un concetto devastante, ossia che ci si possa fare giustizia da sé, senza conoscere nulla di ciò che c’è dietro una cattedra, uno sportello, un’autolettiga. Può addirittura intervenire un conflitto d’interessi, del tipo: «Ma quello, non è il tizio che ci aveva notificato la multa da mille euro? E dagli una bella faccina rossa…»
Siamo alla follia, altro che le veline: quelle, servono a coprire ben altre faccende.

E veniamo alla colossale balla che non mettono le mani nelle nostre tasche, “che non hanno aumentato la benzina”.
Oggi (12/5/2009) il barile di petrolio è tornato ad “affacciarsi” oltre quota 60 $/barile, ma era sceso anche sotto i 40 $/barile: qualcuno se n’è accorto? Appena la notizia è stata pubblicata, la “verde” è schizzata a circa 1,28: due ore fa, all’AGIP.
Il prezzo del petrolio, nel Marzo 2006, s’aggirava intorno a 60 $/barile[9] – come oggi – e la benzina intorno a 1,20 euro/litro[10]: non come oggi.
Per tutto questo periodo di bassi prezzi del greggio, il costo dei carburanti s’è mantenuto almeno di 5-7 centesimi sopra il valore di sei anni fa (con identico costo del greggio e medesimo cambio euro/dollaro).
Il consumo mensile di carburanti per autotrazione s’aggira intorno ai 3 milioni di tonnellate[11], sono dunque 3,75 miliardi di litri di carburante[12]. Un misero centesimo, su una simile massa, genera un “gruzzolo” di 37,5 milioni di euro il mese. Siccome, oggi, i prezzi non sono scesi a 1,20 (ossia al prezzo che dovrebbe avere la benzina per un costo del petrolio di 60 $/barile), mentre “oscillano” intorno a 1,25-1,27, sono come minimo 5 centesimi di ladrocinio, che corrispondono a quasi 190 milioni di euro il mese.
Si tratta, a tutti gli effetti, di una truffa compiuta ai nostri danni, che genera – ogni anno – quasi 2,5 miliardi: poi, Tremonti – in Finanziaria – inventerà un prelievo sulle società petrolifere e si spartiranno il malloppo, perché di questo si tratta.

Questi comportamenti: attacco ai diritti dei lavoratori, truffe legalizzate, tagli indiscriminati per tutti i settori pubblici – le Ferrovie, oramai, sono diventate la CA.BE.IT, Carri Bestiame Italiani, le scuole un posto dove fissano i “tetti” per i libri di testo, ma non pensano di darli in comodato come in Francia e Germania – sono il necessario corrispettivo per mantenere “al caldo” il proprio elettorato “grasso”: in Italia, la cura per qualsiasi dissenteria sono i tappi.

A chi è rivolto questo panorama di desolazione? Riprendiamo l’ultima tabella:

10% ricchi: 383.750 euro
50% poveri: 15.350 euro
40% medi: 76.750 euro

Il dato dei ricchi è coerente, mentre il dato dei poveri suscita qualche dubbio. Riflettiamo.
Metà delle famiglie italiane – considerando un prelievo fiscale bassissimo – vivrebbe, in media, con circa 1.000 euro il mese. Siamo ad un livello ancora più basso rispetto alle pensioni minime (512 euro/mese/persona): è possibile?
Se la situazione fosse veramente questa, l’Impregilo dovrebbe essere prontamente richiamata dal Governo per costruire l’infrastruttura più necessaria, essenziale per il Belpaese: una Bastiglia. Perché? Poiché, il giorno seguente, andrebbe sicuramente in scena la presa della Bastiglia.
Non è possibile che metà della popolazione viva avendo a disposizione, mensilmente, 300 euro a persona quando la soglia di povertà è stabilita all’incirca a 600: dov’è l’errore?
Dal punto di vista dell’analisi statistica, non c’è nessun errore: il problema è che sono i redditi dichiarati ad essere falsi!
In quel 50%, sono compresi:

Le circa 5.000 imprese edili che lavoravano completamente in nero, recentemente scoperte dalla Guardia di Finanza;
Gli idraulici che cambiano la guarnizione del rubinetto per 50-100 euro senza fattura;
I meccanici, idem;
I ristoratori, soprattutto nel Meridione, che non possiedono nemmeno il blocchetto delle fatture;
……completate la lista, che è lunga.

E, soprattutto, quel 30% circa del PIL che rappresenta il fatturato della criminalità organizzata politico/mafiosa, come Roberto Saviano ha denunciato e provato. Una “piccola” verità, per la quale ha dovuto fuggire e vive scortato. A margine, notiamo che la regione con la più soffocante pressione mafiosa – la Sicilia – vota all’unisono Berlusconi.
Forse che, i siciliani – come tentava di far credere Baget Bozzo – votano Berlusconi perché “poveri e poco acculturati”? Oppure, il sostegno al PdL viene proprio dai settori della rendita finanziaria politico/criminale che trova il suo apice nell’isola?
Quel 50% di poveri, in realtà, nasconde un sottobosco di redditi altissimi, abilmente mascherati da poveracci: so di scoprire l’acqua calda ma, se vogliamo provare a comprendere come andremo a finire, anche l’acqua calda ha la sua parte.
Personalmente, ho toccato con mano che il reddito – in Italia – è un vero terno al lotto ed è verificato, in pratica, solo per i lavoratori dipendenti. Quando mi trovai, in Consiglio d’Istituto, a dover decidere l’elargizione dei libri di testo da parte della scuola agli allievi poveri e meritevoli, m’accorsi che stavamo fornendo la completa gratuità dei libri a pochi allievi (i bilanci sono “strettissimi”, si tratta di poche unità) e che, quei pochi, venivano tutti accompagnati a scuola in SUV. Per i veri poveri, talvolta, le scuole (se sono in grado…) devono cercare altre soluzioni che non comprendano l’obbligatoria verifica del reddito, poiché i redditi più bassi sono sempre occupati dai figli di commercianti e professionisti.

E la classe media?

40% medi: 76.750 euro

Sempre in media, il 40% delle famiglie italiane ha a disposizione un reddito medio netto (aliquota 33%) mensile di circa 4.000 euro per tredici mensilità, che le tiene lontane dalla povertà. In questa situazione vivono 24 milioni d’italiani.
Non è difficile immaginare che, buona parte di questi elettori (soprattutto coloro che occupano la parte più elevata della fascia), propendano per chi promette loro di non tassare redditi e rendite finanziarie. Se, poi, ciò significa che i servizi offerti dallo Stato sono di bassa qualità, la cosa non turba i loro sonni: hanno sufficienti mezzi per accedere ai servizi offerti dal settore privato (sanità, istruzione, ecc).

Se sommiamo il 10% degli alti redditi con la metà dei redditi medi, troviamo un 30% dei consensi che difficilmente “sfuggono” al PdL: almeno, per le considerazioni puramente economiche, giacché sappiamo che il voto è deciso anche da altri fattori. Non dimentichiamo, però, che il denaro è l’aspetto che più impregna ogni decisione.

Un altro 10% dei consensi all’area del centro-destra proviene dalla Lega Nord, partito che ha tradito tutte le promesse originarie ma che, grazie alla cassa di risonanza delle TV di Berlusconi, riesce ancora a far credere ai suoi elettori di combattere per il Nord. Intanto, i potentati del Sud continuano a gozzovigliare.
Il consenso al partito di Bossi proviene quindi, da un lato, dall’organizzazione sul territorio e dall’altro dai proclami che – puntualmente – i leader lanciano nel circuito mediatico: esiste il traffico d’organi! posti riservati ai milanesi sui tram! respinti i clandestini!
Ogni settimana ne studiano una nuova e, puntualmente, l’apparato mediatico del premier li amplifica: non importa, poi, se tutto finisce nel nulla (cosa sta facendo il Ministro dell’Interno per il traffico d’organi, da lui stesso denunciato?), poiché serve soltanto ad alimentare la fornace della fedeltà, della Gestalt che la Lega Nord è la “castigamatti” del ceto politico lobbista ed ammanigliato a mille rendite di posizione. Invece, ne fa parte anch’essa a pieno titolo.

L’ultima trovata è quella che i lavoratori dipendenti votano in maggioranza il centro-destra: Ragionpolitica pontifica, Brunetta strombazza, Berlusconi sogghigna. Ma non significa niente.
Chi sono questi “lavoratori dipendenti”?
Non abbiamo difficoltà ad immaginare che la moglie di un professionista – impiegata in un ministero, insegnante, dipendente comunale, magari precaria e nell’attesa di un’assunzione che può giungere solo con l’approvazione del politico di turno – voti a destra: seguiamo il reddito, non la professione.
Se perseguiamo la professione – senza prendere in considerazione il reddito – potremmo divertirci nelle fantasmagorie più divertenti: quel che conta, è che almeno 30 italiani su 100 hanno validissimi motivi per affidare al centro destra la difesa dei propri interessi. Esattamente l’opposto di quanto voleva far credere Baget Bozzo.

E’ quindi sbagliato correre appresso alle mille sfaccettature del gossip, del “velinismo”, del “ciarpame politico” – anche se si tratta di una reale decadenza da basso impero, che riesce ad accalappiare qualche voto qui e là, ma altrettanti ne perde per le stesse ragioni – poiché lo “zoccolo duro” che sostiene Berlusconi parte da quel 30% che non ha nessun problema economico. Un 30% incrementato dai tanti “falsi poveri” che ritroviamo nel 50% dei non abbienti e “rifinito” dalle giust
e istanze di un Nord preso in giro due volte, dai potentati della rendita meridionale e dai politici della Lega Nord.

Non è una notizia nemmeno l’annunciata estinzione di Alleanza Nazionale – già lo affermavano, allarmati, gli amministratori locali di quel partito una anno fa – poiché l’area d’identificazione politica non corrisponde più ai vecchi recinti ideologici, bensì ad interessi economici: il voto, è una pura questione di mercato. E, qui, ce ne sarebbe da meditare per la sinistra nostrana!
A dimostrazione di quanto stiamo sostenendo, ricordiamo che la querelle di Veronica Lario non ha intaccato il sostegno al governo: sono storie di portafogli, non di “sederi al vento”! Che gli frega, ai tanti che domani potranno scegliere fra un’AUDI ed una BMW per il compleanno del figlio, se la tale fa la velina? Che importa loro se le attricette servono per conquistare qualche politico d’opposizione (pronto, Saccà?)? Domani dovrò scegliere se recarmi in vacanza nel Pacifico o nell’Oceano Indiano: gli italiani? Che s’arrovellino con le loro veline!
Nel frattempo, migliaia d’italiani ogni anno lasciano il Paese per emigrare all’estero[13] in cerca d’occupazione: sono in maggioranza laureati e diplomati, specializzati, e trovano all’estero migliori sistemazioni. In pratica, un grande ateneo come “La Sapienza” di Roma lavora quasi soltanto per produrre ricercatori per altri Paesi. Questa notizia, che dovrebbe preoccupare, non turba un solo istante di chi ci governa. Perché?

Il vero obiettivo di questo governo è, in realtà, difendere lo “zoccolo duro” di benestanti che, pur con le differenze dovute alla diversa epoca, esso ereditò dalla DC.
Uno dei primi provvedimenti presi da Berlusconi – Giugno 2001! – fu il deciso “ridimensionamento” (in pratica, fu il De profundis) della figura del socio-lavoratore nelle cooperative. La giustificazione? Eliminare le “false” cooperative, che oggi – come tutti possono constatare – campano benissimo.
Il vero obiettivo era azzerare la possibilità che piccoli operatori economici potessero unire le loro forze e diventare protagonisti: obiettivo raggiunto.
Con le “veline”, e con il grande interesse mostrato dagli italiani per il fenomeno, è stato steso un velario sulla grande operazione di privatizzazione delle acque: in questo caso, l’obiettivo è quello di sottrarre risorse pubbliche e “convogliarle” verso società controllate dai soliti noti.
Proprio nei giorni scorsi – dopo aver tagliato quasi 8 miliardi alla scuola pubblica – Berlusconi (con il fattivo aiuto di Casini) ha proposto, per la prossima Finanziaria, un “corposo” incremento dei sussidi alla scuola privata. Ne avvertivamo tutti la mancanza.
Ci fermiamo qui, con gli esempi, soltanto per non tediare il lettore.

Qual è, allora, la base sulla quale poggia l’attuale governo?
Non la contrapposizione fra “popolino” e “popolo colto” – tesi sostenuta da Baget Bozzo – bensì quella, eterna, fra abbienti e non abbienti.
I provvedimenti legislativi presi sono tutti centrati per aumentare la differenza fra le classi sociali, poiché si tratta di un feedback positivo, ossia di una fruttuosa simbiosi: più persone s’arricchiscono, più consensi certi.
E per i tanti che s’impoveriscono? Come mai, non esistono forze politiche in grado di rappresentarli? Non si tratta solo di una legge elettorale.
Pur non sottovalutando l’importanza del potere mediatico – panem et circenses è abitudine antica – la principale responsabilità l’hanno coloro i quali dovrebbero contrastare questa deriva, ossia (in un Paese normale) l’opposizione.
Ma l’opposizione, soprattutto in Italia, giunge in larga parte da quel PCI definito da Costanzo Preve “bestione metaforico”: perché? “Bestione” perché elefantiaco e costoso apparato, e “metaforico” perché sempre in antitesi con gli ideali che affermava di sostenere, già ai tempi di Berlinguer.

La mancanza di ricambio, il nepotismo, l’esasperato centralismo di quel partito, hanno condotto i loro epigoni dritti dritti non a difendere il capitalismo – questo sarebbe ancora il meno! – ma a sposarne in modo completamente acritico tutte le espressioni[14].
Oggi, non possono difendere i paria perché, per farlo, dovrebbero criticare proprio il modello del turbocapitalismo e della globalizzazione dei mercati, del saccheggio delle risorse e dell’iniquità sociale. La loro “nuova chiesa”.
Non potendo uscire dal modello che hanno sposato – tutti, sedicenti “comunisti” compresi – finiscono per proporre schiere di pannicelli caldi, che non servono a nulla, ed il loro elettorato – giustamente – li abbandona.
La nostra iattura è figlia di quella impostazione e, se non s’abbatte la pietra angolare che “ricchezza crea ricchezza”, nessun cambiamento è possibile. Hanno il coraggio di farlo i Franceschini, ma anche i Di Pietro ed i Di Liberto? Non ci sembra proprio.
Siamo un Paese che si dice “non avrà futuro”, eppure un futuro in qualche modo l’avrà, nonostante abbia abdicato ad ogni forma di seria elaborazione politica, alla ricerca di una vera classe dirigente, che non si ribella più per esser divenuto lo zimbello d’Europa e che accetta tutto, anche le “balle” più eclatanti, senza dignità. E spreca fiumi d’inchiostro per correr dietro alle “veline”.

Allora, cosa attende l’Italia nei prossimi anni? A risentirci con la seconda parte.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2009/05/non-puo-che-finire-cosi-prima-parte.html
12.05.2009

[1] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2008/11/fuori-del-tempo.html
[2] Fonte: La Repubblica, 8 Maggio 2009. http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/politica/baget-bozzo/baget-bozzo/baget-bozzo.html?ref=search
[3] Fonte: http://www.bancaditalia.it/statistiche/stat_mon_cred_fin/banc_fin/ricfamit/2008/suppl_76_08.pdf
[4] Fonte: ISTAT ed Office for national statistics. Riportato da http://www.libero-news.it/articles/view/447593
[5] Non dobbiamo pensare alla semplice disponibilità finanziaria, bensì ad un complesso di fattori: proprietà fondiarie, azionarie, obbligazionarie, rendite, ecc. D’altro canto, avere una casa di proprietà oppure essere in affitto, o ancora pagare un oneroso mutuo, modifica profondamente la disponibilità finanziaria di una famiglia.
[6] Vedi nuovamente: http://carlobertani.blogspot.com/2008/11/fuori-del-tempo.html
[7] Fonte: Eurispes/CISL 9/2007. http://media.panorama.it/media/documenti/2007/09/20/482ee51c69e83.doc
[8] Fonte: www.fpsinps.cisl.it/Doc/Comunicati/2008/01/AssenzeNelPI21gen08.pdf
[9] Fonte: The Oil Drum.
[10] Fonte: Metanoauto.com.
[11] Fonte: Unione Petrolifera.
[12] Calcolando una densità media fra benzina e gasolio pari a 0,8 kg/l.
[13] Fonte: http://miojob.repubblica.it/notizie-e-servizi/notizie/dettaglio/laureati-italiani-all-estero-pi-pagati-e-pi-soddisfatti/3461172
[14] Per una più esaustiva esposizione della genesi della classe politica italiana, vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2008/01/storia-di-lucidatori-di-sedie.html

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